In Israele ventitré liste per le elezioni di maggio
In Israele ventitré liste per le elezioni di maggio Tredici in meno delle previsioni In Israele ventitré liste per le elezioni di maggio (Nostro servizio particolare) Tel Aviv. 13 aprile. Ventitré liste di candidati sono state depositate prima dello scadere del termine, ieri sera, al comitato elettorale che ha sede nell'edificio del Parlamento: due liste di più di quante erano state presentate per le elezioni dell'ottava legislatura, tredici in meno di quante si riteneva alla vigilia. Un certo buon senso ha prevalso, tuttavia il numero resta molto elevato, e il bipartitismo un ideale che sembra ancora irragiungibile. Non ci sono stati incidenti di rilievo; la commissione elettorale, presieduta dal giudice Mani, non ha dovuto risolvere problemi scottanti. Ieri si è presentato un illustre sconosciuto, Itzhak Ashkenazi, per sottoporre la sua lista del «regno di Giuda e Israele». Alla richiesta di consegnare l'assegno bancario di quarantamila lire, che ogni nuovo partito deve versare a garanzia, ha risposto: «L'impegno d'onore che io presento con la mia firma è una garanzia maggiore di quarantamila lire. Dopo tutto, sono il discendente del re Davide». Il giudice Mani, restituendo i documenti, ha risposto: «Con l'aiuto di Dio, quando verrà il Messia, noi accetteremo lieti la sua candidatura senza il deposito di un assegno bancario». L'avvenimento che ha suscitato più scalpore e maggiori strascichi è stato l'appello dell'ex generale Sharon per presentare una lista unica con il Likud; l'appello è stato respinto dai luogotenenti di Menahem Begin, contro l'opinione del capo, sicché Sharon ha dovuto presentare una lista indipendente. E' un episodio sintomatico della «confusione iaeologica» dei vari partiti. Continuano le polemiche nei vari partiti, e l'amarezza di molti candidati che non hanno ottenuto posizioni sicure nella lista del proprio partito, in conseguenza del terremoto che ha scompigliato negli ultimi giorni gli ac¬ cordi tra le correnti. Formalmente, il gioco è fatto; ma la campagna elettorale e la lotta cominciano effettivamente solo ora, nel segno della concitazione. Continuano frattanto le polemiche circa le conclusioni del procuratore generale dello Stato sull'impossibilità di un ministro, o del capo del governo, di dimettersi ed essere sostituito quando esiste un gabinetto di transizione. In generale si ammette che se il giudìzio legale è formalmente esatto, esso porta a tale assurdo da esigere che la legge sia immediatamente emendata. Scrive in proposito l'autorevole Yediot Ahronot; «L'errore commesso da Rabin è stato di scarsa importanza; ma cosa succederebbe se un primo ministro uccidesse la madre, o fosse colto con le mani nel sacco mentre riceve bustarelle, come è successo altrove? Anche in condizioni di questo genere un primo ministro dovrebbe continuare a guidare la cosa pubblica?». g. r.
Persone citate: Itzhak Ashkenazi, Menahem Begin, Rabin
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