Il mare di Palermo ha restituito la vittima della «lupara bianca»

Il mare di Palermo ha restituito la vittima della «lupara bianca» Continua la lunga serie di crimini ad opera della mafia Il mare di Palermo ha restituito la vittima della «lupara bianca» (Dal nostro corrispondente) Palermo. 15 aprile. La «lupara bianca»: con questa espressione sono definite le esecuzioni mafiose di Pa- j lermo. Qui ogni anno, almeno una decina di malviventi finiscono nel nulla. Polizia e carabinieri non hanno la possibilità di trovare il cadavere e le indagini sono rallentate perchè c'è sempre, in fondo, il sospetto che lo «scomparso non sia stato soppresso, ma sia fuggito magari all'estero». Stavolta, invece, la vittima è stata rinvenuta e quasi certamente identificata. Sarebbe, infatti, Giacomo Fasone, 21 annd, 1' ucciso trovato 1* altro ieri nel porto di Palermo dove galleggiava nell'acqua sporca davanti alla diga foranea in costruzione. La salma è stata riconosciuta da Giuseppina Porretto, suocera del Fasone. Il giovane era scomparso da casa il 19 marzo e cinque giorni prima era spari, to — è stato soppresso anche lui? — il suo amico e coetaneo Domenico Oarratello. Legato mani e piedi dietro alla schiena, il presunto Fasone era stato buttato nel canalone fognario della borgata Passo di Rigano che scarica non distante dal porto. Negli anni «ruggenti» della edilizia palermitana quando tra il '50 e il '60 le cosche mafiose dei Greco, La Barbera, Torretta, Liggio lottarono per accaparrarsi vaste aree edificabili, spesso gli avversari uccisi venivano gettati nella calce viva oppure murati dentro colonne di cemento | armato nei cantieri di impresari complici. Invece la «mafia rurale», quella all'antica che ancora si «ostina» a servirsi del fucile a canne mozze anziché dei mitra e delle maschinen-pistolen, aveva e ha l'abitudine di sotterrare le sue vittime in sperduti luoghi di campagna poco battuti. A Roccabusambra, presso Corieone, il paese di Luciano Liggio, anni fa venne scoperto un cimitero della mafia in fondo a una roggia. Fu Vincenzo Streva, un mafioso che per il rimorso impazzì, a rivelarne l'esistenza all' ufficiale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, oggi generale dell'arma. Nella grotta profonda oltre cento metri fu scaraventato un pastorello quindicenne che aveva «visto troppo». La definizione «lupara bianca» fu spessissimo usata nei suoi servizi per i giornali, da Mauro De Mauro i.< giornalista «scomparso» dopo essere stato sequestrato sotto casa, in viale Delle Magnolie a Palermo, nel tardo pomeriggio del 16 settembre 1970. «Forse — ricorda un commissario della squadra mobile — fu proprio De Mauro a coniare guesta espressione». Del giornalista che scriveva sulla mafia, non si è più saputo niente da quando la figlia e il genero lo videro allontanarsi sulla sua «Bmw» con quattro persone con le quali aveva parlottato uno o due minuti. Praticamente è indefinibile 1' elenco delle vittime della «lupara bianca» a Palermo. Manca una statistica precisa tanto in questura quanto al gruppo carabinieri, tantomeno quindi ce n'è una a Palazzo di Giustizia dove ai magistrati, trascorsi dieci anni dalla sparizione della vittima, non rimane che stendere le sentenze di dichiarazione di morte presunta. Uno degli ultimi individui inghiottiti nel nulla, due anni fa, fu Giuseppe Frisina, un anziano ex mafioso che mandato da Palermo in soggiorno obbligato a Nichelino (Torino) pare avesse cambiato vita e, aiutato da moglie e figli, aveva aperto due macellerie. Tornato per una breve vacanza a Palermo, per acquistare un appartamento («E' per la vecchiaia — aveva detto a un parente — pensiamo di venire a morire gui, a casa), sparì dalla stazione centrale dove il conducente di una auto da nolo l'aveva accompagnato al treno direttissimo per Torino. Frisina non arrivò mai. Non è stato più trovato. Di «lupara bianca» invece morì l'altro anno Stefano Giacoma, 42 anni, già luogotenente di Angelo La Barbera, a sua volta assassinato a coltellate in prigione a Perugia. Giacoma fu trovato sepolto in un agrumeto a una ventina di chilometri dalla città. A un paio di metri dalla sua tomba, mesi prima, il proprietario del fondo aveva già rinvenuto il cadavere di un altro pregiudicato del quale non si avevano più notizie. Antonio Ravidà