1° Maggio in Vaticano di Guido Ceronetti

1° Maggio in Vaticano UN RACCONTO DI GUIDO CERONETTI 1° Maggio in Vaticano « Santo Padre, è Primo Maggio ». « Oh bene. Dormirò ancora un poco. Oggi non si lavora ». Dietro al Portone di Bronzo sprangato, alcuni Svizzeri in giubba e cravatta rossa si preparano per il corteo, che comincerà alle nove: giro interno delle Mura, comizio dei monsignori Cigi, Cisi e Villi nel cortile di San Damaso, dove le suorine hanno eretto il palco e preparato per tutti sfila tini con prosciutto e caviale, ravioli non di magro, fave e pecorino, una grande marmitta di minestrina per i vecchi prelati in lotta. Sul balcone, belle file di Vino Santo e di Lacryma Christi. L'altoparlante spezza il pane di Addio Lugano bella e le care, vecchie parole di Pietro Gori, arrivando fino a lui, commuovono il Papa. « Forse, dice al suo Segretario che annuisce, è l'unico poeta del Novecento ». Il Segretario osserva che il sentimento che pervade la canzone è profondamente cristiano. « Anche Su fratelli, su compagni è tutta pervasa di cristianesimo, dice il Papa, ce n'è forse di più che nel Veni Creator ». E resta silenzioso, meditando il confronto. Sul video appaiono le immagini del corteo. Impiegati laici e religiosi, Svizzeri, lavoratori del francobollo, sampietrini, tipografi deWOsservatore, prelati di punta, una nutrita delegazione di suore scandiscono slogan come Con l'Enciclica - libera critica e Più uguaglianza - tra stanza e stanza. Per capire questa curiosa rivendicazione del Primo Maggio vaticano, bisogna pensare alle dimensioni del piccolissimo Stato, fatto di stanze invece che di città e campagne, e distanze molto disuguali tra loro, per cubatura, ornamenti, storie. « Senza dubbio, commenta il Papa, questo non è un Primo Maggio come gli altri. E' un Primo Maggio di lotta ». Lo conferma, poco dopo, il grande comizio della FUV (Federazione Unitaria Vaticana) che ribadisce la piattaforma con tutti i postulati, esigendo anche un cambiamento del quadro. Il quadro è un Raffaello del Museo Vaticano che la FUV vorrebbe fosse sostituito da un Preraffaellita, per motivi non chiariti neppure nel corso delle lunghe trattative col Papa sui grandi problemi dello Stato. Quanto agli Svizzeri, alcuni vorrebbero addirittura negare a chiunque l'accesso ai Palazzi Apostolici, fare del Vaticano un'isola, separarlo dal contagio di Roma; altri sono favorevoli ad una larga apertura. Non pochi i neutrali. Si riproduce, tra questi sradicati al servizio della bandiera biancogialla, un conflitto tipico della Confederazione: quello tra i duri seguaci di Schwarzenbach e la Svizzera accogliente e umanitaria. « Potremmo cambiare il quadro » dice il Papa, pensando che si può cedere sul Preraffaellita in cambio di certi vantaggi da stabilire. Il Segretario lo ammonisce rispettosamente: « Santità, è Primo Maggio. Queste cure a domani ». * ★ Niente Messe, di Primo Maggio, in San Pietro; gli officianti riposano dopo il corteo e il comizio, la basilica è chiusa. I turisti giapponesi fotografano da tutte le posizioni, all'infinito, le porte di Manzù. « Guarda laggiù, dice Maria a Gesù, quante belle processioni! ». « Ma no, madre, non sono processioni: sono cortei di Primo Maggio. Non vedi il rosso? ». Maria e Gesù amano il maggio, non solo perché c'è il Primo. Decidono di scendere sulla terra per salutarlo tra gli uomini: Maria a Roma, Gesù a Mosca, poi si scambieranno le impressioni. La Vergine, in bianco e azzurro come sempre, scende tra due cherubini infuocati, entra per la palla della cupola di Michelangelo, si posa con leggerezza sul pavimento, osserva con ingenua compiacenza i suoi ritratti. Mentre volita e passeggia, senza sapere che cosa fare (è passata l'una pomeridiana, tutti mangiano, qualcuno già dorme) una porticina segreta nella cripta fa cric-cric cric, ne spunta una testa cauta, con zucchetto bianco, è il Papa. Maria che, sapendosi sola, si era resa visibile, si rinasconde fulmineamente nella sua casta oscurità celeste. Vede il Papa percorrere un paio di volte San Pietro con passo molto spedito — non ha più di sessant'anni, di complessione vigorosa, è stato Nunzio in paesi sportivi — fermandosi ogni tanto per compiere con tecnica precisa esercizi liberatori per mezzo del respiro. Sembra sentirsi bene, è soddisfatto di trovarsi lì completamente solo. (Come non capirlo?) Tira fuori dalle tasche uno sgabellino pieghevole e si