Povera Svizzera calunniata

Povera Svizzera calunniata SMONTATO DAI CRITICI E DAI FATTI IL LIBRO DI ZIEGLER Povera Svizzera calunniata Zurigo, aprile. Nel corso di questo ultimo anno, lo svizzero che ha fatto più parlare di sé è senza dubbio Jean Ziegler, deputato socialista all'assemblea federale di Berna, professore di sociologia all'Università di Ginevra, autore del libro Une Suisse au-dessis de iout soupson. E' un titolo sapiente ed efficace che andrebbe bene anche per un film (ci ricordiamo, in Italia, il successo di Gianmaria Volontè nella parte di Un cittadino al di sopra di ogni sospetto) e del resto il pamphlet di Jean Ziegler è provocante per la tesi che lo ispira: Svizzera uguale schizofrenia. Pervertita, la Svizzera è in sostanza un paese di malfattori: non già al di sopra di ogni sospetto o quanto meno insospettabile, ma anzi stranamente insospettato. Essa difatti gode nel mondo di largo credito democratico, si decora di rispettabilità, ed è venuto quindi il momento di denunciare all'universo che l'imperialismo secondario elvetico è il complice numero uno dell'imperialismo primario nordamericano, che a propria volta è responsabile di tutti i mali dell'umanità e del Terzo Mondo in particolare. E' superfluo spiegare che cosa intenda Ziegler per imperialismo primario e secondario. Le sue lineari concezioni sono tratte di peso, quasi letteralmente, dall'opuscolo di Lenin Imperialismo, stadio supremo del capitalismo (Zurigo 1916), dove appunto si legge che all'alba del ventesimo secolo il capitalismo si è trasformato in imperialismo, essendo i cartelli diventati una delle basi della vita economica. La creazione dei monopoli capitalistici è cosi fatalmente sboccata nella «mostruosa dominazione di un'oligarchia finanziaria», e mentre il vecchio capitalismo, quello che Marx aveva u suo tempo esaminato, si caratterizzava per l'esportazione delle merci, il nuovo — cioè quello di or sono sessant'anni — si distingueva per l'esportazione dei capitali «solida base per l'op¬ pressione e lo sfruttamento del-la maggior parte dei Paesi e dei popoli del mondo, a vantaggio del parassitismo capitalistico di un piccolo grappolo di Stati». Detto che il grappolo è, secondo Ziegler, essenzialmente costituito dagli Usa e dalla Svizzera, è detto quasi tutto circa la sua ideologia che, pure non essendo molto nuova e nemmeno aggiornata, comunque ha fatto un gran rumore. Un giornalista di buon nome, Victor Lasserre, ha pubblicato in questi giorni un «anti-Ziegler», lunga lettera aperta intitolata Une Suisse insoupifonnée (ed. Buchet-Chastel, Paris, 1977, pag. 175) che innanzitutto riconosce a Ziegler il successo internazionale del suo libello: «Mai, salvo errore, un autore rimando ha raggiunto i vostri livelli di tiratura: non Ramuz, gloria delle nostre lettere, e neppure Jean-Jacques Rousseau, nonostante due secoli di ristampe...». In cattedra In Francia ha tenuto a lungo il primo posto fra i best-sellers registrati da L'Express, e anche in Italia è stato tradotto e favorevolmente recensito. In Svizze, ra ha scatenato polemiche di una violenza senza precedenti, e il governo del Cantone di Ginevra è rimasto bloccato per mesi di fronte alla grave decisione se nominare Ziegler professore ordinario, o lasciarlo al suo rango di incaricato. Due mesi fa, il 10 febbraio, per quattro voti contro tre gli è stata finalmente data la cattedra di titolare, ma in segno di protesta il famoso storico Herbert Luthy (Calvinisme et capitalisme, La banque protestante en France de la rèvocaliuti de l'édit de Nantes à la Revolution, ecc.) ha restituito all'Università di Ginevra il diploma di laurea ad honorem che gli era stato conferito nel 1968. Dicci giorni dopo, il 20 febbraio, la televisione francese gli dedicava in Fr3 la popolare trasmissione domenicale «L'homme en questioni», con la parteci. 1 pazione di grandi nomi del gior- nalismo francese e svizzero, Olivier Todd, Iacques Simon Eggly, Jacques Aitali, e dell'attore Jean-Luc Bideau che avrebbe dovuto avere la funzione, più o meno, del nostro bravissimo Maurizio Costanzo. Ma Jean Ziegler, facondo ed irruente, lo ha ridotto a comparsa, e c'è voluto tutto l'impegno dei giornalisti per impedire che Ziedler la facesse da mattatore. «Jean — gli disse Todd per esempio — tu sei un uomo generoso, incontestabilmsnte. Per te, che uomini e soprattutto bambini muoiano nel mondo, è una cosa che conta. A mio gusto, però, tu sei un po' troppo generoso anche sul piano del vocabolario. Tu vai in giro con l'escatologia e l'ontologia in una mano, e la dialettica e il rituale nell'altra. Per esempio, tu dici: irritavo