Esercito ribelle di Carlo Casalegno

Esercito ribelle Esercito ribelle Il governo ha dato una prima risposta all'assassinio dell'avvocato torinese: ha protratto i termini di carcerazione preventiva quando le intemperanze ribellistiche degli imputati o l'ostruzionismo dei difensori impediscano 1'ordir.ato svolgersi dei processi. Non dovremo subire lo scandalo dei brigatisti rossi restituiti alla libertà per decorrenza dei termini dopo aver sabotato, con scoperto proposito eversivo, forse anche col delitto, l'azione giudiziaria. E' poco, di fronte alla sfida del terrorismo politico e della criminalità organizzata; ma è la prima iniziativa concreta del potere in una situazione di crescente emergenza, e la prima notizia buona dopo settimane buie. Il rifiuto del panico e delle reazioni emotive, la constatazione che il terrorismo non è monopolio italiano, una lunga esperienza internazionale sulle difficoltà di stroncare la guerriglia persino con leggi eccezionali, la motivata fiducia nel civile equilibrio degli italiani, non cancellano infatti la consapevolezza d'una minaccia e d'un fallimento. Violenza eversiva e grande delinquenza continuano a colpire con crescente tracotanza. Dopo la guerriglia di Roma e di Bologna, gli attentati del 25 aprile e l'omicidio politico di Torino; dopo il sequestro misterioso di Guido De Martino, il rapimento per ora indecifrabile del giurista romano. In un campo, le Università sgomberate con mezzi blindati e scontri a fuoco; nell'altro, il mortale incendio di Napoli, voluto dal racket per imporre la sua legge. Ma, nonostante gli indubbi successi delle forze di polizia, l'azione repressiva e preventiva dello Stato si dimostra gravemente inadeguata; né ci si può cullare nella speranza di una prossima o facile svolta. Il primo a non illudersi, e Io dice, è il ministro dell'Interno; e del resto i fatti lo smentirebbero. I molti arresti di nappisti e brigatisti rossi non hanno sgominato le bande terroristiche, come dimostrano l'omicidio di Torino, una catena mai interrotta d'azioni violente o intimidatrici, la cattura di sette guerriglieri presi a Verbania durante un'esercitazione a fuoco. Operano anche altri nuclei armati, come i «compagni della P.38» nascosti e protetti dai gruppi estremi della contestazione. I terroristi dispongono di armi, basi, complici; ed è in atto quel doppio collegamento, che da tempo si temeva, non solo tra criminalità politica e comune, ma tra i guerriglieri e vaste aree dell'estremismo giovanile. Quelli di Autonomia operaia o del Collettivo di via dei Volsci affermano, in conferenze-stampa, di non sentirsi vincolati dalla «legalità borghese» e Hi essere impegnati in «un processo di guerra contro lo Stato capitalista». Riletti con attenzione, i semplici dati di cronaca dimostrano che, almeno in larga misura, terrorismo e «spontaneismo» ribellistico s'inquadrano in un programma eversivo: centinaia di azioni diverse confluiscono, in modo troppo coerente per essere casuale, in un piano per scardinare le istituzioni dall'interno. Le agitazioni giovanili offrono la massa di manovra e di riserva; attentati e violenze colpiscono con metodo, e provocando danni o paura, la magistratura, le forze dell'ordine, i partiti, l'amministrazione, le strutture produttive: non sono dilettanti i dinamitardi che incendiano fabbriche o devastano laboratori scientifici. Contro questo multiforme esercito ribelle, che ha una sua unità almeno indiretta (e forse anche complici stranieri alle spalle), le forze dello Stato si muovono in ordine sparso. La polemica tra il procuratore generale di Roma e il ministro dell'Interno non è soltanto un fatto d'estrema gravità e un motivo di sfiducia che s'aggiunge a tanti altri, ma la conferma d'un profondo malessere e di contrasti paralizzanti tra i corpi dello Stato. Attraverso i giornali, un altissimo magistrato accusa la polizia di reticenza o di complicità, il governo di inerzia o di torbidi «compromessi» in materia d'ordine pubblico; ministro e polizia replicano denunciando l'inerzia o le colpevoli indulgenze della magistratura. Quel ch'è peggio, questa polemica, che getta ombre paurose sui poteri dello Stato, non avrà forse un seguito né di chiarimenti, né di risanamenti, né di dimissioni. Sarebbe troppo rischioso continuare sulla strada delle polemiche, dell'inerzia e dei rinvìi. Nel rispetto dei princìpi costituzionali, ci son cose urgenti da fare, su cui l'accordo politico è indispensabile e possibile. Le forze di polizia debbono essere dotate dei mezzi necessari e di un nuovo, efficace servizio d'informazione: nessun Paese può rinunciarvi. Alla magistratura occorre chiedere, con tutto il rispetto per la sua autonomia, un impegno più costruttivo e coerente nella lotta all'eversione e la rinuncia agli scontri fratricidi che ancora una volta divampano; e consigliare maggior senso di responsabilità ai magistrati d'assalto, che candidamente dichiarano di voler utilizzare il potere giudiziario per sostenere le «nuove forme di lotta emergenti» e combattere il sistema capitalistico. Forse sono necessari anche altri ritocchi alle leggi, come quello già deciso sulla carcerazione preventiva. Ma l'arsenale repressivo dei codici già sarebbe sufficiente per la difesa della società democratica, se appoggiato dall'azione efficace d'un governo al di sopra dei sospetti avanzati dal p.g. di Roma, e da una solidale volontà politica. Carlo Casalegno

Persone citate: Guido De Martino

Luoghi citati: Bologna, Napoli, Roma, Torino, Verbania