Alpaese dei sequestratori di Clemente Granata

Alpaese dei sequestratori SAN LUCA DI CALABRIA ESPORTA CRIMINALI AL NORD Alpaese dei sequestratori Qui, dove è nato uno scrittore civile come Corrado Alvaro, sarebbe il centro operativo della nuova " 'ndrangheta " - Le montagne d'Aspromonte possono nascondere delinquenti e vittime - Ammissioni caute, a mezza voce, in un tessuto di reticenza (Dal nostro inviato speciale) San Luca (Reggio Calabria), aprile. « Benvenuti a San Luca », dice la scritta nera su sfondo giallo nel cartello sistemato all'altezza dell'ultima curva prima del paese. Il saluto è ripetuto in francese e in tedesco ed è un saluto forse un po' pretenzioso perché i turisti non abbandonano la costa. E poi. quali attrattive avrebbe San Luca? C'è la casa nativa di Corrado Alvaro, va bene, ma se ne può vedere soltanto la facciata dipinta di rosso, la porta è sbarrata, l'ultimo parente dello scrittore è partito da tempo. C'è una chiesa barocca assai malridotta. E poi? Nient'altro. E non esistono neppure attrezzature, alberghi; c'è solo un bar che è una miserrima stanza. All'opposto, il bilancio offre quella trista fama che vuole San Luca cuore dell'anonima sequestri, il paese che esporta al Nord la nuova criminalità, il centro operativo della <t 'ndrangheta ». Di qui vengono Giovanni Ficarra e Antonio Pizzato, Antonie Calabro, Giovanni Strangìo e Giovanni Pelle fermati a Torino per le indagini sulla catena dei sequestri da Costa a Bongiovanni, da Navone a Rosso. Qui abitavano anche Giuseppe Giorgi avvelenato in carcere, Sebastiano Giampaolo e Giuseppe Calabro ricercati per il rapimento Ceretta. Vediamo le loro case basse, con le mura esterne prive di intonaco come sono quasi tutte le case di San Luca. E poi si dice che ci sono tante altre persone implicate direttamente o indirettamente nella losca attività. Siamo venuti qui non per avere conferme improbabili di sospetti o per scoprire impossibili verità, ma soltanto per vedere, ascoltare, comprendere, ammesso che si possa. A cento chilometri da Reggio, vicino a Bovalino, si lascia la costa ionica che corre lungo spiagge d'argento con un mare puro, dai riflessi blu e viola, tra ulivi, glicini, fichi d'India, chiazze di fiori gialli e filari d'uva, si imbocca la provinciale con l'asfalto sconnesso e si sale in montagna a fianco del letto del torrente Bonamico che nella storia del paese ha avuto un ruolo malvagio. Molta sventura Ed ecco il primo quadro, quello di San Luca colpito dalla sventura e molto povero. Per tre volte in venti anni (l'ultima il 1° gennaio del 73) il Bonamico straripò, la montagna franò e seppellì alcune abitazioni. Il paese (cinquemila abitanti) fu evacuato, la gente andò a Bovalino, Bianco, Locri, poi volle tornare anche se le case erano pericolanti e tali sono rimaste. Era terra di pastori, adesso parecchi fanno i braccianti nell'opera di ri¬ forestazione dell'Aspromonte. Due mesi di lavoro in un anno, guadagno complessivo sulle 750 mila lire, mutua assicurata. E per gli altri dieci mesi si attende. Chi ce l'ha, bada a una striscia di terra (ceci, fave, un pugno di grano); la disocccupazione giovanile raggiunge vertici elevatissimi. Dunque uno dei paesi più depressi della già depressa Calabria. « San Luca dimenticato da Dio e dagli uomini » dicono, scuotendo il capo, i vecchi seduti sulla panchina della piazzetta davanti al municipio. Un paese sfortunato. Perché ha anche quella terribile fama? C'è allora un secondo quadro che si sovrappone al primo. Viene fuori dalle dichiarazioni degli inquirenti e da chi ha una certa dimestichezza con le tribolate faccende di questi posti. E' vero, si