Essere donna nei giornali
Essere donna nei giornali Convegno a Milano Essere donna nei giornali Sarà un atto d'accusa contro la stampa, contro i poteri dei direttori, contro il sistema di reclutamento dei giornalisti, contro i metodi di lavoro, insomma, contro un giornalismo che nella gran parte dei casi segue pedissequemente le direttive del Palazzo e non da spazio alle donne come addette ai lavori o come utenti. Senza fasti e pompe, senza saluti ufficiali di ministri, sottosegretari, personalità varie, con una organizzazione volutamente dimessa, in polemica con quella fastosa, in analoghe occasioni, per riunioni di colleghi, si apre presso il Museo della Scienza e della Tecnica, a Milano, venerdì e sabato prossimi, il I Convegno nazionale delle giornaliste italiane. 11 tema è: «La donna nell'informazione ». L'atto d'accusa non è gratuito. Nelle relazioni preparate collettivamente dalle colleghe delle varie città, con un lavoro di mesi, non v'è soltanto una generica « lamentalo » sulla condizione femminile nel mondo del tondo e corsivo, ma dati, statistiche, testimonianze a sostegno di quanto si afferma, e una nutrita messe di concrete proposte di rinnovamento sia specifiche per le donne sia per il settore, proposte che non mancano di originalità e di coraggio. Tutto è cominciato nella primavera 1975, a Milano, quando un gruppo di giornaliste appartenenti alla corrente sindacale di Rinnovamento ha coordinato una ricerca, attraverso questionari, sulla condizione della giornalista in Lombardia. Gli identikit delle 190 professioniste e delle 350 pubbliciste non furono incoraggianti. Residenti quasi tutte nel capoluogo lombardo, in alta percentuale non giovanissime, per più della metà occupate nei periodici femminili e per un'altissima percentuale perennemente ferme ai gradini più bassi della carriera, senza avere occasioni di mobilità e cambiamenti, marginate in settori legati al ruolo femminile anche nei periodici politici e nei quotidiani, spesso frustrate e insoddisfatte. Ma è soprattutto l'accesso alla professione e l'inserimento che per le donne è stato e continua ad essere estremamente difficoltoso. Il posto fisso è conquistato spesso soltanto dopo snervanti e lunghi periodi di attesa. Collaborazioni facili, assunzioni difficili, è stato il commento più ripetuto: il 26 per cento delle colleghe che hanno risposto al questionario hanno impiegato dai sei ai dieci anni per diventare professioniste e ottenere l'iscrizione all'Albo dei giornalisti! Dall'analisi di questi e altri dati la giornalista è, si leggeva nella relazione, « pesantemente discriminata, considerata come una manovalanza di riserva, quel bracciantato del giornalismo destinato a calmie¬ rare le assunzioni e a tappare dall'esterno i "buchi" nelle redazioni con faticose ed insicure collaborazioni ». Se questa è la situazione delle giornaliste in una regione come la Lombardia, dove si accentrano i mega-complessi editoriali, con ampie redazioni nei periodici femminili, in quelli di attualità e nei quotidiani di importanza nazionale, nel resto del Paese non può andar meglio. I giornalisti professionisti sono complessivamente circa settemila, di cui poco più di cinquecento donne. E dove lavorano? Nella maggioranza, si è detto, nelle testate femminili, pochissime nei quotidiani (15 a «Paese Sera », 6 a « Il Tempo » 11 a « Repubblica », 5 al « Corriere della Sera», 16 a «La Stampa », 1 al «Messaggero»); 36 presso l'Azienda Rai Tv, su uno staff complessivo di 661; parecchie nelle agenzie di stampa. L'ideologia del Convegno nazionale « La donna nell'informazione » parte dunque da queste considerazioni. Che cosa significa lavorare nelle piccole testate, oppure in elefantiache aziende? Che significa essere pubbliciste e far parte della larga schiera di collaboratrici? Quanti giornali si servono del lavoro nero? Le nuove tecnologie incideranno negativamente nel lavoro delle giornaliste? E ancora, come la stampa recepisce il femminismo, cioè come usa e consuma la figura donna; come la giornalista è inserita nel sindacato; che importanza visiva ed economica ha la pubblicità nella stampa femminile e come condiziona ed influenza il lavoro giornalistico; come si lavora nelle Radio libere. Ma, al di là dei problemi specifici alla condizione femminile (ed è per questo motivo che il Convegno è aperto a tutte le donne che lavorano nel campo dell'informazione, e nessun uomo potrà prendere la parola), le giornaliste, con questo Convegno, intendono inserirsi e partecipare al dibattito più generale sulla riforma della stampa, aiutare a scioglierne i nodi. Il movimento delle donne, esse affermano, è oggi un punto di riferimento nei mutamenti sociali, il momento di rottura di molte strutture; una di queste è anche il quarto potere, la stampa; completamente in mani maschili, con un linguaggio maschile, lontano dalla realtà di più della « metà del cielo ». Se si vuole un giornalismo in qualche modo diverso, che si rinnova come la società, esso deve cominciare a far pulizia dentro se stesso. Le giornaliste chiederanno anche l'abolizione dell'Ordine e d'una serie di altri privilegi corporativi, per « scardinare uno status che nulla ha a che fare con la professione e la professionalità ». Maria Adele Teodori
Persone citate: Maria Adele Teodori
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