Svezia: dopo le riforme sociali più reati ma meno criminali

Svezia: dopo le riforme sociali più reati ma meno criminali Giuliana Cabrini risponde a Walter Rosboch Svezia: dopo le riforme sociali più reati ma meno criminali Desidero replicare brevemente e con dati scientifici all'articolo di Walter Rosboch. comparso su «La Stampa» del 13-4-77, concernente i nuovi problemi posti dalla «criminalità» a suo avviso dilagante in Svezia e le questioni carcerarie specifiche. Vorrei premettere soltanto che non si possono comprendere i meccanismi della giustizia svedese senza verificare la continua dialettica democratica ivi vigente fra codice penale, prevenzione della criminalità, riforme sociali e dell'apparato statale e interpretazione del codice penale. Non credo quindi che i termini emotivi e di allarmismo indifferenziato con cui il dr. Rosboch ha presentato il problema della «nuova criminalità» siano autenticamente svedesi nella formulazione, ma neppure nella percezione e nel tono: un tono sempre sommesso e apparentemente perfino «incolore», nella pulizia degli uffici governativi come delle carceri come delle strutture universitarie, nella cortesia «ufficiosa» del personale, nell'oculatezza dei dibattiti; frutto di uno sforzo non moralistico né ideologicamente sostenuto verso una giustizia distributiva anche delle immagini oltreché dei servizi sociali e dei mezzi economici, e di una volontà severa di gestire dialetticamente ogni tensione categoriale e ogni esigenza personale o di gruppo. Ed ora veniamo allo specifico: le mie affermazioni precedenti, contenute nell'articolo pubblicato su «La Stampa» del primo aprile, non derivavano da una generica o romantica conoscenza (cioè non-conoscenza) del problema carcerario svedese. Citerò dunque i dati fornitimi dalla Direzione Generale delle carceri, decentrata a Nordkòping, sede (dopo Stoccolma) dell'attuale amministrazione penitenziaria. Basti dire che il direttore generale del Kriminalsvàrd, responsabile della politica carceraria complessiva e di tutte le carceri, risiede a Nordkòping dove ho potuto parlargli. Innanzitutto l'aumento dei reati dal '60 a questa parte, se ovviamente vi è stato (8 per cento circa) è stato un aumento del numero dei reati, non delle persone che commettono il reato medesimo. E' stato soprattutto un aumento dei reati connessi allo spaccio e detenzione di droga: anche di furti per procurarsi la droga, non di rapina a mano armata, reato raro in Svezia e compiuto per Io più da stranieri. Ma è molto consolante, al contrario, la statistica ufficiale sui «recuperati»: di 100 incriminati o condannati, soltanto il 18 per cento rientra in prigione dopo la prima volta. E di questo 18 per cento, l'80 per cento è recidivo per cause che l'amministrazione individua soprattutto in forme di alienazione sociale e nella raddoppiata celerità dei processi generazionali tipici. Nel 1976 a Ginevra ci fu una importante conferenza sulla criminologia, nel corso della quale il direttore generale delle carceri svedesi, Martinsoii, sostenne la necessità di integrare le carceri, creando ad esempio sale comuni fra bracci maschili e femminili, e prospettando il progetto che tutte le carceri locali svedesi in futuro siano così costituite. Questo perché a suo avviso l'integrazione (così come la presenza dei secondini maschi nelle carceri femminili, e quella delle secondine nei carceri maschili), favorisce la distensione e la diminuzione dell'aggressività nelle carceri. Egli parlò a Ginevra della cresciuta maturità dei detenuti «socializzati», e dell'alta percentuale di detenuti studenti (oggi, dei 3700 reclusi svedesi, circa 700 studiano). Chi gli si oppose a Ginevra, furono (è amaro constatare la perennità degli atteggiamenti conservatori mediterranei a livello politico come giornalistico) i rappresentati dell'Italia e della Francia. Esiste poi a livello carcerario un «Ccnsiglio nordico» in cui sono rappresentati i seguenti paesi: Finlandia, Danimarca, Norvegia, Svezia e Islanda. I direttori generali delle carceri s'incontrano ogni anno, creando armoniche condizioni per un accordo che è insieme economico-culturale-sociale, e che rientra nei nuovi accordi di diritto internazionale. In nessuno di questi paesi dai problemi affini si è parlato con allarmismo della «criminalità dilagante» a detta del dr. Rosboch, anche se si è posto il problema della diffusione della droga in modo aulenti, camente serio e impegnato. Tradurre in termini latini la serietà dell'indagine e della diagnosi nordica con il nostrano e antiscientifico «orrore della criminalità» significa ancora una volta snaturare la reale portata dei problemi e tentare la solita machiavellica ridicolizzazione dei tentativi altrui di risolverli finalmente. O ricorreremo ai luoghi comuni sulla immutabilità dell'uomo e dell'universo, imprestandoci così alle manovre del più vieto conformismo apocalittico? Giuliana Cabrini

Persone citate: Giuliana Cabrini, Rosboch, Walter Rosboch