molta gente, fenomenologicamente, molta gente irritavo. Ma che cosa c'entra la fenomenologia, mi sai dire? Non sarà mica che tu intendi praticare, alla maniera francese, il terrorismo intellettuale?». Il terrorismo può essere una cosa grossa, ma in Ziegler si riduce ad una forma di ermetismo solo diretta a impressionare il lettore. Un esempio: «Insisto particolarmente sull'imperialismo culturale che sottende, per giustificarlo, l'imperialismo economico e politico. La mondializzazione del capitale si accompagna necessariamente alla mondializzazione delle significazioni decretate dall'oligarchia del centro». Un'altra forma di terrorismo Ziegler l'ha messa in atto contro Eggly che lo trattava apertamente da mentitore: accusato, non confutava nulla sul piano specifico, ma con un diluvio di parole e di proclamazioni di principio confondeva le idee dei telespettatori. A Jacques At-tali, che doveva pur trarre una conclusione da quel dibattito pressoché irreale, restò poco da dire. «Io credo — emise con pazienza una parola dopo l'altra 1 di centinaia di tonnellate d'oro | sottratte dal Negus al suo popo- — che verità e rigore sono i soli elementi che possono condurre al socialismo, lo penso che la menzogna in sé e pei sé assicura la condanna del socialismo». Menzogne, o falsità, o per lo meno errori di fatto, nel pamphlet di Ziegler ne sono stati contati novanta, a una media di uno ogni due pagine, ed è una media alla anche perché generalmente non si tratta di semplici sviste, di innocenti svarioni, di imprecisioni innocue. Anche fra queste categorie di inesattezze gli attenti revisori del pamphlet di Ziegler hanno comunque mietuto e vendemmiato allegramente, divertendosi ad arrivare alla conclusione che, per esempio, in fatto di sforai, anche di storia svizzera, Ziegler è debolissimo: ma non sarebbe poi cosi grave se proprio su certi dati della storia del suo Paese egli non si arrischiasse a porre le fondamenta di alcune concezioni sociologiche. Venendo a mancare quei dati, quali ne sono le conseguenze? «E' pur vero — scrive ironicamente Victor Lasserre — che la sociologia è una strana disciplina. Sedotto dalla sua etimologia, per lungo tempo ho creduto che si trattasse di una scienza, e quindi fondata sull'osservazione dei fatti...». Pezzo a pezzo In altri casi, all'ironia fa luogo la beffa. Ziegler, per dimostrare che le banche svizzere fanno sempre il gioco dei tiranni, ha nel suo libro preso per buona la denuncia dei militari etiopici secondo la quale il Negus avrebbe contrabbandato a Zurigo «centinaia di migliaia di chilogrammi d'oro estratti in decine di anni nell'Abissinia Meridionale». Bene, si tratta dunque lo, complice la Svizzera in fun zione di ricettatore. Però in Etiopia la produzione d'oro ha solo molto raramente superato la quantità di una tonnellata l'anno, come avrebbe potuto Hailè Selassiè accumularne centinaia, durante il pur lungo suo regno? Si tratta di una svista, ovviamente, ma è un po' grossa, e non testimonia della serietà dell'autore il fatto che su un errore marchiano del genere egli poi costruisca tutto un ragionamento politico. E' peggio ancora quando Ziegler accusa nel suo libro il ministro degli Esteri Spuehler di avere in qualche modo giustificato il razzismo del governo sudamericano: tutto al contrario, non solo è vero che Spuehler lo deplorò apertamente, ma fu proprio Ziegler che in altra sede gliene diede atto pubblicamente. Olivier Reverdin, presidente del Fondo nazionale per la ricerca scientifica, sarebbe «einer der grossen Verkauften», uno dei grandi venduti, secondo una dichiarazione fatta da Ziegler alla Luzerner Neueste Nachrichten del 4 settembre 1976: eppure appena qualche mese prima, Ziegler gli aveva inviato una bella dedica: «A Olivier Reverdin, in segno di altissima considerazione per l'immenso, benefico lavoro che egli svolge alla presidenza del Fondo nazionale della ricerca scientifica, con la mia rispettosa . e fedele amicizia». Il libro di Ziegler, un anno fa, aveva colpito a segno. Un politologo severo e diffidente come Max Gallo scrisse su L'Express (10-16 maggio 1976) che «si può contestare la tesi generale di Ziegler, ma sarà difficile confutare i fatti da lui riferiti». Victor Lasserre ci si è provate ed è riuscito a smontare pezzo per pezzo la maggior parte della costruzione. La Svizzera patriottica e benpensante ne è deliziata sentendosi alleggerita di tutte le sue colpe eventuali. Per confortare la propria coscienza non c'è niente di meglio che essere attaccati da avversari che loro i malgrado sbandano tra l'approssimazione e la faciloneria. Vittorio Gorresìo