siede ai piedi della statua impregnata di tempo magico del Principe degli Apostoli. Sulle ginocchia ha una tavoletta di compensato e sopra un quadernetto senza righe, di quelli che si comprano solo all'estero. Senza molte pause di riflessione, il Papa si mette a scrivere. L'occhio di Maria segue con molta curiosità e subito con una certa apprensione quel che va scrivendo il Papa. Purtroppo, scrive in pessimo latino, e non un latino folenghiano: pessimo senza sorriso, senza luce d'arte. Non troveresti in tutto il Migne un latinaccio così scadente. Neanche nei più confusi documenti medievali pieni di kappa e acca! Il livello è all'incirca quello di un maturando classico di liceo italiano oggi. Già in seminario, più portato per le lingue moderne, confondeva Quintiliano e Tertuliano, nominativo e ablativo... Per rispetto dei lettori, glielo correggo un poco, ma soltanto un poco. Del resto, è il contenuto che importa. Scrive il Papa nel suo quaderno: Ego Martinus XX multum sum insatisfactus de ista vita quae facio. La novità è forte, per ia Vergine e anche per noi. Può il Papa dirsi insatisfactus? Continua la sua scabrosa prosa: Infelicissimus sum, dilectissimi filii et filiae, quare nulla veritatem umquam dicere possum, et homo qui veritatem non potest dicere anima mortua est. Hodie Kalendis Mali, die festo Divi Laboris, effundere volo in charta omnes acerbìtates quae bullunt in corde meo... Kalendae Maii, Primo Maggio! Il Papa mormora Kalendae Maii e Maria lo vede malinconicamente sorridere a una sua visione di Calendimaggio. Ricorda forse il leopardiano «Se torna maggio» e il polizianesco «Ben venga maggio / E '1 gonfalon selvaggio! » — maggio dei fiori recati e delVangiolel d'amore, maggio delle donzelle che soccombono agli amadori. In Francia si diceva querir le mai, andare in cerca del maggio, nei boschi, per ingrillandarsi il crino e anche per cose non concesse, ma sempre piaciute, ai papi... Quei quattro impiccati di Chicago, città di macelli, hanno cambiato la faccia del maggio. E anche la bicicletta, perché chi pedalava trascurava il crino. Dal nuovo gonfalone spuntano le facce disperate di Germinai, la bestia carbonifera, l'organo di Barberi, l'Internazionale. Mari di facce, dove lo trovi, là dentro, il maggio? Poi l'ufficialità, l'inserimento nel calendario... Perfino in Vaticano è arrivato. Meglio Primo Maggio che Calendimaggio, perché dove andresti querir le mai in uno Stato così nano, tutto stanze, vigilato da quattro Svizzeri? Dov'è la foresta celtica, gli alberi delle fate? Pensieri di maggio di un Papa — perché no? Ancora: ma là fuori, nel grande Stato Unito che ha per bocciuolo Roma, dove lo cercheresti maggio? I fiori, i boschi, dove sono? Là Sul molle clivo di Brianza, impregnato di uno spaventevole tossico, è maggio? Bello è foscoleggiare, ma se ci passi la mano, su quel clivo, ti resta incollata la peste alle dita. Grandi lenzuoli di veleni e brutture, ormai, le campagne... Pelate come crani lebbrosi... Fumi, spari... Lo cerchi sulle autostrade, il maggio, tra milioni di svuotati-di-tutto inseguiti da un aperitivo? La paura di perdere tutto quel brutto li rende pazzi, belvini! Guai a toccarglielo, anche solo a parole! Per avere i loro voti, bisogna di continuo promettergli di asfissiarli meglio! E io che li ho incoraggiati, come i miei predecessori... Con parole, con azioni (solide) ho contribuito a spingerli contro quel muro cieco, a spegnergli la gioia... Hodie Kalendis Maii sine herbis fiorentibus ego Martinus Pontifex Maximus dico mediti culpam etiam esse si mundus iste in tanta taelra nocte trascinai suos miseros dies, si tam vacuus mensis est Maius, si de bono et sublime et codeste nulla spes remanet in cordibus. Quomodo bornines vitabunt catastropben? Butterato latino pontificio, però non tanto orrido, anche per un purista purché ami le cose pure, per il rotto tappeto di verità che ordisce. Il Papa potrebbe scrivere in lingue che conosce meglio, ma così, nel vecchio guscio linguistico della Chiesa, gli pare di soffocare meglio la vergogna, come in un cuscino. E il latino del Papa si fa sempre più morchioso di confessioni atroci, è una clava che quasi lo spacca, una mannaia a cui of¬ fre con avidità la testa elegantemente bianca. Veramente strani, i misfatti di cui il Papa si accusa! Non è certo un Rodrigo Borgia, è un postconciliare simpatico, detto subito il Papa dei Giovani, scelto dal conclave