Battuta sull'Aspromonte di Clemente Granata

Battuta sull'Aspromonte NELLA CALABRIA DEI MAFIOSI E DEI SEQUESTRATORI Battuta sull'Aspromonte Il lavoro dei carabinieri è massacrante, accompagnato dal rischio continuo di agguati - Sui monti ci sarebbero duecento latitanti - L'anno passato è stato terribile nell'intera regione: 117 omicidi, 11 sequestri, più di 250 attentati con il tritolo (Dal nostro inviato speciale) Reggio Calabria, aprile. Le « squadriglie » partono da San Luca all'alba. Ciascuna è composta di 10 carabinieri. Le guidano i capitani Valente e Imondi, due ufficiali che comandano le compagnie di Locri e di Bianco, situate in un territorio particolarmente difficile. La seconda è stata costituita di recente nell'ambito di una generale ristrutturazione delle forze dell'Arma in Calabria: ristrutturazione che mira a rendere piii agile e flessibile l'impiego di uomini e mezzi nella lotta alla criminalità. Partono all'alba e tornano a notte inoltrata. Frugano l'Aspromonte verso il lato ionico, battono e palmo a palmo zone impervie. Analoghe operazioni si svolgono sul versante tirrenico da Rosarno a Vibo Valentia, da Taurianova a Palmi. Si tratta dì un lavoro improbo, massacrante, accompagnato dal rischio continuo di agguati e di perdite di uomini come nell'agrumeto di Razià i primi di aprile (due carabinieri falciati in un conflitto a fuoco con esponenti mafiosi, che a loro volta hanno lasciato sul terreno due individui). E' nascosto in quegli anfratti il torinese Ruscalla? E De Martino? E Vincenzo Macrì, l'ottantaseienne farmacista di Mammola, rapito il 7 ottobre scorso, ultimo sequestrato in Calabria? Ci sono voci, c. sono sospetti. E allora bisogna indagare, non lasciare nulla d'intentato, percorrere le montagne che offrono rifugio, secondo calcoli approssimativi, a duecento latitanti, alcuni dei quali con una pesante catena di delitti alle spalle, altri meno compromessi con la legge penale, ma ugualmente pericolosi poiché rappresentano un potenziale serbatoio per la manovalanza del crimine organizzato: sono loro ad esempio, i possibili custodi dei rapiti. Forse un risultato simili operazioni lo hanno già conseguito: da ottobre in Calabria non si registrano nuovi sequestri. Ed è indubbio che la presenza assidua delle forze dell'ordine, il lavoro capillare che stanno svolgendo, possono avere con il tempo una certa efficacia preventiva. L'anno appena trascorso è stato terribile sul fronte del- la delinquenza organizzata in questa regione, come nell". città industriali del Nord. Per la Calabria, sono suffcientì a testimoniarlo poche cifre: 117 gli omicidi, di cui 98 nella sola provincia di Reggio (un'ottantina sono di sicuro stampo mafioso); 1666 i tentati omicidi e le lesioni volontarie, con una brusca impennata rispetto al 1975 quando si erano registrati 224 reati di quel tipo; 1266 le estorsioni di fronte alle 221 dell'anno precedente; e poi 11 sequestri, tutti nel territorio di Reggio (7 nel 1975); più di 250 attentati con il tritolo e parecchie altre imprese criminali, che sfuggono a rigorosi calcoli statistici, il contrabbando e i traffici di diamanti, di armi, di droga. E sullo sfondo l'impronta della 'ndrangheta, « una presenza — come ha detto il procuratore generale di Catanzaro, dott. Ghiliberti, inaugurando nel gennaio scorso l'anno giudiziario — agile, moderna, intelligente, perfettamente inquadrata, attiva in tutti i settori, dotata di grandi mezzi e, quel che più conta, oltremodo spietata ». La 'ndrangheta dunque, prima di esportare la delinquenza sulla scia delle incontrollate emigrazioni e degli esponenti mafiosi inviati in modo inopportuno al soggiorno obbligato in comuni del Nord, dove possono intessere facilmente rapporti e trame illecite, la delinquenza la fabbrica in casa in modo massiccio, in