Un solo imputato per la strage in carcere durante la rivolta del '74 ad Alessandria di Francesco Bullo

Un solo imputato per la strage in carcere durante la rivolta del '74 ad Alessandria L'istruttoria è stata affidata alla Procura generale di Genova Un solo imputato per la strage in carcere durante la rivolta del '74 ad Alessandria Il tragico bilancio fu di 6 morti e 15 feriti: fra le vittime il medico Gandolfi e l'assistente sociale Graziella Vassallo Dei due detenuti sotto inchiesta, il magistrato propone il rinvio a giudizio di Everaldo Levrero che minacciò gli ostaggi (Nostro servizio particolare) Genova, 25 aprile. A tre anni dalla strage nel carcere di Alessandria, che si concluse con sei morti e una quindicina di feriti più o meno gravi, l'inchiesta è giunta al termine. Nei giorni scorsi il Sostituto procuratore generale di Genova, dott. Giorgio Jommi, al quale il caso era stato affidato per legittima suspicione (due giudici alessandrini potevano essere parti lese), ha consegnato al giudice istruttore Petrillo la requisitoria. Queste le conclusioni: «Non luogo a procedere» per Cesare Concu e Domenico Di Bona, i due banditi morti; proscioglimento con formula piena per Gioacchino La Duca; rinvio a giudizio di Everardo Levrero per le uccisioni. Rimane senza nome chi portò le armi in carcere. In tredici pagine fitte le sequenze, minuto per minuto, della sanguinosa rivolta. La tragedia ha inizio alle 9,30 del 9 maggio '74 quando tre detenuti, Di Bona, Concu e Levrero, armati di pistole e coltelli sequestrano in infermeria il medico Roberto Gandolfi, l'infermiere e due carcerati. Concu, il capo, è stato condannato a 24 anni per aver strangolato la moglie, gli restano da scontare nove anni; Di Bona ha ancora sette anni di galera e Levrero quattro. In breve, con vari pretesti, riescono a far andare in infermeria e ad immobilizzare alcuni insegnanti (don Martinengo, l'ing. Rossi, i professori Campi, Demanuelli, Ferraris) che tengono corsi medi e tecnici all'interno del carcere. I criminali proseguono nel loro piano sequestrando il brigadiere Gennaro Cantiello, l'appuntato Sebastiano Gaeta con quattro loro colleghi, altri sei detenuti e due insegnanti. A tutti legano le mani, tenendoli sotto la minaccia delle armi. L'assistente sociale Graziella Giarola Vassallo va a parlamentare con i rivoltosi per ottenere la liberazione degli ostaggi: confida nell'ascendente che ha sul Concu. I rivoltosi non la lasciano più uscire. Mentre il carcere è circondato da carabinieri e polizia arrivano sul posto l'avvocato generale Prosio (oggi presidente del tribunale di Torino), il Procuratore della Repubblica di Alessandria, 3uzio, e il suo sostituto. Parola. La loro mediazione fallisce. Nel pomeriggio Concu detta le condizioni per liberare i prigionieri al Procuratore Generale Reviglio Della Veneria: pretende un pulmino con vetri schermati e una scortu per andarsene con i complici e gli ostaggi, altrimenti ne ucciderà uno ogni mezz'ora. Alle 19,30 esplode la tragedia. Ad un'azione di forza tentata da carabinieri e guardie carcerarie con lancio di lacrimogeni, ì rivoltosi rispondono ritirandosi in un altro stanzino con i prigionieri. Prima, però, Di Bona uccide con un colpo dì rivoltella alla nuca il dott. Gandolfi e ferisce il prof. Campi. Il giorno dopo, visti inutili altri tentativi di convincere i rivoltosi, si decide di passare all'azione. Ai primi colpi Di Bona reagisce sparando direttamente sugli ostaggi mentre Concu va a fronteggiare i militi. Dice: «Ora vado a uccidere un po' di carabinieri». E' il massacro: muoiono Vassallo, Cantiello e Gaeta, altri restano feriti. Di Bona prima di essere sopraffatto si toglie la vita con un colpo di pistola; Concu resiste, arma in pugno, finché una raffica non lo finisce. Levrero, invece, viene preso vivo. «Per l'efferatezza e la crudeltà dimostrata» non vi sono dubbi sulla sua responsabilità, documentata — come scrive il magistrato — da una serie di testimonianze. Durante le trattative infatti l'atteggiamento di Levrero fu più duro del Concu e fu proprio lui a rispondere: «Basta con le chiacchiere, lasciateci uscire o ammazziamo gli ostaggi». Inoltre mantenne gli ostaggi sotto la minaccia del coltello e «coprì» con la rivoltella il complice quando trattava con i magistrati. Diversa è per il Sostituto Procuratore Generale la posizione di La Duca, del quale alcuni detenuti avevano chiesto l'allontanamento dal carcere definendolo «una belva». L'imputato, difeso dall'avv. Gianaria, è riuscito a smontare le accuse. Tra lui e il Concu, infatti, non esistevano buoni rapporti perché quest'ultimo lo considerava un «privilegiato», favorito dalla direzione del carcere, e nel gennaio 1974 aveva cercato dì aggredirlo. Pure pessimi era¬ no ì suoi rapporti con Levrero che durante gli interrogatori lo definisce «ruffiano, persona di cui non ci si può fidare». Anche l'ipotesi che il La Duca potesse aver convinto due guardie ad andare in infermeria, dove poi vennero trattenute in ostaggio, è caduta. Ami, è provato che riferendo a un appuntato ciò che stava succedendo, lo sconsigliò di andare a vedere «trattenendolo per la giacca». Per queste ragioni il Sostituto Procuratore Generale propone il suo proscioglimento «per non aver commesso il fatto». Toccherà ora al giudice istruttore valutare queste richieste e decìdere chi dovrà essere rinviato a giudizio davanti alla Corte d'Assise di Genova. Francesco Bullo Alessandria. Detenuti dietro le sbarre durante la tragica rivolta (La Stampa - S. Bosio) fp

Luoghi citati: Alessandria, Genova, Torino