Oggi si vota in Pakistan Conferma per Bhutto? di Fabio Galvano

Oggi si vota in Pakistan Conferma per Bhutto? Per la terza volta in trent'anni Oggi si vota in Pakistan Conferma per Bhutto? Oggi il Pakistan va alle urne, per la terza volta in trent'anni. Dovrebbe essere un « test » puramente formale per il primo ministro Zulfikar Ali Bhutto, al potere da cinque anni, da quando il Paese si risollevò lacero dalla sanguinosa guerra civile che vide la secessione del Bangladesh: la sua rielezione, infatti, è data per certa, nonostante i progressi fatti negli lillina mesi dai nove partiti d'opposizione che si sono coalizzati. L'esito di queste elezioni è molto importante, al di là delle dimensioni di questo Paese (73 milioni di abitanti all'ultimo censimento), per gli equilibri che può determinare in un subcontinente — quello indiano — nel quale vive quasi un sesto della popolazione mondiale. Non è un caso se la settimana prossima — il 16 marzo per l'esattezza — anche l'India di Indirà Gandhi andrà alle urne dopo 19 mesi di un'autocrazia che ha il sapore della dittatura. L'India offrirebbe un'immagine di immobilismo istituzionale nel momento in cui il Pakistan, da oltre dieci anni sotto regimi militari ben più autoritari, va liberamente alle urne. Come Bhutto, però, forse anche Indirà Gandhi ha sbagliato prevedendo una facile vittoria. I nove partiti che si sono coalizzati, per scalzare il dominio di Bhutto e del suo Ppp (Partito popolare del Pakistan) salito al potere nel 1970, hanno scelto tuttavia una strategia che lascia a dir poco perplessi, e che consiste nello sminuire i risultati concreti conseguiti da Bhutto in questi anni tormentati. Primo ministro dal dicembre '71, egli ha saputo raddrizzare il morale di un Paese sconfitto, negoziando la liberazione di 90 mila prigionieri di guerra, rinnovando i tradizionali legami del Pakistan con il mondo musulmano, e soprattut to dando il via a una politica sociale il cui obiettivo è di dare al Paese un'impronta moderna che gli consenta di uscire dalla sua secolare miseria. Al motto di « roti, kapda, makan » (cibo, vestiti, case) ha fatto seguire misure rivoluzionarie, quintuplicando il salario minimo della manovalanza non specializzata e triplicando quello degli operai semi-specializzati, ha nazionalizzato banche, compagnie d'assicurazione, indù strie dei fertilizzanti e del cemento; ha avviato, infine, una riforma terriera. II risultato è che gli sta venendo meno il sostegno tradizionale del suo partito, offertogli dalle « 22 famiglie » che in pratica reggono i fili di ogni iniziativa commerciale del Paese, dal mondo degli affari e dal ceto medio. Un certo culto della personalità (« guida del popolo », lo hanno già battezzato, ma anche «orgoglio del mondo asiatico », e numerosi monumenti sono stati eretti in suo onore) infastidisce i suoi rivali ma dà alle masse un sogno di splen- dorè che, nonostante l'indiscusso progresso del Paese, la situazione reale dell'economia pakistana non giustifica. Il deficit petrolifero è passato da 65 milioni di dollari nel '73 a 400 milioni l'anno scorso, 40 delle 175 industrie tessili (la spina dorsale dell'economia pakistana) sono fallite, l'inflazione galoppa a livelli « italiani » (25 per cento nel 76). Eppure questi dati, ampiamente sottolineati dalla Pna, la coalizione di nove partiti che intende rovesciare il regime di Bhutto e già ora lo accusa di dittatura sostenendo che anche sconfitto egli non rinuncerà mai al potere, risultano non meno tendenziosi di quelli ottimistici enunciati dal primo ministro. Secondo fonti indipendenti, infatti, il Pakistan dovrebbe raggiungere quest'anno l'autosufficienza nella produzione dei grano (8,5 milioni di tonnellate) ed esportare quasi un milione di tonnellate di riso. Le cose, insomma, si muovono anche in Pakistan. Eppure Asghar Khan, leader del maggiore partito d'opposizione, afferma di dover combattere « con le mani » una « spietata macchina di governo », e sostiene che « in Pakistan non c'è legge ». Sta di fatto che la coalizione di nove partiti schierata contro Bhutto non offre valide alternative: ha emesso un manifesto in cui auspica « un regime veramente democratico » capace di assicurare la « definitiva distruzione della dittatura ». Ma gli stessi nove della coalizione non sanno decidere chi guiderebbe il governo in caso di vittoria, e comunque molti pakistani aperti alla mentalità occidentale non hanno nascosto la loro preoccupazione di fronte agli eccessi parareligiosi del movimento, Bhutto, che ha 49 anni e ha due lauree (a Oxford e all'università della California) offre invece un sogno per il futuro. Offre, oltre all'autosufficienza alimentare quelle in petrolio, acciaio, fertilizzanti. Offre, insomma, un Pakistan moderno attraverso una nuova struttura socio-economica. L'80 per cento dei pakistani sono analfabeti, la espansione demografica indica che alla fine del secolo i 73 milioni di oggi saranno almeno 120 o addirittura 150. E' un popolo che ha bisogno di progredire, ma anche di sperare. Bhutto l'ha capito. Che la sua sia una democrazia con molte caratteristiche della dittatura, oggi, sembra importare poco. L'importante — e lo sottolineano la decisione parallela di Indirà Gandhi nonché i commenti positivi nel mondo occidentale — è che il primo ministro abbia il coraggio di mettere nelle mani del popolo il mandato che è suo da cinque anni. Fabio Galvano Ali Bhutto