Per il difensore dello Spadaro Cristina forse morì d'infarto

Per il difensore dello Spadaro Cristina forse morì d'infarto Le arringhe al processo di Novara Per il difensore dello Spadaro Cristina forse morì d'infarto (Dal nostro corrispondente) Novara, 12 aprile. Al processo Mazzotti (si è giunti alla cinquantanovesima udienza) tutti i difensori, o quasi, si battono per sostenere che vi fu certamente sequestro di persona ed estorsione ma è da escludere la volontà omicida. «Nessuno ha voluto veramente la morte di Cristina — ha detto l'avvocato Franco Murdolo, difensore del latitante Sebastiano Spadaro per il quale il p.m. ha chiesto la condanna a 28 anni di reclusione —, sulle cause del decesso, del resto, non si hanno elementi certi. Potrebbe essere stata — ha aggiunto — una crisi cardiaca: non dimentichiamo che suo padre, pure provato per questa vicenda, è morto per infarto». Il difensore ha definito Cristina Mazzotti «un usignolo che muore in gabbia, una gio- vane che non poteva vivere in cattività». Non ha tuttavia potuto escludere una qualsiasi responsabilità indotta dei suoi carcerieri, ma limitata al profilo dell'omicidio colposo. Parlando dello Spadaro, l'avvocato Murdolo ha ricordato che il latitante di questo processo si è identificato con il «marsigliese», colui che tenne in un primo tempo i contatti con la famiglia Mazzotti con le telefonate estortive. Sarebbe stato visto (e fotografato) dalla polizia almeno in un paio di occasioni mentre usciva dalla cabina telefonica dalla quale sicuramente erano state fatte le comunicazioni. Concludendo la sua «arringa», il difensore ha detto che comunque a carico dello Spadaro non esistono prove certe per cui dovrebbe essere assolto sia pure con la formula dubitativa. L'avvocato Murdolo ha posto una subordinata: Spadaro semmai può essere ritenuto responsabile soltanto di estorsione. Ha escluso l'omicidio volontario anche l'avvocato Franz Sarno, difensore di Giuseppe Milan (il p. m. ha chiesto la condanna a 27 anni) sostenendo che solo vivo l'ostaggio valeva il riscatto. Si è quindi soffermato sulle pesanti richieste del p.m. (dieci ergastoli) suggerite forse «dalla luce sinistra che grava su questo processo» aggiungendo che «l'inflazione della pena non frena questi reati. Del resto — ha proseguito — se ci sono responsabilità nella morte di Cristina Mazzotti. esse riguardano i singoli e non coinvolgono automaticamente tutti gli imputati». L'avvocato Sarno ha escluso qualsiasi responsabilità anche di altro genere da parte del Milan. « E' stato definito l'autista della banda, ma dove sono le prove? Tutto poggia — ha spiegato — sulla testimonianza dell'agente di polizia Giuseppe Zanetti. Dice di avere visto il Milan, l'undici luglio, ospitare sulla sua "Alfetta" rossa lo Spadaro subito dopo la telefonata alla famiglia Mazzotti, fatta dalla cabina di Varese. Dice di averli visti affiancati anche dopo la telefonata del 14 luglio. La verità — ha detto Sarno — è che i due neppure si conoscevano. La sicurezza dell'agente Zanetti ha indotto poi Emanuele Luisardi a riconoscere Milan tra i sequestratori di Cristina la notte del primo luglio. Un ben strano riconoscimento: l'amica di Cristina vide il Milan in questura e non lo indentifica; dopo 15 giorni vede una fotografia sul giornale e dice che è lui». Terzo difensore delia giornata, l'avvocato Franco Leonardi per il dottor Vittorio Passafari, di Borgia, accusato di falso ideologico e per il quale il p.m. ha chiesto la condanna a 6 mesi di reclusione. Avrebbe redatto il certificato medico per il ricovero in ospedale psichiatrico di Antonino Giacobbe, il presunto «boss» mafioso, senza neppure visitarlo. p. b. Sebastiano Spadaro

Luoghi citati: Borgia, Novara, Varese