La lunga marcia radicale per abolire il Concordato
La lunga marcia radicale per abolire il Concordato Sono state raccolte fino ad oggi 122.000 firme La lunga marcia radicale per abolire il Concordato Roma, 18 aprile. La scheda ha 8 «facce», qualcuno dice 8 colpi. Di certo, si punta ad abrogare, tutte in una volta e con un sol voto, una bella serie di norme a torto o a ragione ormai super-codificate nel nostro Paese. Si farà davvero, l'anno prossimo, questo referendum-monstre dei radicali, che vuole abolire un po' tutto e un po' tutti, dal Concordato ai codici militari, dal finanziamento pubblico dei partiti alla Commissione inquirente? Per rispondere con esattezza, bisognerebbe essere indovini; la campagna per la raccolta delle firme è cominciata il primo aprile e dura, per legge, 90 giorni, che in pratica si riducono a 70 perché le ultime tre settimane sono quasi interamente dedicate al controllo e all'autenticazione. Per ora, i fatti stanno dando ragione ai radicali: a 16 giorni dalla clamorosa iniziativa, tra mille difficoltà di organizzazione e di struttura, sono state raccolte 122.368 firme. Nella classifica delle Regioni, il Lazio rimane sempre quello con il maggior numero di firmatari (35.190), seguito dalla Lombardia (22 mila 211), dal Piemonte (17 mila 60), dalla Campania e il Veneto (rispettivamente 6932 e 6698). Il «flusso» non si è arrestato neppure ieri, domenica. A Roma, sono state raccolte 2500 firme, 800 delle quali a un solo tavolo presso la basilica di Massenzio, mentre era in corso una manifestazione a favore del referendum organizzata da « Lotta continua ». A Milano, hanno aderito all'iniziativa voluta dai radicali numerosi partecipanti al congresso del psi milanese, tra i quali il sindaco Tognoli. Fresco fresco di stampa, Notizie radicali di oggi annuncia altre adesioni: il senatore comunista Umberto Terracini, Camillo Cederna, Dario Fo e Franca Rame. La adesione di Terracini non sorprende; l'anziano capo storico del pei è in eterna, ostinata contestazione con la linea ufficiale del suo partito, il quale non appoggio il referendum, anzi gli è ostile. L'iniziativa del pr (sgradita non solo al pei ma anche alla de e agli altri partiti dell'arco costituzionale) ha uno slogan: «Basta! Otto firme per un solo grande referendum ». « Dobbiamo spazzar via almeno il peggio — tuona Marco Pannella — i codici fascisti e borbonici, penali e militari; il Concordato clerico-fascista; le leggi Reale e quelle sul finanziamento dei partiti; la Commissione inquirente che assolve i ministri corrotti... ». « Dicono che otto referendum sono troppi. E' vero — ammette Pannella, riproponendo in questo appello un suo abituale « meccanismo » dialettico, fatto di crude ammissioni e saettanti smentite, di accuse spregiudicate e di autocritiche spietate — anche cinque sarebbero troppi. In realtà noi proponiamo un solo referendum che verrà votato lo stesso giorno, la stessa ora, per il quale le norme che ci hanno imposto richiederanno otto firme al momento della richiesta e forse una sola scheda al momento della votazione ». Pannella non si nasconde difficoltà e problemi: « Raccogliere in tutta Italia, dal più piccolo dei Comuni alla capitale, le cinquecentomila firme ripetute sugli otto moduli richiesti dalla legge, è un'impresa disperata se non nasceranno ovunque, in ogni paese, quartiere, fabbrica o ufficio comitati spontanei anche di poche persone (...). Dobbiamo quindi urgentemente unirci, conoscere, comunicare ». La prima norma che l'ira pannelliana vuole spazzar via è il Concordato. Per spiegarne il motivo, i promotori del referendum citano subito e perfidamente Gramsci: «I concordati sono capitolazioni dello Stato moderno». «La sapienza machiavellica di Togliatti — continua il leader radicale battendo e ribattendo nella tradizionale, aspra polemica anti-pci — poteva anche opporre alla proposta fatta nel '56 dai radicali di abrogare il Concordato l'alternativa mistificante della revisione. Ma la storia sarebbe stata più forte di tutte le astuzie e le acrobazie di una politica compromissoria. La revisione, in concreto, non si sarebbe mai fatta. Un Concordato come quello del '29 non si rivede, si cancella». Toni altrettanto intransigenti spiccano anche nelle motivazioni contro il codice militare di pace (promulgato nel '41) e l'ordinamento giudiziario militare (promulgato anch'esso nel '41). «Dovendo scegliere fra la richiesta di abrogazione totale del codice penale militare di pace e dell'ordinamento giudiziario militare, e una abrogazione limitata ad una parte delle norme più chiaramente incostituzionali e ripugnanti a qualsiasi coscienza democratica, è stata preferita la prima soluzione». A giudizio dei promotori del referendum, «tutte le norme dei testi legislativi appaiono tuttora improntate ad uno spirito autoritario e fascista». Il quarto nodo non da sciogliere, ma da tagliar netto in mille pezzi fino a scomparire, è quello dell'Inquirente. Quasi inutile ricordare le «motivazioni» radicali; da Trabucchi dallo scandalo Lockheed alle accuse a Leone, la legge che ha approvato la Commissione inquirente «ha dimo¬ strato d'essere omogenea agli equilibri di regime passati e presenti». L'obiettivo è quello di restituire alla magistratura ordinaria il processo a ministri o parlamentari sospetti di corruzione? La risposta è interlocutoria: il problema è delicato; forse sarà necessaria una modifica della Costituzione ma, intanto, abroghiamo. Abroghiamo — insistono i promotori — anche le «norme repressive del codice penale», il finanziamento pubblico dei partiti, la legge Reale, gli istituti manicomiali. Norme repressive del codice penale (quinto referendum) è una dizione cruda quanto assai generica; vi sono compresi in un miscuglio sconcertante l'abrogazione di decine di articoli dei codici, dalla pena dell'ergastolo ai reati a mezzo stampa, dall'offesa all'onore e al prestigio del Presidente della Repubblica agli atti contrari alla pubblica decenza. I radicali sostengono che la maggioranza di questi articoli riflette spiccatamente la concezione autoritaria e fascista che ha ispirato il codice penale. Al finanziamento pubblico dei partiti (sesto referendum) il pr intende sostituire un «finanziamento indiretto» che ammetta una erogazione diretta di fondi pubblici soltanto per il rimborso delle spese elettorali e per il funzionamento dei gruppi parlamentari. Le polemiche sulla «fascistissima» legge Reale e sui manicomi (7° e 8° referendum) sono così frequenti da rendere superflua ogni spiegazione. Fra tre mesi, vedremo se questa scheda a otto colpi avrà raggiunto, a dispetto di tanti, i suoi bersagli. Luca Giurato Marco Pannello
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