Cadaveri nel baule con Durrenmatt

Cadaveri nel baule con Durrenmatt "Il complice,, in scena al Teatro Stabile di Genova Cadaveri nel baule con Durrenmatt (Dal nostro Inviato speciale) Genova, 14 aprile. 'Questo è un lavoro teatrale sul tema della complicità, scritto da uno che è complice egli stessodichiara, non senza solennità, Friedrich Diirrenmatt nell'introduzione della commedia che il Teatro di Genova rappresenta da ieri sera al Duse: Der Mltmacher, è del 1973, per l'Italia è nuovissimo, e nella scorrevole traduzione di Emilio Castellani, s'intitola, appunto, // complice. Allo scrittore svizzero, uno dei maggiori drammaturghi viventi di lingua tedesca, piace spiegare i suoi lavori. Ma in questo caso, anche un breve preambolo è superfluo: « vero che Diirrenmatt a proposito della sua precedente commedia, Ritratto di un pianeta, ha scritto che il senso di essa e di quelle che l'avrebbero seguita era 'da ricercarsi non nelle Irasi, ma tra le frasi', ma qui nessuna considerazione si può fare e nessuna spiegazione si può dare che non siano già tutte nel testo. Il che non vuol dire che questo sia sempre lampante, anzi alla fine s'ingarbuglia talmente da lasciare perplesso lo spettatore, ma è un groviglio che viene proprio dalla spietata chiarezza con cui l'autore sco¬ pre le carte dei suoi personaggi e dalla stretta consequenzialità nella quale li lega. E' la storia di una gigantesca anonima omicidi, che ha i suoi modelli nei romanzi e nei film gialli e persino nella Opera da tre soldi brechtiana, dai quali tuttavia si distacca per una proliferante mostruosità: la sua struttura e le sue vicende vengono a mano a mano a coincidere con II mondo di oggi del quale, all'inizio, era solo un bubbone. E come? Con la complicità di tutti: di Doc, nome emblematico di uno scienziato che inventa una macchina per dissolvere i cadaveri (il delitto perfetto) e la mette al servizio della criminale organizzazione; di Boss, capo indiscusso di questa da quando ha fatto fuori il socio e sino a quando altri e più potenti soci non elimineranno lui; dei -clienti" che chiedono all'organizzazione di sbarazzarli dei concorrenti, dei rivali, delle mogli, dei figli. Anche la giovane Ann. amante di Boss ma innamorata di Doc, è una complice se non altro per la sua passività, ma vi sono due personaggi che si ribellano, o credono di ribellarsi, a una condizione che è di tutti: l'anarchico Bill (si scoprirà poi che è figlio di Doc per una di quelle paradossali coincidenze disseminate nel dramma dall'autore non solo per divertirsi alle spalle dei suoi personaggi ma per datarli meglio), un anarchico che usa la sua fortuna colossale per distruggere la società ma ne è, senza sospettarlo, il complice più prezioso perché questa si serve di lui come alibi (è la strategia I della tensione?); e Cop, il capo della polizia che favorisce la corruzione dell'ordinamento statale sino ai suoi vertici per 'fare piazza pulita', illudendosi che -un po' di giustizio, ogni tanto, la si possa realizzare-. Ad entrambi il radicale pessimismo di Dùrrenmatt concede scampo solo nella morte («eh/ muore non è più complice' dice Cop): chi vuole effettivamente rifiutare ogni complicità con un establishment che non può abbattere in nessun modo, non ha che l'autodistruzione. Così, Bill e Cop usciranno anche loro di scena con i piedi in avanti lasciandovi solo Doc. Illuminata dai lampi di una feroce ironia, ma intasata da una sentenziosità un po' fritta e rifritta (tipo -Il mondo degli affari si regge sulla violenza), dove risuonano gli echi di una tematica sulla quale tutto il teatro dì Dùrrenmatt batte e ribatte con eccessiva insistenza, la commedia è ambientata nello squallido laboratorio di Doc sprofondato nel sottosuolo di una città, si suggerisce americana, ed e rallegrata, non si fa per dire, da un andirivieni di cadaveri in casse e bauli tra il montacarichi che li porta giù e la cella frigorifera che, con un sinistro fruscio, li dissolve. Il giovane Marco Sciaccaluga, sul quale Genova ripone non infondate speranze, ha allestito // complice, nella massiccia cornice scenografica di Gianfranco Padovani, con qualche abuso di 'macchine» ronconiane (e, puntualmente, Il montacarichi si è brevemente inceppato) ma con intelligente fedeltà alle indicazioni dell'autore e con un occhio e una sicurezza già da regista di cartello. Forse non è abbastanza energico nel dirigere gli attori se Claudio Gora (Boss), può permettersi lazzi da gangster che stridono con la secca e intensa recitazione di Ferruccio De Ceresa (lo scienziato) e di Omero Antonutti (un ottimo Cop) che nel finale si scatena in un acrobatico numero percorrendo il palcoscenico appeso a una corda con una mano uncinata. Il successo alla prima è stato davvero notevole. Alberto Blandi

Luoghi citati: Genova, Italia