Un tenero duetto allegro e tragico
Un tenero duetto allegro e tragico L'esordio di Gino Pugnetti Un tenero duetto allegro e tragico Gino Pugnetti: «Dei miei bollenti spiriti », Ed. Mondadori, pag. 373, lire 5000. Gino Pugnetti è al suo primo romanzo e fa subito centro con questo suo lungo racconto di intrattenimento. Lo si legge volentieri, anche senza bisogno di concentrazione, perché il libro non è giocato sulla sua storia, né sull'intreccio di motivi e di temi (tanto meno di problemi), ma tutto sul suo linguaggio e sul suo ritmo. Un linguaggio parlato, che senza pretendere al "pastiche" stilistico, combina con divertimento lingua e dialetto, ed esibisce — quasi per gioco — lo svarione grammaticale, l'equivoco lessicale, la storpiatura sintattica. E soprattutto un ritmo gaio d'operetta, che può concedere anche pause d'attenzione. Tanto quel che accade non conta: è la grazia del gesto, è la movenza buffa, che interpreta la sorridente filosofia di un gioioso saper vivere. Séribe, il protagonista di queste pagine, vive la splendida stagione della propria matura giovinezza, fra lutti e disastri nazionali (siamo tra il '43 e il '45). Ma le "robe sue personali" contano "più della guerra e dei disastri". E queste "robe" sono faccende di cuore. Séribe ha una tresca con la moglie del padrone del bar dove lavora, ed è scoperto dal marito furioso, che vendica il suo onore lasciando il giovane rivale con due denti rotti. "Mai più, mai più donne maritate — dirà Séribe tra sé — con tanta merce pronta che c'è in giro". Cambia dunque lavoro e cambia donna: in un albergo incontra la moglie del federale; in una villa impalma la "signora". Ma qui son cose serie: il matrimonio appunto. Lei cinquantenne e lui trentenne vivono un rapporto edipico, con recìproco compiacimento. E sono queste le pagine migliori del libro, soprattutto per la rarità del tema. Pugnetti descrive con delicatezza la figura di questa madre-sposa che si apre alla vita e "beve" alla fonte dell'incoscienza gioiosa di Séribe, partecipando alla sua spensierata fiducia nel vivere, giorno per giorno, pur nella consapevolezza di chi invece conosce il grigio del futuro. Séribe e Gianna "stretti stretti nell'estasi d'amor" cantano quasi con gesto di sfida il loro duetto allegro, di fronte al mondo che rovina. Che importano, nel loro caldo nido, gli echi del mondo: Mussolini a Salò e i tedeschi sempre più ringhiosi, gli americani ancora lontani. Anche nell'operetta c'è tuttavia, minacciosa, "la forza del destino". La vita è avventura, ma non sempre gioco. Muore Gianna la madre-sposa, "raggiante di pallor", proprio in tempo per non conoscere da vicino le tinte cupe del suo avvenire (ed è il privilegio che Pugnetti riserva al suo personaggio prediletto). Séribe capovolge le parti e si innamora della giovane Iva: "qualche cosa di tenero" da "difendere". Investito del nuovo ruolo (da "figlio" diventato "padre"), matura anche una diversa coscienza: già collaboratore dei tedeschi, per amore di Iva, va in collina, fra i partigiani. "Iva, dimmi anche tu la parola ebben sì t'amo". E la dirà: e i due — mentre l'Italia liberata è in festa — canteranno il loro finale coretto d'amore: "fino alla morte insìem". Li lasciamo così, canterini e felici: e chiudiamo il libro, al punto giusto per non farci delle domande, né sollevare problemi. Giorgio De Rienzo
Persone citate: Gino Pugnetti, Giorgio De Rienzo, Mussolini, Pugnetti
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