una spirale che si autoali menta di continuo. Il delitto \è la manifestazione più im- Ipressionante e clamorosa. E poi c'è quell'altro aspetto, sotto certi profili ancora più pericoloso: l'infiltrazione nel tessuto socioeconomico della regione, l'inserimento subdolo al posto di comando di parecchie leve decisionali attraverso compiacenze, giochi intricati, sottili collusioni. E' stato un invischiamento graduale, la creazione di una forma di potere reale che ha talora condizionato il potere legale, vi si è sovrapposto o addirittura l'ha sostituito. La 'ndrangheta che ricorre all'estorsione e al delitto, al sequestro e al tritolo e l'altra che agisce in «guanti gialli », sono intimamente connesse, due aspetti dello stesso problema. La lotta va combattuta su due fronti. Dice il presidente del Consiglio regionale. Consalvo Aragona, socialista: « La mafia è ogni forma di devianza organizzata che si caratterizza o come sistema giuridico alternativo o per un suo carattere settoriale ramificato nelle attività produttive o come vera e propria industria del delitto ». Dice Pasquale Barbaro, democristiano, presidente della commissione di studio e d'indagine sul fenomeno della criminalità associata in Calabria: « La nuova criminalità calabrese, pur con i suoi nuovi aspetti di spregiudicatezza e di crudeltà, ha sempre radici antiche, ed analizzandole vediamo che la mafia di vecchio stampo aveva una vera e propria funzione di surroga dei poteri dello Stato da parte di gruppi organizzati ». Dice ancora Aragona: « La mafia ha sempre saputo adottare la rua attività e la sua presenza alla realtà storico-ambientale in cui ha operato e in cui continua ad operare ». Nel corso della sua pluriennale vicenda la 'ndrangheta ha dato parecchi esempi di questa eccezionale duttilità e agilità. Strettamente \ legata alla società agricolo I pastorale, sorta con compiti di tutela dei latifondi baronali (guardianie), caratterizzata da particolari liturgie e simbologie (la cerimonia d'affiliazione, l'albero della scienza il cui fusto rappresenta l'autorità del capo-bastone, il convegno al Santuario dei Polsi vicino a San Luca) ha saputo prontamente adeguarsi al cambiamento, che ha interessato la Ca¬ labria negli Anni 60: costruzione dell'autostrada Reggio-Salerno, della superstrada ionica verso Taranto, e inizio di una industrializzazione che sarebbe stata poi programmata a largo raggio qualche tempo dopo (primavera del '74, progetto del Quinto Centro siderurgico nella piana di Gioia Tauro). Gli appalti e i subappalti per la costruzione delle opere, in particolare delle infrastrutture (con l'indiretta complicità che le smagliature delle norme legislative regolanti quei tipi di contratto possono offrire), la prevista nascita di una miriade di piccole imprese legate all'azienda-madre, hanno rappresentato per la 'ndrangheta un irresistibile polo d'attrazione. Era un fertile terreno da conquistare con ogni mezzo: le minacce e le estorsioni, gli attentati e gli omicidi. E ciò proprio nel momento in cui l'integrazione del prezzo dell'olio d'oliva, concesso dalla Cee per rendere remunerativo il prodotto, assicurava già ingenti profitti, beninteso non ai modesti e onesti coltivatori delle olive, ma agli abili e spregiudicati speculatori, che si erano prontamente inseriti nel meccanismo delle operazioni traendone immediati vantaggi. A cavallo tra gli Anni 60 e 70 avviene la radicale trasformazione della mafia calabrese: da gruppo illegale, che opera entro certi angusti limiti e con interessi piuttosto circoscritti, a colossale associazione per deHvnverp modellata su principi di tipo manageriale con una struttura non verticistica come la mafia siciliana, ma decentrata, mobile, articolata in molteplici settori, collegata con la criminalità siciliana, con