I fratelli in monoteismo

I fratelli in monoteismo Religioni e società di Lamberto Fumo I fratelli in monoteismo Due Convegni religiosi di fine marzo, il primo islamicocristiano a Cordova in Ispagna, il secondo ebraico-cristiano a Venezia, mi hanno fatto ripensare al card. Agostino Bea, che dal '60 al '68 fu il tenace assertore di un ecumenismo non limitato alla cristianità separata, ma esteso a tutta l'umanità. Ho avuto il privilegio di godere della confidente amicizia del porporato tedesco che papa Giovanni scelse quale Presidente del Segretariato per l'unione dei cristiani: i due grandi «vecchi» rappresentarono un irripetibile «tandem», imiti da uno spirito giovanile, cioè aperto al progresso, quale raramente si dà in protagonisti della storia. Chi, come il sottoscritto, conosce in parte le sofferenze che il Card. Bea dovette sopportare, sempre sorridendo e fiducioso, può immaginarsi quale gioia egli proverebbe oggi nel vedere il positivo sviluppo di un dialogo che soltanto quindici anni or sono sembrava irrealizzabile fra cattolici, islamici e israeliti. Eppure le tre grandi religioni monoteiste vanno riscoprendo, anche attraverso questi convegni, l'elemento primordiale e unificante, cioè la fede in un unico Dio. Ma ci sono voluti secoli, intrisi di crociate e di antisemitismo, prima di giungere a un ripensamento necessario che ha portato a riconoscere colpe e responsabilità. Non dimenticherò mai certe frasi del Card. Bea: lui, tedesco ma antinazista in nome della sua stessa fede, sentiva co- i me un'onta personale lo ster- | mh^0 di milioni di Ebrei compiuto nei lager hitleriani. Era un famoso biblista, Rettore per molti anni del Pontificio Istituto Biblico di Roma. La consuetudine con l'Antico Testamento lo spingeva, anche per scienza e non solo per fede, a constatare due dati essenziali al dialogo fra le tre religioni: lo strettissimo legame, da padre a figlio, fra Ebraismo (Antico Testamento) e Cristianesimo (Antico e Nuovo Testamento); la comune discendenza di Ebrei, Cristiani e Islamici da Abramo, oltre alla comune fede nel Dio unico. Ho ricordato queste cose per mettere nel dovuto rilievo l'importanza davvero storica di ciò che sta avvenendo sotto i nostri occhi distratti nel riavvicinamento fra le tre fedi: un reciproco rispetto, un rifiuto da parte cristiana di continuare il proselitismo nel mondo islamico e israelitico, sostituendolo con la semplice testimonianza e con il riconoscimento della libertà e del diritto ad essere diversi nel campo religioso, ferma restando l'unità di fede monoteistica. Del resto questa nuova presa di coscienza unU.iria, nel rispetto delle diversità, è imposta alle tre religioni dalla crisi che il mondo moderno provoca nella credenza (ricordo, di passaggio, che a questa crisi sono dedicati studi e incontri, come quelli della Fondazione Agnelli). L'ateismo ufficiale dei Paesi socialisti e l'ateismo pratico dell'Occidente confluiscono nel risultato di incidere profondamente sulla stessa disponibilità, alla fede religiosa. Un esperto cattolico, reduce da un recente viaggio in Asia, pensa che la Chiesa debba radicalmente trasformare la propria azione missionaria perché i criteri sinora seguiti (scuole, ospedali, assistenza) si dimostrano, a suo giudizio, controproducenti. «Nei paesi a prevalenza islamica, dice l'esperto, la "religiosità è vita", anche per le massi giovanili, a differenza di quanto accade visibilmente nell'emisfero occidentale». Ma, ai loro occhi, i cristiani sono tutt'oggi portatori di un colonialismo culturale-religioso che fa da supporto a un neo-colonialismo economico e politico del Nord progredito sul Sud in via di sviluppo. «Le scuole, gli ospedali, l'assistenza dei cristiani ricadono in questo giudizio, certo sommario, ma indubbiamente fondato sull'esperienza storica». E' necessario, quindi, superare le diffidenze e, come ha detto il Card. Enrico Tarancon, arci vescovo di Madrid, al convegno di Cordova: «Osar dire all'altro, nel rispetto e nell'accettazione della differenza, che egli ha qualche cosa da comunicare, ma anche da ricevere». L'altro importante contributo è giunto dal comitato di collegamento fra Chiesa cattolica ed Ebraismo, che si è riunito per la sesta volta a Venezia dal 28 al 30 marzo (le precedenti riunioni, di anno in anno, a Parigi, Marsiglia, Anversa, Roma e Gerusalemme). Il tema discusso era molto delicato: come la Chiesa colloca gli Ebrei, nella sua prospettiva di evangelizzazione. Il dibattito, sviluppatosi su una relazione centrale del prof. Tommaso Federici, esperto del Segretariato per l'unione dei cristiani, ha portato a un comunicato finale che anche la S. Sede ha reso noto, dopo sei giorni di riflessione. In sintesi: la Chiesa deve, per missione, far conoscere il nome di Dio unico a tutti i popoli e in ogni epoca. Ma, poiché il popolo ebreo ha ricevuto la stessa Rivelazione dei cristiani, la Chiesa non può rivolgersi agli ebrei con le stesse forme di proselitismo usate nei confronti di rltri popoli non cristiani o non credenti. Vi è qui un duplice riconoscimento: la permanenza nell'Ebraismo attua¬ le del «disegno di Dio»; il fatto nuovo che i Cristiani, avendo in comune con gli Ebrei l'Antico Testamento, possono rivolgersi ai credenti israeliti solo per testimoniare la loro fede in Cristo (Nuovo Testamento). Sono principi senza precedenti nei rapporti fra le tre grandi religioni: se tradotti in pratica e vissuti dai rispettivi fedeli, favoriranno anche rapporti più distesi nel campo della cultura e della politica in senso lato. Il Card. Bea fu buon profeta.

Persone citate: Agostino Bea, Cordova, Tommaso Federici