DIBATTITO

DIBATTITO DIBATTITO Il cambiamento sarà in peggio? Ascoltando il telegiornale di venerdì 15 aprile che annunciava l'approvazione da parte del Consiglio dei ministri del progetto di riforma universitaria presentato dal ministro Malfatti, mi ritornò alla mente la leggenda della vecchietta che piangeva dirottamente quando si sparse, tra la letizia generale, la notizia che era morto il terribile tiranno che sino allora aveva imperversato: ed a chi le chiedeva il perché di tanto dolore rispose candidamente che i misfatti del tiranno morto già li conosceva, mentre temeva oltremodo ciò che avrebbe fatto l'ancora ignoto successore. Qualche psicanalista, forse, saprà svelarmi i motivi di questa associazione di idee. A me ha suggerito solo qualche considerazione su questa «riforma» che pare ormai prossima a percorrere l'iter parlamentare. Che il ministro l'avesse praticamente anticipata, con un colpo di mano che molti dissero «giustizialista» o «peronista», nell'ormai celebre «accordo politico» fatto in marzo con i rappresentanti di quei sindacati, che non sono molto rappresentativi dei docenti universitari ma dominano le piazze e l'opinione pubblica, fu giudicato in genere come uno scandalo: era stata lesa la dignità del Parlamento a cui soltanto spetta, così pensano ancora i più, di legiferare su ciò che ha interesse nazionale. Pare anzi che il ministro fosse stato invitato a presentarsi alla commissione Istruzione del Senato per riferire sugli accordi stipulati e illustrare il suo progetto. Non credo che questo sia avvenuto: tuttavia, la discussione parlamentare è ormai prossima. Ma avrà la serietà e l'efficacia che tutte le persone di buona volontà si augurano? O quell'«accordo politico» non fa gravare su essa una pregiudiziale che la costringerà entro binari? Persone autorevoli ritengono che, in Parlamento, alcuni punti del cosiddetto accordo «salteranno in aria» e che altri «saranno perfezionati o recepiti». Ma la realtà politica ci insegna che il risultato è determinato da chi ha in mano il gioco più forte; e se Malfatti ha ritenuto di procurarsi un poker, i sindacati confederali dispongono in effetti di una scala reale. E' improbabile che qualcosa d'importante nell'accordo salti in aria; ed i «perfezionamenti» avranno un senso univoco, poiché non scorgo tra le forze politiche chi osi azzardare opporsi ai sicuri vincitori. Eppure, per ciò che si sa del progetto malfattiaiio, molte cose avrebbero bisogno di saltare o di essere perfezionate. Anche su questo punto il coro delle proteste è stato generale, perché la diversità ideologica non fa velo a molti uomini che hanno esperienza diretta dell'insegnamento universitario e dei suoi problemi. 11 carattere di fondo di quell'accordo, e quindi dell'imminente riforma, è il suo aspetto corporativo. Si vuole stabilizzare con il ruolo tutti coloro che operano nell'università (e si parla di quarantamila docenti nel giro di pochi anni), indipendentemente dal fatto che ciò sia scientificamente e socialmente utile. Dal rettore all'assegnista, dai «baroni» ai precari, tutti avranno un posticino assicurato, purché rispondano «presente». Si parla di concorsi; ma che contano, quando i posti disponibili sono tanti quanti i concorrenti? E quando prevale lo spirito corporativo anche la distinzione delle due fasce di docenti ordinari ed associati finirà per essere qualcosa di nominalistico, destinato a scomparire in un tempo più o meno breve. L'esempio degli ex professori aggregati, proclamati «baroni» ope legis. è sintomatico. Il corporativismo erige un muro di fronte alle nuove leve di giovani studiosi che già non sono nell'Università; cancella ogni elemento di selezione, indispensabile per la distinzione delle funzioni ed anche per la vivacità della ricerca scientifica; fa persino dimenticare che quarantamila docenti operanti a tempo pieno nelle attuali strutture murarie dell'Università dovranno o fare i turni o disporsi a strati, come le sardine. Ma ciò che è più grave, salvo generiche affermazioni di principio, esso lascia nel vago gli scopi dell'Università, che è definita come centro didattico-professionale e di ricerca. Ma, in entrambi i casi, la mostruosa crescita corporativa è controproducente. Dal punto di vista didattico i quarantamila docenti servono, oltre che a placare dei postulanti, a prendersi cura (ad un livello più o meno liceale) della massa di centinaia di migliaia di studenti, aumentati anche da precedenti errori politici e destinati ad essere in buona parte, dopo la laurea, dei disoccupati intellettuali. Socialmente, quindi, si monta una enorme macchina per produrre il vuoto o, peggio, la disperazione. Una riforma che non badasse a mettere toppe provvisorie ma si preoccupasse del futuro dovrebbe quindi restringere, anziché gonfiare, l'Università. E ciò vale anche per la ricerca scientifica: poiché se è vero che ci sono gregari validissimi e «baroni» che vivacchiano, è non meno vero che l'Italia non dispone di qua¬ rantamila persone atte alla ricerca scientifica. Il che non toglie che potrebbero essere utilissime in altre professioni. Il ridimensionamento dell'Università è tuttavia in qualche modo legato all'introduzione del numero chiuso (vigente in tutti i Paesi di stretta programmazione) o all'abolizione del valore legale dei titoli di studio a provvedimenti equipollenti. Ma tutto ciò è tabù per i nostri politici. 1 responsabili degli uffici scuola dei vari partiti si sono riuniti a Camerino alla fine di marzo, pochi giorni dopo il famoso accordo di Malfatti, senza che l'evento abbia avuto molta risonanza. Alcune delle loro dichiarazioni sono forse il motivo profondo che ha suscitato in me l'immagine della vecchietta quando ho appreso dell'avvio «legale» della riforma. Chiarante, del pei, ha definito l'accordo «un primo approdo su cui ulteriormente lavorare»; ed è difficile convincere i marinai ad abbandonare l'approdo per tornare in alto mare. E Tesini, della de, ha dato qualche cenno sui «perfezionamenti» da attendersi, ad esempio, circa la discussa titolarità della cattedra. «Basta — ha affermato — col diritto divino di gestire per tutta la vita un insegnamento. La serietà della docenza non si difende con una inamovibilità priva di controllo, ma si difende invece con il controllo esercitato seriamente dagli organi collegiali». Così un rappresentante del partito di maggioranza relativa intende la funzione del «dipartimento», la «perla» ancora fascinosamente misteriosa della riforma. Come non piangere su un futuro più minaccioso del presente? Francesco Barone

Persone citate: Chiarante, Francesco Barone, Malfatti, Tesini

Luoghi citati: Camerino, Italia