Il dono di Manzù alla Resistenza di Marziano Bernardi

Il dono di Manzù alla Resistenza UN SUO MONUMENTO INAUGURATO DOMANI A BERGAMO Il dono di Manzù alla Resistenza Prima dello scoprimento nessuno potrà vederlo - Un motivo caro all'artista: l'impiccato e, al fianco, una donna dolorante Il monumento in bronzo alto circa 5 metri, donato da Giacomo Manzù a Bergamo, sua città natale, per ricordare e celebrare la Resistenza, lo si vedrà e apprezzerà intero all'atto dello scoprimento domani 25 aprile, trentaduesimo anniversario della Liberazione, nei giardini di Porta Nuova. Prima, neppure una fotografia « ufficiale » concessa alle agenzie di stampa. L'autore ha voluto mantenere il massimo riserbo intorno alla sua opera. E' un gesto di orgoglio? A un grande artista lo si può concedere; e del resto di un'opera di tanta importanza non si può parlare che pacatamente, in un secondo tempo, come faremo anche dell'imponente mostra dedicata dal Comune di Bergamo alla quasi quarantennale attività di Manzù: 37 sculture presentate nel Salone delle Capriate del Palazzo della Ragione in Bergamo Alta; altre di maggiori dimensioni situate nel portico del medesimo Palazzo e nella Piazzetta del Duomo e in piazza Giacomo Carrara; 58 disegni a matita, carbone, pastello, penna, tempera disposti in quattro sale dell'Accademia Carrara con 18 disegni ispirati ad opere di antichi maestri, e 23 gioielli in oro; irifine, nel Centro Culturale S. Bartolomeo, una sezione di 29 incisioni e 42 affiches stampate per le più importanti mostre dello scultore in tutto il mondo. Manzù e la Resistenza. Questo binomio che sintetizza la posizione di un uomo, di un artista ch'è dei maggiori dell'età contemporanea, di fronte a una situazione storica di immensa portata spirituale e politica, sembra nell'attuale circostanza assumere un significato particolare. Fin dalle prime prove della giovinezza, fin dai tempi della sua adesione alla milanese « Corrente » che ribadiva, in termini plastici diversi, l'insofferenza per il conformismo artistico del regime fascista espresso dalle manifestazioni deteriori del « Novecento », di cui avevano già dato segni i « Sei pittori di Torino » e i sodali della cosidetta « Scuola Romana », Manzù si è sempre mostrato un « resistente », e tale ha continuato a mostrarsi nella gran burrasca di ciò che genericamente si può chiamare il « non-figurativo »: una « resitenza », quest'ultima, che stranamente (ma è stranezza soltanto apparente) si pone in contrasto con tutto ciò che di straordinariamente moderno è nella concezione plastica di Manzù e nella sua magistrale modellazione. La sua fu e rimase — a parte le persecuzioni più o meno brutali delle bande nazifasciste (i suoi amici vennero arrestati, la sua casa a Milano fu varie volte perquisita, i tedeschi lo scacciarono da elusone) — una Resistenza tutta interiore, fatta di convinzioni incrollabili, di furori repressi, ma soprattutto pervasa da un controllo morale che coinvolgeva sentimenti di carità e di pietà, immedesimati con un'idea altissima della sacralità della vita umana, e quindi della preminenza del divino sul transitorio. Non è casuale l'impressione che gli fece, nel '34, durante una breve gita a Roma, la visione del papa seduto tra due cardinali, prima spunto per la famosa serie dei « Cardinali », chiusi nel manto di una fede mista alla solennità della liturgia come guer¬ rieri catafratti da un'inviolabile corazza: immagine rituale che sparirà per far posto alla fragilità del genuflesso Papa Giovanni, spirante, della Porta di San Pietro. Forse allora germinò nell'anima di Manzù quella sua religiosità che non è mai em¬ blematica devozionale ma sempre, e soltanto, meditazione assidua ed intensa, coincidente con la condanna del sopruso e della violenza, e quindi con tutto ciò che costituiva un'ideologia da lui detestata. Ancor prima della dichiarazione dell'infame guerra egli, nel '39, modellava gli otto bassorilievi dal titolo « Cristo nella nostra umanità », che rivelavano chiaramente la sua posizione politica nei confronti del nazismo. Il tema era ripreso più tardi, e la visione orrenda ch'egli ebbe d'un partigiano appiccato per i piedi si confuse con l'idea del Cristo caricato, per volontà divina, di tutte le sofferenze umane, di tutti i crimini degli uomini dalla nascia di Adamo all'ultimo giudizio. Quel corpo penzolante espiava per tutti; ma per Manzù simboleggiava la volontà di resistere. Questo è forse il suo senso di una « Resistenza » che non può e non deve avere mai fine; ed è persino la resistenza alla morte, con la vittoria dello spirito, come ci dice la sublime Porta di San Pietro. Resistenza non soltanto alla guerra, al sangue, al delitto. Ma anche all'ingiustizia che ancora travaglia la nostra vita. Manzù non si domanda quando e se finirà, non tenta approdi all'isola di Utopia. Alterna i pensieri gravi con gli aspetti sereni della vita che il suo altissimo magistero artistico gli consente di esprimere; ma nel fondo della sua anima c'è una serietà, una gravità di propositi che pochi altri artisti manifestano così assidua. Anche la carnalità dei suoi Amanti ha qualcosa di tragico, a volte sfiora il presagio della morte. Senza patirla troppo fisicamente, l'atrocità della guerra ha impresso segni indelebili sulla sua anima già adulta. Aveva più di trent'anni (è nato a Bergamo il 22 dicembre 1908, dodicesimo figlio di un calzolaio, ed ha conosciuto i morsi della miseria), quando quei segni gli lasciarono cicatrici non conosciute dalle tante mosche cocchiere d'una Resistenza « per sentito dire » che continuano a ronzare intorno a un tema abusato. Per l'opera che ha voluto donare a Bergamo ha tutte le carte in regola, addirittura quelle dell'anagrafe. Ma ne ha anche altre. E' un artista che non ammette compromessi alle sue ideazioni. E' rimasta memorabile la sua disputa col cardinale Tosta, incaricato dalla Curia di seguire il lavoro della Porta di San Pietro, e di richiedere eventualmente modificazioni. All'alto prelato non piaceva che Caino fosse rappresentato vestito di camicia e pantaloni ed Abele fosse nudo. Manzù rispose: «Abele è il pastore ed è il puro di spirito. Perciò è nudo come Adamo nel Paradiso terrestre. L'altro, l'assassino, non è puro. Perciò è vestito come Adamo dopo la cacciata ». Il cardinale non si convinceva, scorgeva nel bassorilievo una «allegoria della lotta di classe»; voleva vestiti di pelli i due fratelli. Stizzito Manzù si sforzò di accontentarlo, ma prima della fusione rifece Abele nudo. « Se lo vuole vestito, replicò al cardinale, io al suo posto ci lascio un buco ». Il buco non c'è, per fortuna, e Caino è vestito ed Abele è nudo. Possiamo esser certi che anche nel monumento alla Resistenza di Bergamo, Manzù non ha accettato consigli se non da se stesso. Marziano Bernardi Manzù: «Morte per violenza» (maggio 1963)

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