dice, la depressione esiste, ma è proprio questa che favorisce il dilagare della delinquenza e la disponibilità a rispondere ai richiami di tipo mafioso. Qui ci sono pastori e braccianti, gente che trascorre parecchi giorni in montagna. Si tratta dunque, si dice sempre, degli individui giusti per custodire eventuali sequestrati, per mantenere i contatti con i latitanti dell'Aspromonte. Sono persone che possono essere adibite senza molta difficoltà e senza dare particolarmente nell'occhio a lavori di manovalanza della criminalità or¬ ganizzata. Sono detti i « camerieri ». La questione ripropone torbide storie che risalgono nel tempo. Il territorio di San Luca, si fa notare, è' al centro dell'Aspromonte, a uguale distanza in linea d'aria da Reggio, Siderno e Gioia Tauro, i tre centri operativi della « 'ndrangheta ». E questa posizione, a parte le ragioni d'ordine pratico, ha un suo significato nella liturgia di stampo mafioso. Vecchie liturgie Era un centro ideale per gli incontri tra i capibastone e gli affiliati alle varie «'ndrine » che sono le diramazioni della « 'ndrangheta », la « società degli uomini diritti e d'onore ». Gli incontri avvenivano (e talvolta avvengono ancora) al Santuario di Polsi, 35 chilometri dal paese, raggiunto, specialmente in settembre, da numerosi gruppi di pellegrini. Vicino al Santuario, almeno fino al 1965, ha operato anche il « tribunale della mafia calabrese ». Alcune cose ora sono cambiate, la « 'ndrangheta » ha abbandonato antiche liturgie per vestire abiti più moderni, per adottare una mentalità manageriale più consona al tipo di trasformazione che si profila in Calabria: passaggio da una società agricolo-pastorale a una società interessata anche all'espansione industriale. Ecco allora che le cosche locali puntano a forme di attività prima impensabili: accaparramento degli appalti e subappalti di opere, e parallelamente ingresso nel traffico della droga, delle armi, dei diamanti e nei sequestri di persona. E' un trapasso che non è avvenuto senza traumi e scuotimenti all'interno della stessa organizzazione mafiosa. Lo scontro tra i vecchi esponenti della « 'ndrangheta » e le giovani leve è stato ed è tuttora violento. I primi, più propensi a indirizzarsi in modo prevalente verso gli appalti e i subappalti; le seconde, più scalpitanti, decise ad arricchirsi in breve tempo soprattutto con la droga e i sequestri. I primi, fedeli ai principi di un codice d'onore (anche se distorto e talora aberrante); le seconde più rispondenti ai « clichès » della nuova delinquenza proterva ed avida, disposta a sacrificare tutto sull'altare del tutto e subito. Anche San Luca ha vissuto questo scontro e per ora ha avuto la prevalenza la vecchia guardia rappresentata dai fratelli Giuseppe e Ciccio Nirta, due possidenti che da qualche tempo sono scesi sulla costa sistemandosi a Bianco. Gli avversari, esponenti della « 'ndrangheta » minore detta anche la « bastarda », se ne sono andati; alcuni come Sebastiano Romeo, il capo dei giovani leoni, sono latitanti; altri si sono trasferiti al Nord dove avrebbero intrapreso l'attività dei rapimenti divenuta troppo difficile nel territorio di San Luca: sarebbero appunto i Calabro, i Ficarra, gli Strangìo, i Giorgi, i Giampaolo, che hanno' fatto la loro violenta irruzione nelle cronache della « mala » torinese. Ma di tutto questo, cosa dice la gente qui a San Luca? E' il terzo quadro, quello più difficile da decifrare. E' fatto di silenzi più che di parole, di trasalimenti improvvisi, di sguardi e cenni d'intesa con i vicini. Saliamo una mattina in paese. Passa una folla muta ài uomini dimessi che vanno a un