Come una classe ed un maestro vogliono ricordare la Resistenza di Bruno Marchiaro

Come una classe ed un maestro vogliono ricordare la Resistenza L'iniziativa in una scuola elementare di Fossano Come una classe ed un maestro vogliono ricordare la Resistenza (Dal nostro inviato speciale) Fossano, 21 aprile. Una classe, un maestro. La classe è la 4' elementare di Stato di via Dell'Annunziata a Fossano; il maestro è Beppe Maiolino, di origine calabrese, da oltre ventanni insegnante in Piemonte. Nell'aula lunga e stretta 26 alunni (14 bimbe, 12 maschi tutti sui 9 anni), vivono euforici ed eccitati le ore di vigilia del loro debutto come attori. Le pareti sono ricoperte di disegni e di «murales»; ognuno degli scolari ha un foglio di carta e una matita colorata in mano. Domani sera nel salone dell'istituto musicale di via Fava sarà proiettato il loro film a diapositive «Un ragazzo nella Resistenza: Franco Centro ». Vogliono ricordare così l'anniversario della Liberazione. Sono trent'anni che «registro» queste manifestazioni e non sarei tornato da Fossano con la voglia di parlarne ancora se in quell'aula, nel contatto con i ragazzi e il loro maestro non avessi trovato qualcosa di nuovo, di spontaneo, soprattutto di vero. Nello spettacolo che i fossanesi vedranno domani sera non c'è retorica, niente demagogia, la Resistenza non è un mito, né leggenda; soltanto storia «per non dimenticare». L'idea del maestro Maiolino, impegnato socialista, consigliere comunale di Fossano, ancora esuberante di entusiasmo malgrado le amarezze e le delusioni, è quella di una Resistenza universale che esiste dalla nascita del mondo: «Socrate, Cristo, San Francesco d'Assisi, Matteotti sono, con tanti altri, i pilastri di una Resistenza che continuerà sino a quando non avremo un mondo più giusto » dice. «Mi sono servito di ragazzi e di episodi vicini a noi per simboleggiare fatti di tutto il mondo. I miei scolari sono interpreti di un messaggio ricevuto da altri ma che da loro deve essere trasmesso ai più grandi che forse hanno già dimenticato». Lo spettacolo (265 diapositive a colori, recitato dai 26 piccoli attori, intercalato da disegni degli stessi alunni con un fondo musicale in prevalenza tratto da brani di Vivaldi), racconta la breve gloriosa vita di Franco Centro, figlio di un meccanico antifascista e partigiano di Bastia di Mondavi. Franco, non ancora quindicenne, vide il padre Giovanni partire per unirsi ai partigiani delle Langhe. Lo seguì presto anche lui e divenne staffetta prima con le formazioni «autonome» e poi con i «garibaldini». Gli «piaceva il fazzoletto rosso». Nel febbraio del 1945 fu catturato durante un rastrellamento; non cedette alle torture dei nazisti e venne fucilato. E' la più giovane medaglia d'oro alla memoria. Nel film Franco Centro è imperonato da Roberto Rine- ro, 9 anni, un ragazzo sveglio come tutti i suoi compagni di classe. «Non avrei mai fatto la parte del tedesco in questo film» dice. La pensavano così tutti gli altri, ed è stato uno dei problemi più difficili da risolvere per il maestro. Si è trovata una soluzione: a parte l'interprete di Franco Centro, tutti gli altri alunni hanno impersonato figure di tedeschi, partigiani, preti amici di partigiani, ebrei deportati. Riccardo Girando, ad esempio, anche lui 9 anni, due occhi neri e accesi come non è facile trovare in queste campagne, nel film appare in tutte le divise, persino nella veste scarlatta di Padre Pellegrino, che negli anni della Resistenza fu amico dei partigiani del Cuneese. Attraverso la storia di Franco Centro rivivono gli episodi più significativi della lotta di liberazione: l'incendio di Boves (ma una composizione di cartapesta con carri armati giocattolo e disegni richiama alla memoria anche la strage di Marzabotto e di altre città d'Europa occupate dai nazisti), i bandi tedeschi, le prime azioni dei «Gap», il rischioso lavoro delle staffette partigiane, la cattura di I Franco Centro, l'interrogatorio, la fucilazione, la discesa in pianura dei partigiani nella primavera del '45 e la liberazione. Nessuna sbavatura, non c'è una espressione fuori posto; sono 26 alunni di 9 anni, tutti bravi nello studio, sani e vivaci, ma sembrano tanti attori professionisti; o forse sono soltanto coscienti del ruolo che svolgono. Da queste parti la Resistenza, accettata o voluta, è stata una cosa seria: in troppe case c'è sul buffet della «sala» la fotografia di un partigiano morto «o di un caduto in Russia», in quasi ogni strada c'è un cippo con nomi di ragazzi uccisi dai tedeschi. Il maestro Maiolino, anche se nato fuori, al Sud, conosce I ormai questa terra e non po11èva quindi sbagliare. D'altra parte anche i suoi metodi di insegnamento sono quelli di un uomo che vuole «un mondo migliore». Ho chiesto a parecchi degli alunni: «Avete fatto un film sulla Resistenza, ma sapete cosa significa?». Mi hanno risposto: «Mio nonno è morto partigiano»; «Mio nonno ha combattuto contro i tedeschi e i fascisti»; «In casa mi parlano della Resistenza ma so¬ prattutto me ne parla il mio maestro». Uno, purtroppo, ha risposto: «Mio padre dice che il nonno si è sacrificato per nulla». Bruno Marchiaro Fossano. Beppe Maiolino con gli allievi della IV elementare (La Stampa - De Angelis)