Atomo: scelta tra paura e restare sottosviluppati di Cesare Merlini

Atomo: scelta tra paura e restare sottosviluppati DIBATTITO Atomo: scelta tra paura e restare sottosviluppati Le responsabilità Usa mentre Carter annuncia il suo piano Nel dibattito sul problema delle centrali nucleari, dopo l'Inchiesta di Sandro Doglio, sono già intervenuti Mario Fazio (martedì 12 aprile) e Walter Rosboch (sabato 16). Oggi pubblichiamo questo articolo di Cesare Merlin!, docente di tecnologie nucleari al Politecnico di Torino e membro dell'Istituto Affari Internazionali. Il petrolio ce l'ha dato Dio, dicono gli arabi. Del plutonio noi non possiamo dire che ce l'ha dato Dio. 11 plutonio in natura non c'è: è un materiale artificiale, che viene prodotto nei reattori nucleari «bombardando» l'uranio con i neutroni. Così, la responsabilità è tutta nostra: con il primo plutonio ricavato in quantità notevole al mondo si e fatta una bomba, quella che ha devastato Nagasaki. Ma il plutonio ha fatto anche sorgere una grande speranza: quella di avere delle centrali che, mentre consumano «combustibile» nucleare, altrettanto ne creano. Significa aprire nuove possibilità a questo mondo che si avvia ad essere fra dieci-venti anni povero di materie prime energetiche. Dietro questa ambivalenza perversa sta una gran parte del dilemma nucleare che tanto appassiona l'opinione pubblica mondiale e assilla i governi, posti di fronte ad una decisione storica. Dopo la bomba di Nagasaki tante ne sono state fatte, c non solo al plutonio, ma all'uranio molto arricchito e poi all'idrogeno. Il fatto è che il plutonio resta il più facilmente separabile. Nasce cosi il rischio della proliferazione delle armi nucleari, attraverso una diffusa costruzione di bombe al plutonio. Le possono realizzare, oltre alle grandi potenze che già ne dispongono (Usa, Urss, Inghilterra, Francia, Cina, e anche India), Paesi minori, più o meno avventurieri, più o meno assillati da problemi di sicurezza nazionale. Questa dei nuovi Stati che si dotano di armi atomiche è detta macroproliferazione, per distinguerla dalla microproliferazione, costituita dal possibile furto di plutonio da parte di forze o gruppi terroristici che potrebbero ricattare singoli Stati se non l'ut .anità intera. A me pare che il rischio nucleare stia più qui che nella tanto temuta pericolosità delle centrali nucleari. Per capire questo bisogna fare una distinzione fra le centrali con reattori «termici» e quelle con reattori «veloci», come si dice in linguaggio tecnico. Delle prime sono già state costruite centinaia di esemplari nel mondo, ed è solo in questa fase avanzata della loro diffusione che è sorto il movimento ad esse contrario per motivi di sicurezza e di protezione dell'ambiente. Nessun impianto, nessuna macchina è immune da rischi e da danni ecologici: la centrale nucleare, malgrado le accuse, è in realtà meno rischiosa e meno dannosa per l'ambiente di gran parte degli altri impianti di produzione energetica o di altro tipo. Ma poiché c'è nella paura antinucleare un elemento irrazionale con il quale non si può discutere, non c'è che da sollevare un altro spettro: se l'energia nucleare può essere un patto con il diavolo, la rinuncia ad essa è certo un patto con il sottosviluppo. Se noi rinunceremo ai reattori, due cose succederanno: a) in mancanza di serie alternative, il petrolio, minacciato di esaurimento, salirà nuovamente di prezzo; b) altri Paesi, meno sensibili alle pressioni delle loro popolazioni (si pensi all'Iran, al Brasile, ai Paesi dell'Est eccetera), continueranno, e, quando le disponibilità di altre fonti si ridurranno, potranno fare fronte, loro sì, allo sviluppo. Le centrali con reattori «termici» producono plutonio, ma la convenienza di estrarlo è dubbia: essa è sostenuta da alcune valutazioni economiche, ma contestata da altre. L'economia delle centrali con reattori «veloci», invece, si regge solo se si estrac il plutonio e si alimenta con esso la vita successiva del reattore. Di queste centrali esistono diversi prototipi, ma non è stala ancora iniziata la produzione su scala industriale. Il «pericolo» non è imminente c non scatena riflessi irrazionali, per cui l'opposizione ecologica non si è ancora lanciata contro questo tipo di impianti nucleari, per quanto essi siano meno sicuri degli altri e si basino sullo sfruttamento del plutonio, con tutte le conseguenze che abbiamo detto. Ma è nata un'altra opposizione: quella del governo americano, il quale ha preso netta posizione contro la separazione del plutonio, escludendola dai propri programmi, sospendendo lo sviluppo dei reattori «veloci» in Usa e invitando tutti i Paesi, quelli amici innanzitutto, a fare altrettanto. Facile a dirsi: ma se gli Usa dispongono dell'uranio per far fronte al proprio programma nucleare, fondato sui reattori «termici», non altrettanto succede all'Europa (e al Giappone). Onde da noi si vedeva la possibilità di ridurre la dipendenza dall'estero per coprire il nostro fabbisogno energetico proprio nell'uso di questa seconda generazione di centrali, quelle che si autoalimentano in fatto di «combustibile». Come uscirne? Qui bisogna che ognuno faccia la sua parte. Carter ha commesso un errore prendendo una misura unilaterale che certo sapeva colpire gli europei: così facendo provoca solo contromisure, quale appunto l'immediata conferma tedesca dell'accordo di vendita al Brasile di un impianto di separazione del plutonio. Dunque, innanzitutto un altro stile, più cooperativo e più rispondente all'esistenza di istituzioni comuni. In secondo luogo, gli Stati Uniti non possono limitarsi a dei veti: devono impegnarsi in un grande programma di rifornimento energetico, caratterizzato dall'accesso, il più possibile equo c assicurato, ai vari combustibili, perché le leggi del mercato non sono in grado di assicurarlo. Terzo: da parte americana si dovrà dare l'esempio di un serio piano di risparmio di energia (basta con l'uso dell'elettricità per gli impieghi più futili, come la macchinetta tagliaburro, basta con le auto che consumano tre volte la benzina necessaria) e di ricerca approfondita e di larga scala sulle fonti alternative. Mercoledì (oggi) Carter annuncerà un nuovo programma energetico: stiamo a vedere. Ma non stiamo solo a vedere. E' ten.po che anche l'Europa si dia una politica energetica, è gran tempo. E' opportuno, inoltre, che non nascondiamo la testa sotto l'ala di fronte allo spettro della proliferazione, micro o macro che sia. Vendere impianti di separazione del plutonio al Brasile e al Pakistan, come si sono impegnati a fare Germania e Francia, è gran leggerezza. Tornare indietro, forse, non gioverà al prestigio, certo gioverà al buon senso. Ma l'Europa ha le sue esigenze e deve farle valere responsabilmente: ciò significa rivedere attentamente il problema del plutonio e condizionarne l'uso alla realizzazione di un sistema di controlli e salvaguardie di grande rigore, sostenendo, c realizzando nel quadro europeo, l'internazionalizzazione o l'affidamen < ad autorità sovrannazionali degli impianti di separazione del plutonio e di tutti gli altri collegati con i «combustibili» nucleari. Si deve trovare una via fra paura e incoscienza. Cesare Merlini

Persone citate: Cesare Merlin, Mario Fazio, Sandro Doglio, Walter Rosboch