funerale, sulla piazza del municipio sistemano le bancarelle del mercato settimanale. In comune troviamo il sindaco, Rocco Mammoliti, 39 anni, e tre consiglieri, un bidello, un bracciante e un disoccupato. Sono stati eletti tutti in una lista di sinistra che il 15 giugno del '75 ha conquistato la maggioranza. Parlano della miseria di San Luca, della delinquenza giovanile, che specialmente lo scorso anno ha imperversato nella zona (una rapina al giorno sulla provinciale che conduce alla Ionica), parlano della disoccupazione. E il discorso, finché affronta questi temi di carattere generale, va avanti liscio, ma s'interrompe non appena si affronta l'argomento più specifico del fenomeno mafioso. « La " 'ndrangheta" che è? Io non ne faccio parte » dice un consigliere, ed è indubbiamente sincero, ma è peraltro probabile che lui, gli altri consiglieri, il sindaco sappiano parecchie cose e non vogliano rivelarle, non diciamo a noi ma agli inquirenti, che cercano di risolvere rebus intricati. Il sindaco: « Non credo che certi problemi si risolvano facendo la spia al Governo, che ci ha dimenticati per tanto tempo. Guardi il nostro paese, non vede che è un paese condannato? ». Un consigliere: « Da noi abbiamo un detto: non guardare "u fumo chi fuma", il forno che fuma, capito?». Il sindaco: «Avete scritto che il 90 per cento della gente di San Luca è legata ai sequestri. E' falso. Il 90 per cento è gente onesta ». Il parroco, don Trimboli, ha taglia atletica, la pelle bruciata dal sole, occhi chiari. Ha la casa piena di libri che mostra con un certo orgoglio, sulla scrivania è appoggiato un radiotelefono, dice che gli serve per arzre notizie dei pellegrini che frequentano il santuario di Polsi. « La mafia? » domanda, e aggiunge: « Prima serviva alla protezione del debole ». E adesso? « Adesso c'è la delinquenza minorile, qui come da altre parti ». E i Ficarra, i Calabro, gli altri? « Per quello che ne so, sono bravi ragazzi di San Luca, il resto l'ho letto sui giornali ». E i fratelli Mirta? «Ce ne fossero tanti come loro, qui si vivrebbe tranquillamente». Un attimo di silenzio, poi: « Apprezziamo gli uomini che si sono redenti. E poi, qui basta che uno commetta una fesseria ed è segnato per tutta la vita ». Quale fesseria? Don Trimboli fa un gesto vago e le sue palpebre diventano sottili fessure. Ragazzi perbene Poco dopo, a colloquio con un'insegnante. « Quelli arrestati a Torino? Finché sono stati qui niente da dire, si saranno guastati da altre parti. Ficarra poi era uno che s'interessava di sport, era presidente della nostra squadra di calcio che partecipa al campionato di seconda categoria ». Una sera che piove e le strade del paese si sono trasformate in torrenti, siamo riuniti con un gruppo di giovani in una casa attorno ad un braciere. Offrono liquori e « stomatico », un dolce del posto fatto di mandorle e caffè. Si lamentano della loro triste condizione giovanile, del loro destino di potenziali disoccupati, dicono che hanno crisi di disperazione e appaiono sinceri. E fanno anche alcune rivelazioni, caute, a mezza voce, indicano nomi, muovono qualche accusa, affermano che qui molta gente sta meglio « di quello che vuol far credere » e che il lavoro nella forestale serve da copertura per altri illeciti traffici, e ancora che, « se si potesse guardare nei conti in banca di parecchie persone, verrebbero fuori grosse sorprese ». Quale verità allora per San Luca? Terra di disperati o cuore della « 'ndrangheta » divenuta moderna e criminale? «Questo è un ambiente kafkiano », è possibile tutto e il contrario di tutto, dice un inquirente, e ha un amaro sorriso. Clemente Granata