Russi e Italiani a Mosca Qual è il vero Gramsci? di Livio Zanotti

Russi e Italiani a Mosca Qual è il vero Gramsci? Dibattito attuale, 40 anni dopo la morte Russi e Italiani a Mosca Qual è il vero Gramsci? (Dal nostro corrispondente) Mosca, 25 aprile. C'è ancora la disputa sull'ortodossia ideologica del progetto eurocomunista appena dietro la conferenza scientifica aperta stamane a Mosca per celebrare Antonio Gramsci, nel quarantesimo anniversario della morte. Significa innanzitutto questo, discutere adesso se il grande capo del comunismo italiano debba essere considerato un leninista puro, oppure il primo teorico delle «vie nazionali», oppure le due cose assieme. Ed è quanto hanno fatto durante cinque ore studiosi sovietici e italiani riuniti all'istituto per il marxismo-leninismo della capitale sovietica, il sacrario del bolscevismo. E' la ripresa del dibattito, condotto però a «distanza» da entrambe le parti, attraverso l'allusione sottile e la critica implicita più che con l'attacco aperto. Un confronto politico, comunque, che rischia di prevalere sull'analisi storica. Anatoli Egorov, direttore dell'istituto e storico di fama, ha rivendicato per Gramsci la definizione di «autentico marxista-leninista» che ha tradotto l'esperienza sovietica in termini italiani per fondare il nuovo partito della classe operaia. «Egli lesse correttamente la lezione della rivoluzione d'ottobre, apprendendone un precetto fondamentale qual è il concetto di internazionalismo proletario». E' lo stesso ribadito da Leonid Breznev a Berlino, dice Egorov, quando parla della crescente presenza delle forze antimperialiste nel mondo attuale. E lo cita testualmente: «Una tale solidarietà, il cui alfiere è il comunismo da oltre cento anni; questa solidarietà conserva ancora immutata la propria importanza. Era e resta l'arma più efficace dei comunisti e del movimento operaio in generale». Su questo punto si misura, trovandone conferma, l'attualità del pensiero gramsciano, ha concluso Egorov. A replicare è intervenuto Nicola Badaloni, venuto con Fabio Mussi a rappresentare il pei. Ha coinciso con Egorov nel porre il filosofo sardo tra i massimi teorici del marxismo-leninismo. Le coincidenze, però, sono finite qui. Egli ha esposto soprattutto un Gramsci marxista, sfumandone il leninismo. Ciò che ai sovietici non è certo passato inosservato. Gramsci, ha detto Badaloni, elabora un apporto originale al pensiero marxista, di cui pratica la critica e l'autocritica delle idee come metodo permanente. Dice che il momento più importante è quello in cui considera la società italiana nella sua globalità, giungendo ad un'analisi concreta. Il riferimento al Gramsci degli Anni Trenta, quando rifiuta la tesi internazionalista del «social/ascisino» appare trasparente. Noi siamo ancora sulla via al socialismo indicata da Gramsci, ha aggiunto Badaloni: il nuovo blocco storico che proponiamo è l'unione di lutti i gruppi sociali non antagonistici, anche se diversi, tra cui i cattolici organizzali in quanto tali. Tra le forze che combattono per la democrazia deve svilupparsi il confronto delle idee. Per l'esponente del pei, Gramsci ha sviluppato l'insegnamento di Lenin, partendo dalla sua affermazione secondo cui in Occidente le istituzioni sono già formate, mentre ad Oriente erano ancora amorfe. Il socialismo, ha proseguito, deve maturare nelle teorie e nella pratica e provare la sua validità. Una proposta, questa, che agli interlocutori è suonata come un rotondo rifiuto del modello sovietico. Ed hanno risposto. Lo specialista di storia italiana ed esperto dell'istituto per il marxismo-leninismo Aleksandr Sobolev ha esordito denunciando la mancanza di ras- lodo dialettico nell'approccio degli studiosi italiani a Gramsci. Ha dato per provata, la stretta correlazione esistente tra le idee di Lenin e quelle di Gramsci. Le quali ultime possono essere intese correttamente solo se prese nell'insieme e non isolando quelle maturate negli anni del carcere, come ad avviso di Sobolev tendono a fare gli studiosi occidentali. Anche la formula della « guerra di movimento » e della « guerra di posizione » (si indicava con la prima la rivoluzione in genere e quella dell'ottobre in particolare; con la seconda il confronto all'interno delle istituzioni delle quali Gramsci parte per suggerire il concetto di egemonia n.d.r.), è stata mutuata da Lenin. « Le idee di Gramsci fuori del marxismo-leninismo sono niente », ha affermato Sobolev. In Cile è la « guerra di posizione » ad essere stata sconfitta, dice Sobolev, è la « guerra di movimento » che trionfa nell'aprile portoghese. Quindi ha domandato: perché sebbene oggi la classe operaia sia più forte che mai non avviene la rivoluzoine? Ecco la risposta: perché la borghesia ha fatto teso¬ ro delle sconfitte subite e ha appreso la polìtica delle piccole concessioni per conservare il potere e perché più forte oggi è la tendenza socialdemocratica. Se restava il dubbio circa l'ail'allusione all'eurocomunismo, lo storico sovietico lo Ita dissolto criticando direttamente la « rivoluzione antimonopolistica », secondo la quale basterebbe sconfiggere i monopoli per rendere visibile il capitalismo. « Ricordiamoci che non si deve assolutizzare il pluralismo e non confondere la tattica con la teoria », ha ammonito. Carolina Misiano, Georgi Filatov e Olga Grigorieva hanno affrontato infine rispettivamente l'antidogmatismo di Gramsci, il periodo in cui fu chiuso in carcere e il concetto di « via nazionale ». L'Unità e Rinascita forzano il rapporto tra « guerra di posizione » e « guerra di movimento », perché non lo interpretano nel contesto leninista, ma questo non fu l'atteggiamento di Gramsci, che di Lenin fu discepolo, ha detto la Grigorieva, rivolgendo in chiusura della conferenza il solo attacco esplicito agli italiani. Livio Zanotti

Luoghi citati: Berlino, Cile, Mosca