la « camorra » napoletana e con centrali estere, Montreal e Sydney in particolare. E sull'orizzonte delle attività illecite compaiono nel frattempo altri obiettìvi sensibili, cui abbiamo già accennato: le vie del tabacco e della droga, delle armi e dei diamanti. E infine il sequestro di persona, fenomeno quasi sconosciuto negli Anni 60 e poi praticato su larga scala: 47 uomini catturati in Calabria dal 1970 all'ottobre scorso, un incasso di miliardi. Non è avvenuta senza sussulti e terremoti interni questa gigantesca metamorfosi, come ci dice il collega Luigi Malafarina che segue da anni per la Gazzetta del Sud queste intricate vicende. C'è stata prima la reazione della vecchia guardia contraria in particolare alla droga e al sequestro, non certo per motivi umanitari, ma per ragioni d'opportunità (« Certi fatti richiamano qui troppa polizia e la presenza della polizia ci disturba », è un'affermazione ricorrente). I vecchi padrini che ora, avviandosi al tramonto, cercano una tranquilla sistemazione sulla costa, sono stati più propensi ad utilizzare il metodo della infiltrazione graduale nelle leve di potere, approfittando dei cospicui margini di tolleranza loro riservati e utilizzando addirittura sotterranee complicità. C'è stata poi la guerra spietata per la spartizione degli ingenti e impensabili bottini tra gli esponenti delle giovani leve, che hanno rapidamente assimilato i connotati della criminalità avida e feroce delle società industrializzate. E la guerra ha lasciato sul terreno pa- recchi cadaveri dal '74 ai nostri giorni. Sono caduti i De Stefano e i Tripodo, i Mazzaferro, gli Albanese e i D'A- gostino, i Mammoliti e i Fac- chineri. Falciati in bar, in alberghi, davanti a casa, in strade deserte, o avvelenatiin carcere come Mico Tripodo. E' morto anche il vecchio « boss » Antonio Macrì, che aveva appoggiato Mico Tripodo nelle sue mire espansionistiche. Il 20 gennaio del '75 lo hanno abbattuto davanti alla sua abitazione e gli hanno incendiato l'auto in segno di disprezzo (« Tu e le tue cose non contano più niente »). E' stato un bagno di sangue che ha fatto impallidire lo stesso ricordo delle stragi di Delianuova e di piazza del Mercato a Locri, avvenute anni addietro. C'è ora chi osserva che sul fronte dell'attività delinquenziale nei primi mesi di quest'anno c'è stata una calma relativa, il che potrebbe far pensare a un inizio di stabilizzazione dei rapporti tra i managers del crìmine. C'è chi sostiene che in una recente riunione svoltasi a Cambari nei pressi di Montano in occasione di un matrimonio, quindici boss della 'ndrangheta hanno deciso di riportare la calma nelle rispettive zone per un certo periodo. Così si spiegherebbe, ad esempio, anche il ral- \ lentamento dell'attività nel j campo dei sequestri. Ma so\ no ipotesi da verificare, \ mentre altri fatti (Vuccisio- ne dei carabinieri nell'agrumeto di Razià, l'attentato alla Liquichimica di Saline) starebbero ad indicare che la ripresa dei sussulti è prossima. Così la Calabria di questi giorni guarda al futuro con inquietudini e paure rinnovate. E l'opera degli inquirenti, del resto, si svolge in un terreno diffìcile tra ambiguità e reticenze, in un tessuto sociale che nutre una notevole sfiducia verso le istituzioni, e non manca di manifestarla. E' deplorevole, ma bisogna anche capire. Le dimenticanze del potere pubblico sono state troppe e troppe le promesse non mantenute. Una qualunque attività di risanamento e di crescita civile non può che essere programmata a lunghe scadenze, con pazienti calcoli, senza improvvisazioni e anche senza facili illusioni. Si tratta di rifare un cospicuo pezzo di storia della Calabria. Clemente Granata :''IL | \ VA u% v l'i * 'il' ' ' .11 il I 1F $m % li Aspromonte. Controllo sulla statale (Foto Grazia Neri) csp