Sarà uccisa dalle tasse la Fondazione Querini? di Alvise Zorzi
Sarà uccisa dalle tasse la Fondazione Querini? Sarà uccisa dalle tasse la Fondazione Querini? Venezia, aprile. Una sera del 1709, il procuratore di San Marco Sebastiano Foscarini offriva, nel suo splendido palazzo ai Carmini, una festa da ballo in onore di re Federico IV di Danimarca e Norvegia. Ballando con foga il minuetto con la graziosa nobildonna Caterina Querini, il re si impigliò con una fibbia dell'abito nel filo di perle che cingeva la vita della sua dama. Uno strappo, il filo si spezza, le perle si sparpagliano per terra. Confuso, il re si china a raccoglierle, ma ecco il nobilòmo Querini, marito di Caterina, alzarsi dal divano sul quale sedeva e disperdere con i piedi e frangere le perle, sorridendo alla sposa, che, senza far mostra di nulla, riprende a ballare col re sbigottito. Circa 170 anni dopo questo show di dubbio gusto, ma di indubbia magnificenza, un altro Querini, il conte Giovanni, figlio dell'ultimo ambasciatore di Venezia a Parigi e, a sua volta, ultimo del ramo che aveva avuto in feudo per più di tre secoli l'isola di Stampala nell'Egeo, destinava tutto il suo patrimonio ad una Fondazione che aveva come scopo principale l'apertura al pubblico, la conservazione e l'incremento della ricchissima biblioteca familiare e della pinacoteca sistemata al piano nobile di palazzo Querini Stampalia a Santa Maria Formosa. Da quasi un secolo studenti e studiosi affollano le sale di studio della biblioteca, che conta oggi più di 300.000 volumi e che, per espressa volontà del conte Querini, ha la particolarità, rarissima in Italia, di rimanere aperta la sera fino alle 23,30, permettendo così di studiare anche a chi lavora. Quanto alla pinacoteca, essa è probabilmente il museo meno visitato di Venezia, del tutto a torto, perché ospita molti autentici capolavori della pittura veneziana, dai rari trecentisti Donato e Caterino a Jacopo Palma il Vecchio, fino allo spettacoloso, straordinario ritratto di un procuratore di San Marco di Giambattista Tiepolo. In tempi relativamente recenti, diciamo un quarantacinque anni fa, grazie allo spirito d'iniziativa del bibliotecario di allora, lo scrittore Manlio Dazzi, la Fondazione aveva potuto aumentare con i propri mezzi, oltre alla biblioteca, anche le raccolte d'arte, acquistando un buon numero d'altri quadri del Longhi provenienti dalla vendita della collezione Dona dalle Rose. Purtroppo, la sfavorevole congiuntura economica ha falcidiato le rendite dei campi e delle case (circa 700 ettari e una dozzina d'appartamenti) che compongono l'eredità Querini, proprio mentre le spese, dal costo dei libri al personale, al riscaldamento, all'elettricità, aumentavano vertiginosamente. La Fondazione è asfittica. Ma c'è di peggio. Poiché" il patrimonio è composto di beni immobili, la Fondazione, che paga già una ventina di milioni all'anno di tasse su quelle rendite dimagrite, si è vista intimare il pagamento di 150 milioni di Invim, la tas¬ sa decennale sull'incremento del valore immobiliare. E come potrebbe pagare, col bilancio annuale già in deficit per una quarantina di milioni? Non c'è che sperare nella dichiarazione di incostituzionalità della Invim (la questione è stata già sollevata) o chiudere bottega, privando i Veneziani di un'istituzione che avvantaggia studenti e lavoratori e che contribuisce con svariate iniziative alla sopravvivenza della cultura a Venezia. Intanto i libri si ammonticchiano ovunque, ci sarebbe bisogno di spazio; l'Internanonal Fund for Monuments (ancora un Ente straniero!) aveva largito 150 milioni per l'acquisto e il restauro d: una casa adiacente dove avrebbe potuto essere organizzato razionalmente il deposito dei volumi; ma l'iniziativa ha stagnato troppo sui tavoli dei burocrati per l'« autorizzazione », e adesso quei denari non bastano più. I magnifici mobili d'epoca del palazzo vanno a pezzi, e non ci sono mezzi per restaurarli. La Regione ha stanziato un contributo annuo di 30 milioni, ma ci vorrebbe altro. Lo Stato, inadempiente cronico verso la cultura, dovrebbe decidersi finalmente ad esonerare dai gravami fiscali gli Enti come questo, che per la cultura operano e vivono, così come avviene in molti altri Paesi civili. Sarebbe, più di altri, un atto di avveduta politica dei beni culturali. Alvise Zorzi
Persone citate: Caterina Querini, Caterino, Federico Iv, Giambattista Tiepolo, Jacopo Palma, Longhi, Manlio Dazzi, Sebastiano Foscarini, Vecchio
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