Il "regime Cambogia"

Il "regime Cambogia" La situazione due anni dopo la guerra Il "regime Cambogia" Bangkok, 18 aprile. (r. s.) Celebrando a Phnom Penh in una grande manifestazione pubblica il secondo anniversario della vittoria dei khmer rossi, il Capo dello Stato cambogiano, Khieu Samphan, ha dichiarato che già nel '75, grazie all'immenso sforzo del nuovo regime, è stata realizzata una sufficiente produzione di riso e che tale risultato è stato « ampiamente superato l'anno seguente ». Khieu Sampham ha aggiunto che il popolo cambogiano può « fare tutto con le proprie mani, come ha dimostrato in questi due anni », ma ha ammonito che condizione indispensabile continua ad essere la ferrea disciplina del regime. Del discorso del leader cambogiano ha dato notizia radio Phnom Penh. Da venerdì 15 aprile tutta la popolazione cambogiana è mobilitata nelle città e nei villaggi per celebrare il secondo anniversario della conquista di Phnom Penh. I «khmer rossi» entrarono nella capitale il 17 aprile di due anni fa, dopo cinque anni di guerra contro un regime corrotto e inefficiente so¬ stenuto fino alla fine dagli Stati Uniti (ma anche l'Urss mantenne a lungo le relazioni diplomatiche con Lon Noi). Da allora il Paese si è rigorosamente rinchiuso in se stesso. Nessun giornalista ha potuto visitarlo e i pochi diplomatici accreditati vivono praticamente in residenza sorvegliala. Finora nulla ha potuto attenuare l'immagine diffusa nel mondo d'un Paese brutalmente trasformato in un gigantesco laboratorio per una esperienza rivoluzionaria i cui eccessi non hanno precedenti; non hanno smentito tale immagine la parsimoniosa propaganda ufficiale né i racconti dei profughi, peraltro sempre meno numerosi dopo il rafforzamento delle misure di «dissuasione» alla frontiera con la Thailandia. Il principe Sihanuk, che aveva messo il suo prestigio al servizio dei khmer rossi e che un tempo era così loquace, è scomparso dalla scena e di lui non si sa più nulla, è stato «sputato via come il nocciolo d'una ciliegia», proprio come egli stesso aveva predetto durante l'esilio a Pechino. Di un quadro in cui l'essenziale rimane ombra e mistero risalta, secondo le testimonianze, che gli ideologi della «purificazione» hanno fatto tabula rasa della società e dei costumi antichi, regnano con potere assoluto su un popolo che la costituzione della nuova Repubblica democratica riconosce «sovrano». In una prima fase, che ora sembra conclusa, i governanti di Phnom Penh hanno sistematicamente liquidalo gli elementi più «contaminati» da influenze feudali o dalla collaborazione con gli stranieri. Contemporaneamente, i milioni di cambogiani che non appartenevano a tale categoria sono stati costretti con la forza a lavori giganteschi per « rifare » le campagne. Nulla indica il minimo cambiamento da questa politica di fondo. Il Capo dello Stato, Khieu Samphan, ora dice: «Tutto ciò che abbiamo realizzato è stato costruito con le nostre sole mani», e afferma che il Paese, in cinque o dieci anni d'uno sforzo siffatto, potrà realizzare uno sviluppo economico, tecnico e militare «mille volte superiore». Inquadrati secondo un'organizzazione militare, sei milioni di uomini e donne continueranno così, secondo la terminologia ufficiale, il «duro lavoro» della «battaglia per la produzione». Battaglia che la Cambogia starebbe vincendo, se si deve credere al ministro degli Esteri, Ieng Sary, il quale recentemente ha detto che il Paese potrà esportare 250 mila tonnellate di riso, già quest'anno. E' un successo che, seguito da altri «primati» della produttività, giustifica evidentemente agli occhi dei nuovi padroni del Paese i mezzi impiegali per conseguirlo. Ma. dopo essersi interrogati ieri su quante vittime innocenti aveva fatto pagare alla Cambogia l'aviazione americana ogni giorno di sopravvivenza del regime di Lon Noi, come non chiedersi oggi quanti lavoratori vengono sacrificati per ogni tonnellata di riso prodotta o esportata? Il tributo pagato da un intero popolo negli ultimi due anni per questa «battaglia» sembra assai vicino a quello d'una guerra che ufficialmente ha fatto 800 mila morti. La Cambogia, «neutrale e non allineata», potrà continuare a rimanere rinchiusa in sa stessa, a coniare soltanto sulle «sue forze», a rifiutare orgogliosamente, con ostinazione, ogni aiuto internazionale — soprattutto sanitario — ad eccezione di quello cinese? Quando si sentiranno abbastanza sicuri, i dirigenti dì Phnom Penh, per attenuare un rigore che sta esaurendo un'intera generazione dopo averla decimata? Ritornerà mai il leggendario sorriso sulle labbra dei cittadini khmer? Copyright di « Le Monde » e per l'Italia de « La Stampa »

Persone citate: Ieng Sary, Khieu, Khieu Samphan, Lon Noi