Guernica, quarant'anni dopo ricorda in piazza quel giorno di Mimmo Candito

Guernica, quarant'anni dopo ricorda in piazza quel giorno Segno d'una Spagna avviata verso la democrazia Guernica, quarant'anni dopo ricorda in piazza quel giorno (Dal nostro inviato speciale) Guernica, 25 aprile. Guernica fu distrutta nel pomeriggio di quarant'anni fa, tra le quattro e un quarto e le otto. Testimonianza di Avelino Martinez, oggi vecchio tassista bilbaino: «Quando incominciarono a bombardare la città, io ero a Marga, una frazioncina a un paio di chilometri lungo la strada del Nord. Saranno stati una ventina di aerei. Venivano in formazioni di tre a tre, lanciando le bombe come grappoli d'uva. Poi si alzavano e si allontanavano, per ritornare dopo pochi minuti. Da dov'ero, Guernica mi sembrava una grande torcia. Le colonne di fumo coprivano il cielo. Quando arrivai, tutto era in fiamme. Per strada non si vedeva a un metro attraverso il muro di fumo. La distruzione era agghiacciante, tanto che c'erano interi quartieri irriconoscibili. Le grida e i pianti me li ricordo ancora». E' la prima volta che la gente di Guernica parla, dopo quarant'anni di silenzio. I tabù cadono con le dittature, il manifesto che riproduce il celebre quadro di Picasso oggi è venduto anche nei grandi magazzini. Costa cento pesetas, lo comprano soprattutto i ragazzi: per un'intera generazione significava il rischio della galera, e una clandestina dichiarazione politica. Guernica ricorda in questi giorni la sua storia passata. Le strade sono piene di gente e coccarde basche, i ragazzi cantano in coro l'inno nazionalista. C'è un'atmosfera da festa paesana. Nessun segno ricorda oggi i bombardamenti di quel giorno, ma tutti hanno voglia di parlarne. Il franchismo ebbe sempre paura di Guernica. Ci costruì su la sua verità, e la difese duramente. Come Marzabotto, Oradour, My Lai. Tali al Zaatar, i simboli della resistenza dei popoli contro la ferocia della guerra sono insopportabili ai regimi. Oggi che la Spagna si libera lentamente del suo passato, la gente di Guernica chiede il risarcimento della verità vera. Il processo l'hanno aperto sei storici, riuniti nella Casa de Juntas davanti a una platea affollatissima. Fuori, seduta sui gradini e nelle strade, quasi tutta Guernica seguiva in un silenzio emozionato e teso la voce grave degli altoparlanti che diffondevano dovunque il dibattito. Non un grido, non un applauso. Era un incontro con la storia. I professori parlavano con accento piano, senza emozioni: la lettura dei loro documenti aveva la grigia neutralità della ricerca scientifica. Ma le cifre, i confronti, le citazioni smontavano implacabilmente una lunga menzogna. Un leggero brusio passava tra migliaia di teste immobili, quando la dimostrazione era più evidente, una testimonianza più drammatica. Un vecchio piangeva confortato a voce bassa. Il 26 aprile del '37, il ministro dell'Interno del governo autonomo basco aveva telegrafato al governo repubblicano di Madrid: «Guernica morta stop restano solo rovine et ceneri stop diecimila donne et bambini fuggono lungo strade temendo essere mitragliati domani da aviazione come già questo pomeriggio stop. Supplichiamo intervenire situazione pesantissima stop». Guernica è un piccolo centro basco, situato lungo le vallate che s'inseguono tra Bilbao e il confine con la Francia. Il pronunciamiento dei nazionalisti e l'esplosione della guerra civile lo avevano trasformato in una delle tante retrovie del fronte settentrionale; aveva settemila abitanti, quattromila profughi dalle città e dai villaggi vicini, due mitragliatrici antiaeree. Non rappresentava alcun obiettivo strategico di rilievo, fu raso al suolo in un bombardamento di quattro ore. Il governo basco diede un elen¬ co di 1654 morti e 889 feriti. Furono scaricati cinquantamila chili di bombe. Perché? Le spiegazioni del franchismo furono due, la seconda in correzione della prima. La versione iniziate sta nella nota del quartiere generale franchista, nove giorni dopo la distruzione della città: « Guer' nica non è stata bombardata dalle nostre forze aeree. E' stata incendiata con benzina e petrolio dagli stessi baschi e dai separatisti rossi ». La seconda versione, autorizzata dal Caudillo solo dieci anni fa, è tutta una serie di rimaneggiamenti di notizie (opera soprattutto dello storico neofranchista Ricardo de la Cierva) che tende ad attribuire la « morte di Guernica » a un errore dell'aviazione nazista: incaricate di bombardare un ponte, le squadriglie della « Legione Condor » avrebbero sbagliato bersaglio per colpa del vento e avrebbero colpito la città. Dice Castor Uriarte, che fu architetto municipale di Guernica: «Di fronte all'offensiva del Nord, nel primo trimestre del '37, nelle riunioni che si tennero nel municipio di Burgos e sul monte Macotegui si concordò di bombardare le città di Durango, Guernica e Bilbao. In queste riunioni erano presenti il tenente colonI ir=llo Vigon — che dopo sa-1 | rebbe stato ministro dell'Ai viazione —, il capo di stato maggiore, generale Mola, il I capo della "Legione Condor", I generale Von Reichthofer, il capo della divisione italiana e altri alti generali. Prima arrivarono le bombe a Durango, dopo a Guernica e non giunsero a bombardare anche Bilbao per il clamore che si sollevò in tutta Europa dopo la distruzione della città». L'autodistruzione da parte dei rojos separatistas, l'errore nazista, la non colpevolezza di Franco all'oscuro della decisione, sono smontati con chiarezza dalia voce che esce dagli altoparlanti, implacabile; il professor Angel Viiias legge senza emozione documenti i- Mimmo Candito (Continua a pagina 2 in quarta colonna)

Persone citate: Avelino Martinez, Castor Uriarte, Marga, Mola, Picasso, Von Reichthofer