Una ideologia delirante di Igor Man

Una ideologia delirante INCONTRO A ROMA CON GLI "INDIANI,, METROPOLITANI Una ideologia delirante Il Movimento, "non anticomunista ma contro il pei", è per Enzo Modugno la vera sinistra: vuol ottenere con la rivoluzione ciò che le riforme non possono dare - Non dà molta importanza a "qualche pistolettata": è "colpa della legge Reale" Roma, aprile. Dopo i fatti di febbraio, culminati nella contestazione di Lama all'Università di Roma; dopo i moti di Bologna e Roma, in marzo, il Movimento Autonomo è al centro dell'attenzione generale. Ma chi c'è dentro, chi c'è dietro? Dentro c'è di tutto: dagli stalinisti agli anarchici, dagli studenti ai disoccupati. Dietro, per il pei, c'è chi ha interesse ad attaccare la classe operaia, il partito comunista, secondo un disegno di pretta marca fascista, per far precipitare la crisi. Insomma, per gettare il Paese nel caos. La caratteristica politica precipua del Movimento Autonomo o di Autonomia Operaia, sembra essere l'anticomunismo, da qui la facile accusa di «nuovo fascismo». In realtà il Movimento non è anticomunista ma è contro il pei. Rosso, il giornale portavoce dell'Autonomia, ha scritto: «Contro la lotta di classe, i sedicenti comunisti del pei e i bonzi sindacali sono ormai alla delazione pura, alla compartecipazione fisica con le forze dell'ordine nell'arrestare i compagni». E Rivolta di classe, organo del Collettivo autonomo romano di via dei Volsci, ha precisato: «Lo scontro col pei acquisisce valore centrale per la connotazione politica del movimento». Perché lo scontro con il pei? Risponde Enzo Modugno, un «vecchio autonomo», giovane assistente di logica all'Università di Roma, direttore di Marxiana. Occhi lucidi come olive nere, parla pacatamente e non senza ironia. Alla base di tutto c'è la grave crisi che attanaglia l'Italia. Ebbene, «pei e sindacati concepiscono la soluzione della crisi all'interno dell'ordinamento capitalistico, all'interno delle leggi economiche e delle leggi dello Stato che vi corrispondono. Ciò non può che significare come la crisi debba pagarla la classe operaia. Infatti: attacco alla scala mobile, aumento dei ritmi e dei carichi di lavoro, lavoro nero, disoccupazione eie». Questa linea politica fila liscia finché la lotta di classe rimane latente o si manifesta soltanto attraverso i canali istituzionali del sindacato e del pei. Ma quando la lotta di classe raggiunge «forme via via più. pronunciate e minacciose», per questa linea politica suona la campana a morto. Il movimento di lotta di questi ultimi due mesi rifiuta le leggi economiche del capitale e la soluzione della crisi all'inter- no di queste leggi: dunque la sua linea politica è «illegale». Rifiuta le leggi del capitale e dello Stato, pone obiettivi che le riforme non possono più risolvere. E il pei risponde attaccando il Movimento secondo l'equazione illegalità-fascismo: sostiene Modugno. La rottura «Lo scontro fra queste due linee, una riformista e l'altra rivoluzionaria, viene ridotto a uno scontro tra legalità e illegalità, tra democratici e antidemocratici, tra non violenti e violenti e dunque più o meno oggettivamente fascisti; e si parla di nuova provocazione, dì piano particolareggiato contro il pei etc. «Ciò che è successo nel mese di febbraio a Roma, può contribuire a chiarire questa cruciale questione (sulla quale si è infranta buona parte della Nuova Sinistra), del rapporto tra lotte auto- nome di massa e pei. Sono stati giorni intensissimi di lotta e nello stesso tempo, come sempre avviene, di straordinario apprendimento di massa; così è stato facile capire che il pei non ha commesso "errori" ma è stato lucidissimo fin dall'inizio. L'istinto del segretario della federazione romana ha colto subito la situazione e sono stati usati tutti i mezzi, tempestivamente. Un'autentica escalation: attacchi sull'Unità contro "poche decine di squadristi, assemblea con Cazzaniga della Cgil-Scuola, intervento di Asor Rosa e attivisti del pei nelle assemblee, servizio d'ordine del partito. Tutto inutile. «Decidono allora una soluzione radicale, il comizio di Lama all'Università. Togliatti non l'avrebbe mandato. Questi invece, che non conoscono i classici, credono che un parlatore insinuante possa persuadere il popolo. Non sanno — dice Rousseau — che Cromwell sarebbe stato messo alla berlina dal popolo di Berna, e il duca di Beaufort sarebbe stato rimesso a posto dai ginevrini. Ma più del comizio di Lama è importante quel che è successo due giorni dopo, il 19 febbraio. Una manifestazione enorme che va verso via delle Botteghe Oscure difesa dalla polizia, con il servizio d'ordine del pei asserragliato nella sede del partito e nelle sezioni, 50 mila persone che girano per Roma indignate per l'offesa di "nuovo fascismo" fatta da Lama e dal pei al Movimento. Non si era mai visto nulla di simile. Roba da paesi del'Est. E all'interno delle sezioni una rivolta che ricordava i tempi dell'Ungheria. Insomma, il Movimento riesce a fare in pochi giorni ciò che certa nuova sinistra non è riuscita neanche ad immaginare in molti anni. Chi governa o si accinge a governare ha di che preoccuparsi. «Domenica 20 febbraio, grande stampa e Unità, padroni e pei si parlano, in pubblico, senza pudori. Dicono i primi: non siete capaci di "placare le masse", gli operai non accettano l'austerità, gli studenti la riforma. A che cosa serve allora il compromesso storico? Risponde Asor Rosa: serve ancora, è solo che bisogna distinguere, le masse si dividono in due, da una parte gli occupati, i "moderni operai di fabbrica, organizzati, inseriti, consapevoli", che il pei può garantire; dall'altra i disoccupati, i disgregati, gli emarginati: questi non ci riguardano, è roba vostra, anche perché noi non abbiamo "gli strumenti del potere". Ed eccoci all'ultimo atto della escalation». Non essendo riuscito a negare il Movimento, dice Modugno, il pei tenta di riassorbirlo. L'autocritica — ma Berlinguer continua a parlare dì «magma fangoso» — è solo un cambiamento di tattica. Dopo Lama tocca a Trentin: non più servizi d'ordine, ma un tentativo di contatti e di discussione che culmina con l'assemblea nazionale del Movimento tenutasi a Roma, propagandata dall'Unità, da tutta la stampa. La federazione metalmeccanici fa delle proposte al pei, al pdup e ad Avanguardia operaia e tutti si mobilitano per farle passare. Ma questa «offensiva» ha coagulato nel frattempo uno schieramento avverso molto combattivo «che sventa la manovra». Il Movimento nel complesso supera anche questo tentativo di riassorbimento, si avvia una critica di massa di ciò che è successo, non si riconosce la rappresentatività di nessuno e tanto meno dì un sindacato che ha interpretato così ma. le i bisogni «storicamente prodotti» della classe operaia. «Ma soprattutto — spiega Modugno — si respinge il tentativo (celato sotto un progetto riformistico a cui nessuno più crede) di spaccare futuri occupati e futuri disoccupati. I primi "organizzati e consapevoli"; gli altri, i "disgregati", i 50 mila di Roma, gli "emarginati" nelle riserve del "terzo mondo interno"». Secondo Modugno, il professor Asor Rosa sbaglia quando separa così nettamente le «due società»: per lui, gli occupati e i disoccupati tendono invece ad essere una cosa sola, li unifica immediatamente la lotta comune contro l'aumento dello sfruttamento. Ogni aumento della produttività, sostiene, si traduce in diminuzione dell'occupazione e quando si attacca l'assenteismo e si accetta l'aumento dei ritmi e dei carichi dì lavoro, degli straordinari, la mobilità della forza-lavoro, si colpiscono a un tempo occupati e disoccupati. «Affiorano problemi che le riforme non possono risolvere: divisione sociale del lavoro, divisione tra lavoro manuale e intellettuale, strutture autoritarie, rapporti capitalistici di produzione. A Lettere c'era scritto: "La rivoluzione ha messo le uova nel Movimento"». Con la P.38 Ma ha messo anche la P.38. La violenza. Basta guardare a quel che è successo nel sabato nero del 12 marzo, a Roma. «Nel '68 la Pravda accusò ti movimento del Maggio francese, i protagonisti di quella esperienza di essere "lupi mannari" al servizio della Cia. Oggi si fa 10 stesso». Però allora si faceva a cazzotti, non si sparava, non si lanciavano le bombe Molotov. Come spiega questo, diciamo, salto di qualità? «No, le bombe Molotov c'erano anche allora; adesso 11 salto è stato qualche pistolettata. Ma bisogna ricordare che in mezzo c'è stata Piazza Fontana. Ci sono state delle bande fasciste in giro per i licei, le università, le