Ma perché non si può salvare un camoscio "morto di fame"?

Ma perché non si può salvare un camoscio "morto di fame"? Il "caso,, in una riserva valdostana Ma perché non si può salvare un camoscio "morto di fame"? (Dal nostro inviato speciale) Aosta, 23 aprile. L'inverno che è appena terminato sarà ricordato a lungo: dagli sciatori che da anni non vedevano tanta neve, dagli albergatori che hanno fatto affari d'oro e dagli animali per i quali il gelo e le precipitazioni inconsuete sono state un calvario. Da qualche tempo si parla delle tremende difficoltà che sta attraversando il Parco nazionale del Gran Paradiso, della sua cronica carenza di bilancio: se non si trovano al più presto alcune centinaia di milioni per pagare gli stipendi arretrati alle guardie e assumerne di nuove, gli ammali rischiano di restare senza difesa di fronte ai bracconieri. Ora che i rapaci (e la colpa è soltanto dell'uomo) sono scomparsi, il bracconaggio è il grande nemico di camosci e stambecchi ed è giustamente perseguito: eppure, anche se la cosa è ineccepibile dal punto di vista legale, un contadino di Fenis e il veterinario di Chàtillon stanno avendo delle grane per avere mantenuto un camoscio per alcuni mesi e poi avere cercato di venderlo. «All'inizio dell'anno — dice il dottor Marcoz — mi telefona un contadino per chiedermi consiglio: a Fenis, sulla neve che era scesa anche nel fondovalle, aveva trovato un camoscio di pochi mesi stremato dagli stenti e, invece di servirlo agli amici con la polenta, aveva intenzione di allevarlo». E l'insolito esperimento comincia: l'animale è ospitato nella stalla, invece della magra erba che è abituato a brucare si rimette in forza con fieno, latte e frutta, inizia ad accettare la vicinanza dell'uomo. Ma il paese è piccolo e qualcuno, venuto a sapere dell'animale, fa una «soffiata» al Comitato caccia che deve intervenire perché è illegale detenere e commerciare selvaggina. «Qualche giorno fa — continua Marcoz — uno sconosciuto mi telefona e si dice disposto ad acquistare il camoscio per inserirlo nella propria riserva: il contadino è d'accordo, sì fissa il prezzo in 250 mila lire e, al momento di concludere l'affare, gli acquirenti si identificano come poliziotti privati e sequestrano l'animale, riservandosi di farci poi sapere a quale ammenda andiamo incontro». Al Parco del Gran Paradiso non hanno ancora fatto la consueta conta annuale, ma è prevedibile che l'inverno abbia mietuto più vittime del solito fra gli animali: uno stambecco (e si sa come questo solitario abitante dei picchi, a differenza del camoscio, non scenda mai a valle) è arrivato fino alla casa di Silvio Stefanelli, direttore del giardino Paradisia a Cogne, e per una settimana ha accettato il fieno brucandolo addirittura dalle mani dell'uomo: soltanto tre giorni fa ho visto tre camosci quasi sulla strada della Valnontey, in cerca forse di qualcuno che li sfami o li «adotti» finché la neve non si sia sciolta. Alcuni anni fa il sindaco di Ceresole Reale (e non ha mai avuto grane per questo fatto) raccolse sulla piazza del paese un cucciolo di camoscio: era un gennaio siberiano, gli animali calavano a frotte con la speranza di trovare ad attenderli un po' di fieno invece delle canne dei fucili; il cucciolo fu curato dal raffreddore con l'aspirina, si dimostrò di gagliardo appetito poppando litri di latte finché a primavera, salutate le capre che vivevano con lui nella stalla, trovò aperta la porta e fuggì. Ora anche il camoscio di Fenis, portato in Valsavaranche, è tornato sui monti: è un animale libero ed è giusto che sia cosi, ma forse, quando è costretto a cercarsi il cibo, rimpiange quelle mele così buone che otteneva senza fatica. E magari racconta ai suoi compagni la sua vacanza in pianura e conta di ripetere la sua breve stagione con l'uomo che, almeno nel suo caso, non è stato poi quell'assassino che tutti dicono. Gigi Mattana Carlo Marcoz

Persone citate: Carlo Marcoz, Gigi Mattana Carlo, Marcoz, Silvio Stefanelli

Luoghi citati: Aosta, Ceresole Reale, Cogne, Fenis