Minacciato dalle cifre il mito dei tedeschi tenaci lavoratori di Tito Sansa

Minacciato dalle cifre il mito dei tedeschi tenaci lavoratori Sorprendenti "scoperte,, delle statistiche ufficiali Minacciato dalle cifre il mito dei tedeschi tenaci lavoratori (Dal nostro corrispondente) Bonn, 19 aprile. La proverbiale voglia di lavorare dei tedeschi, che amano autodefinirsi Arbeitstiere (animali da fatica), viene smentita dalle cifre. Risulta dai dati ufficiali dell'Ufficio centrale del lavoro di Norimberga, che il numero dei disoccupati (circa un milione e 100 mila) potrebbe diminuire di circa un quarto se le persone senza impiego accettassero i 245 mila posti liberi che le diverse industrie mettono a disposizione. Finora economisti, sindacalisti e imprenditori avevano palleggiato tra di loro la responsabilità dell'alto numero dei disoccupati, che da tre anni non accenna a diminuire: gli economisti dicevano — richiamandosi a Keynes — che a una ripresa congiunturale e a un'espansione netta del prodotto nazionale lordo (come sta avvenendo in Germania) corrisponde automaticamente un riassorbimento della manodopera senza lavoro, e non riuscivano a spiegarsi la costante diminuzione dei posti i di lavoro, che si è contratta di un milione e 400 mila dall'inizio della crisi del 1973 fino ad oggi. Le responsabilità erano, secondo loro, del governo, che aveva mancato d'avviare una politica di rilancio basata sulla fiducia. I sindacalisti avevano accusato in blocco gli imprenditori, che investono troppo poco o rinnovano gli impianti soltanto per razionalizzare e distruggere i posti di lavoro. Heinz Oskar Vetter, presidente della Lega dei sindacati aveva annunciato «dovremo spezzare la resistenza dei datori di lavoro» , un suo collega aveva chiesto al Parlamento di varare una legge che obblighi le imprese ad attuare la piena occupazione. I datori di lavoro, dal oanto loro, avevano accusato i sindacati di avere rotto l'equilibrio sul mercato del lavoro, presentando richieste di aumenti salariali inammissibili con la situazione congiuntu¬ rale tedesca, portando le panhe orarie in Germania a un livello superiore a quello de gli Stati Uniti. Diverse imprese così erano state obbligate a investire all'estero per poter produrre a costi più bassi e affrontare la concorrenza internazionale. Completamente dimenticata è stata nel calore della polemica, un'altra causa: lo scarso interesse di un gran numero di disoccupati ad accettare un nuovo posto di lavoro e la gran voglia di molti occupati di abbandonare il posto per vivere con il sussidio di disoccupazione. Il problema è stato ora portato alla ribalta dal ministro dell'Economia dell'Assia, il liberale Heinz Karry, che l'ha denunciato in tutta la sua gravità. Che cosa accade nel mondo del lavoro tedesco? si domandano gli esperti. La risposta è: «Un tempo la gente lavorava anche quando avrebbe fatto meglio a restarsene a casa (per malattia o per altri motivi), oggi accade il contrario». La colpa è della rete di sicurezza sociale che garantisce al disoccupato più dei due terzi del salario netto, per dodici mesi. Pertanto molti lavoratori preferiscono rimanere a casa. Il lavoro «nero» fiorisce, si calcola che durante il 1976 abbia fruttato circa 25 miliardi di marchi, naturalmente non denunciati al fisco. Un muratore disoccupato, per esempio, ha più convenienza a starsene a casa con circa 315 mila lire di sussidio piuttosto che sgobbare per 425 mila lire nette. E' libero e non ha difficoltà a colmare la differenza, o addirittura a guadagnare di più, con un minimo di lavoro nero. Negli uffici di collocamento — dice un funzionario — «la voglia di lavorare è l'ultima cosa che i disoccupati portano con sé». Quando possono, rifiutano il posto che gli viene offerto, dicendo (come concede la legge) che il nuovo lavoro non è «concilia, bile con la loro dignità». E' ovvio che un musicista ha il diritto di rifiutare un posto di cameriere e un laureato quello di fattorino. Ma acca de anche altro: operai che rimangono disoccupati perché il posto offerto è troppo lontano da casa, donne che rifiutano perché non vogliono rovinarsi le mani, giovani che rimandano la prima occupazione perché non sono psichicamente preparati. I lavoratori stranieri, considerati spesso fannulloni dai loro colleghi tedeschi, non sono tanto schizzinosi, generalmente accettano i posti che gli vengono offerti. Il vicepresidente dell'ufficio centrale del lavoro, Helmut Minta, cerca di sdrammatizzare e di ridimensionare i fenomeni della disoccupazione volontaria e del lavoro nero. Dice che la situazione non è poi così grave come viene denunciata. L'anno scorso «soltanto a un quarto» dei disoccupati è stato levato d'autorità il sussidio: a 200 mila per abbandono ingiustificato del posto di lavoro e a 62 mila per ripetuto rifiuto di assumere un posto che gli era stato messo a disposizione. Tito Sansa

Persone citate: Heinz Karry, Heinz Oskar Vetter, Helmut Minta, Keynes

Luoghi citati: Assia, Bonn, Germania, Norimberga, Stati Uniti