Burocrazia e sperperi di farmaci pericoli per la riforma sanitaria di Bruno Ghibaudi
Burocrazia e sperperi di farmaci pericoli per la riforma sanitaria Un convegno dell'Associazione stampa medica Burocrazia e sperperi di farmaci pericoli per la riforma sanitaria Roma, 18 aprile. Se non può contare su un'educazione sanitaria di base che responsabilizzi la gente sulle modalità e sulla misura in cui è lecito e opportuno fruire dell'assistenza, qualsiasi riforma è condannata presto o tardi al fallimento. Questa è la prima e certamente non gradevole conclusione che possiamo trarre dal convegno «Assistenza pubblica e privata nel quadro della riforma sanitaria», organizzato a Roma dall'Asmi (Associazione Stampa Medica Italiana) presso l'Istituto Superiore di Sanità. Lo scopo era quello di promuovere in tempo utile un largo e qualificato confronto fra i principali operatori sanitari ed esperti del Paese. La scelta del tema è giustificata dal fatto che fra non molto il Parlamento dovrà discutere il progetto di legge per la riforma sanitaria. «In questo processo di cambiamento è necessario che il medico possa riqualificare ancora di più il suo intervento, sia a livello del singolo individuo sia a livello di gruppo — ha detto in apertura il professor Francesco Poechiari, direttore dell'Istituto Superiore di Sanità —. E' inoltre necessario che l'ospedale ritrovi il proprio ruolo di ambiente attrezzato per la diagnosi e la terapia specialistica, con la qualificazione e riqualificazione del personale infermieristico e con l'aggiornamento professionale del medico. Ed è altrettanto indispensabile che si possa creare un servizio di assistenza domiciliare sia per gli anziani sia per i cittadini bisognosi di cure non specialistiche ». Le conseguenze di un servizio sanitario offerto gratuitamente «all'arrembaggio degli assistiti» è sotto gli occhi di tutti, come ha fatto rilevare il presidente dell'Asmi professor Carlo Palenzona di Torino. Frammentarietà nell'assistenza sanitaria, palleggiamenti di competenze, strutture troppo burocratizzate e anelastiche, ritardi di ogni genere, eccesso di assistenza per la piccola malattia a scapito di eventi morbosi più gravi e più lunghi, abusi e sperperi di farmaci, eccessiva ed inutile ripetizione degli esami radiologici e di laboratorio. Le conseguenze sono note: crescente frustrazione dei medici di base, sommersi da valanghe crescenti di postulanti della visita, intasamento dei laboratori degli ospedali, lentezza degli esami di routine (e quindi aumento della degenza media negli ospedali e ulteriori intasamenti), aumento impressionante del ri¬ coveri in ospedale (molto spesso imposti dal medico di base a scanso di eventuali conseguenze sgradevoli per lui e per i pazienti), occupazione di letti da parte di pazienti che possono invece essere curati ambulatorialmente e conseguente scarsità di ricovero per coloro che invece ne hanno effettivamente bisogno. Finora l'assistenza privata, con il suo 30 per cento di ricoveri convenzionati, ha rappresentato una valida e rassicurante alternativa. Bisognerà continuare sulla stessa strada? «Dove l'ospedalità privata è stata abolita, come in Inghilterra trent'annì fa, si è sentita la necessità di ripristinarla — ha spiegato il dottor Fabio Mi-Ione, presidente dell'Aiop (Associazione italiana ospedalità privata) — e oggi in quel paese ci sono 1020 cliniche private, cioè quasi quante ne contiamo in Italia. Non è quindi nella inefficienza o carenza dell'ospedalità pubblica che va ricercato il motivo della presenza di quella privata, ma piuttosto nella sua insostituìbile caratteristica di offrire al cittadino l'unica possibilità di esercitare il suo fondamentale diritto di scelta del luogo di cura». Bruno Ghibaudi
Persone citate: Carlo Palenzona, Fabio Mi-ione
Luoghi citati: Inghilterra, Italia, Roma, Torino
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