per il suo aspetto adatto alle riprese televisive, di educazione europea, non antisemita, di gusti moderni, aperto ai fermenti, teologo cauto della non-morte di Dio. Perché adesso si sente un mostro? Ha mandato fagioli nel Terzo Mondo, benedetto tutte le paci, raccomandato la giustizia — poteva di fare di più? Certamente no. Si sta piuttosto persuadendo che doveva fare di meno. La sua prima enciclica, la Bibcte omnia, diffusa in impeccabile latino ecclesiale, gli pesa sul cuore, a causa delle esortazioni implicite al mondo di essere come è, alla gente di fare quello che fa. De hoc accuso me maxime: semper, in omnibus occasionibus, usum fecisse de banalissimìs locis communibus. Predicavi bonum facilissimum, condamnavi malum sine videre ubi stabat... La Vergine pensa che il Papa stia diventando troppo complicato. Un Luogo Comune non è un peccato. Né atto impuro, né furto, né omicidio. Le sue mani sono pure. E adesso... No, esagera... Ecco che cosa scrive: Nihil aliud facio quam repetere banalìtates, locos communes, solum res quae mundus acceptal et probat et credit bonas: hoc est dico tamquam sanguine»! bominis versare, dolorem mundi et hominum et animalium consputare, Deum blaspbemare, Satanam servire, universalem triumpbum impudentissimi mendaciì et scelerìs parare. E qui una massima terrificante: Parricida est quicumque locos communes emittat et faciat hoc modo vulgare mendacium robustissimum. Ego hoc feci. Parricida ergo sum. Il quaderno è riempito. Il Papa rilegge i suoi fogli facendo smorfie di dolore e mormorando: « Parricida ergo sum ». Le sue lacrime stingono un po' di quel latino visigotico. A lettura finita li strappa, uno dopo l'altro se li caccia in bocca, li mangia. Un vero Ezechiele. « E domani mi tocca ricominciare... Ma che cosa posso fare se tutti aspettano da me soltanto questa orribile cosa, luoghi comuni e nient'altro, mai? Senza i luoghi comuni nessuno parlerebbe più... eppure che orrore, che parricidio! ». La Vergine, turbata, piena di delicatezza, non vuole saperne di più dei pensieri segreti del Papa, che del resto, senza il soccorso di Gesù e di San Paolo, non arriva fino in fondo a capire. Attraversando i suoi appartamenti, commossa dal suo tormento, gli lascia una rosa in un bicchiere, una rosa di calendimaggio che durerà un mese intero, cambiando ogni giorno colore. Ma non è ancora finita la sua meraviglia! Il Papa è lì, davanti al televisore, assorto nella trasmissione Primo Maggio nel mondo, in compagnia di alcuni dignitari pontifici. Trova ottimo il colore, gradevoli le musiche. Sta terminando in serenità la giornata festiva. « Ben venga maggio! » dice sorridendo un prelato che non ha partecipato al corteo. Ma il Papa non ricorda i versi del Poliziano. E allora chi c'era in San Pietro chiuso e vuoto, un'ombra? Forse, poiché tutto è sogno, anche le visioni sognano, la Vergine ha sognato, il Papa non era il Papa, era forse, però, un sogno dei Papa. La rosa della Vergine è per questo improbabile sogno. * * . Non avendo che una propria allucinazione (così crede) da raccontargli, Maria, rivedendo Gesù, tace. « Allora, com'era in Vaticano? ». « Bene. Tutto tranquillo. Un Primo Maggio di lotta ». « Madre, ma che linguaggio parli? Dici a me luoghi comuni? ». « Che parricidio... Perdonami. Dimmi di Mosca ». « Delizie e inquietudini. Sapevo che là e in tutta la Russia si pensa a me più che altrove. Anche quelli che fanno la coda davanti al mausoleo, invece dell'imbalsamato, hanno me nel cuore. Grandissime foreste di sogni sono state ferocemente abbattute dopo il 1917, ma la neve ha protetto le radici. Si soffre per qualcosa che vale... Oggi la stupenda maschera di ferro e ghiaccio che li schiaccia, schiumava come sempre di menzogne; sotto, gli occhi fissavano punti vaghi, fuori del mondo. Questa Russia mi fa soffrire, per il suo attaccamento solitario: non sembra toccata da una delusione che dura da duemila anni, mentre di un'illusione di appena sessanta non gli resta quasi nessuna traccia. E' terribile essere sostanza di cose sperate per qualcuno e non potergli spiegare, per non svanire subito, che siamo veli di veli infiniti, noi figure del cielo, esattamente come loro, veli che velano i veli di un santuario inaccessibile, e che l'unico senso del loro sognare — meraviglioso ma difficilmente accettabile — la verità che cercano al di là di tanto falso, di tante apparenze, è questo ». Guido Ceronetti