fabbriche, decise ad ammazzare. C'è la strategia della tensione, di pura marca fascista, che ha scatenato in Italia il finimondo che sappiamo. «E allora, cosa è successo? E' successo che ci sono degli strati consistenti di operai, di studenti che si sotì visti ferire prima e uccidere poi i fratelli, i compagni. Alcuni hanno sfidato la violenza e han continuato a far politica, altri hanno smesso di farla perché impauriti, altri ancora si sono comperati la pistola. Ecco cosa è successo dal '69 ad oggi. Ma non è un fatto ideologico, non è che questi operai, questi studenti amino la P.38, che abbiano in testa un'idea insurrezionale che in Italia è forse impossibile. Si sono armati per difendersi dalle bande fasciste. Ma di chi è la colpa? Perché il pei che pure nel compromesso con la de ha trattato su molti punti, non si è mai impuntato sul disarmo dei fascisti? A Roma, per esempio, sono un centinaio, si conoscono tutti, sono stati denunciati più volte eppure circolano ancora indisturbati. Il pei non si è mai mosso seriamente per far mettere in galera questa gente». Ma si potrebbe obiettare che il 12 di marzo a Roma qualcuno ha sparato non contro i fascisti, ma contro la sede della de, contro la polizia. «Ecco, qui interviene un altro fattore: la Legge Reale. Non appena ti muovi, quelli ti sparano. Il sabato precedente al 12 di marzo, il 5, c'era stata una manifestazione con scontri in tutta Roma: la polizia aveva attaccato in modo incredibile, con sventagliate di mitra, come non ci siano stati parecchi morti quel giorno Dìo solo lo sa. La polizia appena vede un corteo che sbanda, spara. E può farlo perché c'è la Legge Reale. E questa legge c'è perché il pei l'ha lasciata passare. Ci sono degli strati che davanti a queste cose — che durano da anni — si sono comperati la pistola e mi meraviglia che ancora non si siano comperati i mitra e armi più micidiali perché oramai lo scontro è a questi livelli». Questi «strati» sono controllabili da parte del Movimento o no? «No. Innanzitutto perché non è un partito e poi perché si è coagulato in appena qualche settimana. Il più grosso problema del Movimento in questo breve lasso di tempo è stato quello di sapere, di capire quali erano le situazioni di lotta che lo componevano e tentare un collegamento tra di esse. Ma figurarsi se è possibile in breve tempo conoscere chi sono i componenti di quelle "situazioni" e fare con loro un discorso politico sull'uso o meno della violenza armata! Oggi come oggi sappiamo che il Movimento — ed è questa la sua forza — esprime situazioni maturate con l'inasprirsi della crisi e nelle quali si manifesta il rifiuto di sottostare alla violenza fascista, alla violenza della polizia, a una soluzione della crisi imposta dai padroni, cioè all'interno delle leggi economiche e dello Stato. Oggi il Movimento esprime varie "componenti" e non è ancora possibile giudicare se siano buone o cattive, belle o brutte. E' un fatto ma dì qui a dire, come fanno i comunisti, che qualche centinaio di autonomi hanno sobillato le masse, ce ne corre». Conti da fare Dicono che siete dei fallocrati, dei nuovi goebbelsìanì, dei diciannovisti, che i neofascisti vi guardano con occhio indulgente. «E' grave che i comunisti siano arrivati a questo punto. Che non riescano a riconoscere un autentico movimento di massa. Più grave ancora quando, avendolo riconosciuto, tendono a negarlo. Ma io credo davvero che alcuni di loro non si siano resi conto che esiste un Movimento e che lo rimuovano, come si dice in psicanalisi; altri ancora se ne sono accorti e mistificano affermando che si tratta di pochi gruppi sobillatori. «In realtà — conclude Modugno —, questo è un movimento autonomo che è portatore di una strategia diversa da quella del pei. Quella del Movimento è rivoluzionaria perché vuole una solu zione della crisi che rompa con le leggi economiche dei capitale. Al contrario il pei vuole risolvere la crisi all'interno del sistema, cioè senza intaccare le leggi del capitale e dello Stato. Così per esorcizzare una realtà scomoda se la prende con pochi autonomi imputandogli la responsabilità di una situazione sociopolitica con la quale, tuttavia, dovrà, prima o poi, fare i conti». Igor Man Roma. Immagine d'uno dei tanti indiani metropolitani in maschera (arch. La Stampa)