Col vecchio Dakota l'aviazione civile risorse dalla guerra di Alfredo Venturi

Col vecchio Dakota l'aviazione civile risorse dalla guerra 30 anni fa nasceva l'Alitalia Col vecchio Dakota l'aviazione civile risorse dalla guerra Milano, 18 aprile. Quindici aprile del '47: un bimotore Dakota si leva dalla pista dell'aeroporto dell'Urbe, e se ne va a spasso per il cielo di Roma. A bordo c'è aria di festa, in un nugolo di autorità troneggia la figura di Vittorio Emanuele Orlando. Il vecchio notabile prefascista è stato invitato a far da padrino alla ripresa dei voli civili nel nostro paese, dopo la parentesi del primissimo dopoguerra. Il DC 3 porta i colori della Lai, linee aeree italiane, una delle due compagnie; l'altra è l'Alitalia, che raccolgono l'eredità dell'Ala Littoria (voli internazionali) e dell'Aviolinee (voli interni). Gli altri Dakota della Lai affrontano in quei giorni di aprile le prime rotte del dopoguerra. Ci sono due voli giornalieri Milano-Roma e ritorno (due ore di viaggio), e collegamenti con Palermo e Cagliari. Presto si volerà anche a Torino, Venezia, Trieste, Bolzano, Bari. L'Alitalia usa per il momento i trimotori G 12 della Fiat fra alcune città italiane; presto impiegherà i Lancaster, versione adattata al trasporto civile del celebre bombardiere britannico, anche su rotte internazionali, arriverà fino in remoti scali africani, come Asmara e Mogadiscio. Per anda. re in America, invece, bisogna volare ancora straniero: ci sono i Constellation e gli Skymaster della Tvva che dieci volte la settimana .collegano Roma con New York, un volo con molti scali che dura ventinovc ore. Sul DC 3 che inaugura sorvolando Roma questa «lappa della ricostruzione nazionale», come la definiscono i giornali, c'è an che Giuseppe Brusasca, sottosegretario all'Aeronautica del nuovo ministero della Difesa nazionale, nato dalla fusione dei tre vecchi ministeri militari (Guerra, Marina, Aeronautica). Brusasca ricorda oggi la polemica vicenda che si concluse, appunto, con il via ai voli Lai e Alitalia. Il problema della ripresa dei collegamenti aerei, come è evidente, si era posto subito dopo la guerra. Si trattava, anche, di far presto perché c'era un problema di occupazione dei canali aerei. La flotta disponibile in Italia era limitata: non erano molti i trimotori Fiat o Savoia Marchetti che erano sfuggiti alle distruzioni belliche, o che era stato possibile costruire dopo la guerra. D'altra parte, l'opinione pub blica e gli ambienti industriali chiedevano a gran voce che si facesse «vivere l'ala italiana», come si espresse in un'interpellanza il deputato separatista siciliano Finocchiaro Aprile. Ma questa soluzione, ovviamente caldeggiata dagli uomini della vecchia Ala Littoria di cui si invocava la ricostituzione, richiedeva qualche anno di attesa, perché fosse possibile preparare la flotta, e inoltre non teneva conto di certe necessità tecnologiche, dell'esigenza di avere a disposizione i più moderni aerei che volavano all'estero. E' vero che l'industria aeronautica italiana, dice Brusasca, vantava un passato di avanguardia tecnologica: ma si trattava appunto del passato. La guerra aveva impedito i necessari aggiornamenti nel campo dei voli civili. Fu così che si fece strada l'idea di convenzioni internazionali. Nella seconda metà del '46 venivano costituite due società miste con gli americani e gli inglesi: la Lai, collegata con la Twa che avrebbe utilizzato i DC 3, e l'Alitalia, assistita dalla Bea, che avrebbe adottato i Lancaster, e usato anche i trimotori italiani. Il principe Pacelli, nipote di Pio XII, assumeva la presidenza della Lai, l'ambasciatore De Micheli s'insediava al vertice dell'Alitalia. Direttori generali rispettivamente il generale Gallo e l'ingegner Velani, attualmente presidente onorario della nuova Alitalia. Ma gli avversari della soluzione internazionale non demordevano. I due ministri dell'Aeronautica che avevano perfezionato le convenzioni, Cervolotto e Cingolani, venivano duramente contestati, il comandante Paradisi dell'Ala Littoria organizza va una manifestazione di protesta a Roma. Si parlava di «si'endita», di «cedimenti agli interessi angloamericani», si ricordavano i leggendari primati di Balbo, Agello, De Pinedo. Così il governo, come spesso accade in Italia, tenne per qualche tempo nel cassetto la concessione necessaria perché le due compagnie potessero prendere il volo. Fu soltanto nel marzo '47 che il ministro della Difesa, il demolaburista Gasparotto, si decise a firmare l'autorizzazione. Brusasca ricorda che il ministro era pieno di dubbi: «Tu mi manderai davanti all'Alta Corte di Giustizia», disse al sottosegretario che sollecitava la firma. Poi i dubbi furono sciolti, le due convenzioni ebbero qualche modifica formale, e finalmente si arrivò al decollo I giornali cominciarono ad ospitare, nel magro spazio di al lora che non andava oltre le quattro pagine domenicali, gli annunci pubblicitari delle com pagnie che invitavano gli Italia ni a riprendere il volo: con una flotta italo-anglo-americana, il personale in gran parte fornito dai quadri delle compagnie civili prebelliche o dell'Aeronautica militare, gli aeroporti ancora in buona parte sconquassati dalla guerra. Dicci anni dopo, scadute le convenzioni miste, le due compagnie maggiori (ne erano sorte altre, come la Airone che collegava con la Sardegna Roma, Milano, Torino, Napoli e Palermo usando i trimotori G 12) si fondevano, e nasceva così l'attuale compagnia di bandiera, destinata a volare nei cinque continenti. Alfredo Venturi