Giscard l'africano di Alberto Cavallari

Giscard l'africano Vuol essere guida dei francofoni Giscard l'africano (Dal nostro corrispondente) Parigi, 22 aprile. Il vertice franco-africano di uakar si è concluso confermando le aspirazioni di Giscard alla ripresa di ruolo francese in Africa. Il comunicato finale riflette l'intesa raggiunta tra il presidente e 1 diciannove stati francofoni «moderati» per meglio difendere «la sicurezza, e l'indipendenza» contro le «ingerenze straniere». Il discorso conclusivo del presidente è stato poi di tono trionfalista, basato sul concetto che «l'Eurafrica sia garante degli africani indipendenti». Giscard si presenterà così alla conferenza di Londra, il mese prossimo, come portavoce degli africani «moderati» e come difensore di una proposta per un aiuto eccezionale dell'Occidente al Continente nero. L'operazione nello Zaire ha cosi dato i suoi frutti, e la Francia torna a proporsi come un punto di riferimento preciso agli africani moderati che lamentavano due cose: rallentarsi della famosa «cooperazione» francese e la mancata risposta europea alla «penetrazione sovieto-cubana». Data l'austerità, Giscard non ha naturalmente preso impegni economici né allargato i cordoni della borsa. Data la delicatezza politica della situazione, pare non abbia assunto nuovi impegni militari. Ma con poca spesa si è assicurato il successo, e l'attivo di un comunicato euforico che conferma il rilancio della politica africana di Parigi. I giornali giscardiani dicono che davanti al disimpegno americano in Africa, confermato dalla smentita del Dipartimento di Stato sulle responsabilità di Cuba, la Francia «riempie un vuoto» e propone all'Europa una «missione da compiere». Il fatto che Giscard abbia parlato di «Eurafrica», affermando come «necessaria» l'unità tra i due continenti «mediani», conferma ancora una volta che il presidente francese intende coinvolgere i soci della Cee nelle operazioni di presenza francese nel Continente nero. Malgrado le fredde reazioni, e le smentite, sollevate dall'intervento nello Zaire, Parigi insiste nel far credere d'essere portatrice di un «consenso europeo», così come nega di aver agito d'intesa con gli americani. E' del resto un vecchio gioco che risale all'epoca di Pompidou di coprire la politica estera francese, sia nelle sue fasi nazionaliste sia nelle fasi «mondialiste» concordate con gli Stati Uniti, col manto delle ragioni europeiste. Ma il problema è di vedere fino a che punto la Cee voglia (o possa) coprire il tentativo francese di avere una «grande» politica estera. I commenti più prudenti ricordano che questo tentativo può funzionare a parole (come nel comunicato) più che coi fatti. La situazione economica non consente alla Francia di aumentare una cooperazione declinante, obbligata al risparmio. Lo scarso peso militare di Parigi (che dal '53 ad oggi ha ridotto il bilancio per la difesa dal 12 per cento al presente 2,9 per cento) non consente poi alcuna politica di sostegno concreto contro «la minaccia sovietico-cubana», salvo che non vi sia un aiuto americano. Infine, esiste il problema di fondo dei rapporti «privilegiati» franco-sovietici che salterebbero davanti a un impegno militare di qualche proporzione. Nella sostanza, si presta scarso credito a questo impegno francese per la «sicurezza» dell'Africa. Le Monde dice che solo nel caso in cui l'Occidente entrasse risolutamente nella crisi dell'Africa australe, per togliere all'Urss l'iniziativa, e per proporsi real¬ mente come difensore di una «liberazione africana», la nuova politica suonerebbe credibile, e non puramente francese. Ma poiché le cose non stanno così, le mosse politiche di Parigi vanno viste come operazioni di tamponamento per continuare la vecchia politica golliana di cooperazione col Terzo mondo, per giustificare quella nuova imperniata sulla conferenza Nord-Sud, per superare le crisi (Gibuti, Ciad, difficili rapporti col «blocco» di Casablanca) che caratterizzano le relazioni francesi col mondo ex-coloniale. Alberto Cavallari

Persone citate: Pompidou