Femministe guerrigliere di Mimmo Candito

Femministe guerrigliere INCHIESTA FRA LE DONNE CHE SI "LIBERANO» Femministe guerrigliere Il "movimento'' sta cambiando - Si è esteso: nei cortei di solidarietà con Claudia alle militanti borghesi si sono unite operaie e casalinghe di mezza età - La protesta s'è fatta più aggressiva: "Non siamo pacifiste, sentiamo la nostra forza collettiva" (Dal nostro inviato speciale) Roma, aprile. Ci sono due novità nel femminismo, e vanno oltre la storia amara di Claudia o la rabbia d'un fatto di costume segnato dai limiti dell'impazienza rivoluzionaria. Il movimento delle donne è cresciuto, lo stupro ripetuto di Roma ha trascinato la vecchia e la nuova moralità a trovarsi insieme. Ancora sbandate sulla spinta di emozioni troppo sottili per essere ideologia; ma sono conferma d'una prima mutazione sociologica, con un potenziale politico ancora nemmeno tutto valutabile. Nei cortei colorati che in questi giorni occupavano le strade scandendo il nome della ragazza violentata due volte, c'erano facce diverse, mai viste prima. Facce da processione, o da casa popolare. Se fossero stati uomini, si sarebbero dette facce proletarie, di quelle che vanno in strada dietro il sindacato a difendere il salario e il posto di lavoro. Qualcuna di quelle facce s'era vista, forse, ai tempi della battaglia per l'aborto. Ma poche. Il femminismo è stato a lungo una piccola storia privata della borghesia femminile, la discriminante di classe fissava nei rigidi schemi d'un esclusivismo culturale e politico l'impegno della presa di coscienza e la partecipazione alla lotta. Non il Circeo, né Cristina Simeoni, erano riusciti a rompere il cerchio vagamente salottiero della rivolta sessista, anche se sociologi e mass media avevano misurato la forte intensità delle reazioni in un dìbattito drammatico, fatto di domande più che di giudizi. Nuove reclute Questa volta è diverso, segno che un muro è caduto. A Roma, Milano o Torino, chi ha seguito i cortei ha potuto notarlo senza difficoltà: perché non ci s'improvvisa militanti, e la violenza verbale e gestuale si impara col tempo. Apprendendo a dimenticare l'imbarazzo dei sostantivi proibiti. e la solidarietà ritmata dello slogan. Le donne di mezz'età — impiegate, operaie, casalinghe — stavano in mezzo al corteo con le loro facce diverse, ma mostravano una rabbia comune. Anche più fonda di tristezza e di consapevolezza. Il Tg2 in questi giorni ha dato immagini molto belle della nuova realtà, l'obiettivo dell'operatore s'è allungato più volte a seguire queste donne d'una vita vissuta che testimoniavano la volontà della ribellione. I grandi striscioni di tela bianca avanzavano con una sola parola a larghe lettere rosse, « Basta »; il femminismo marciava insieme con il femminile. E' dunque cambiato il movimento femminista? Ci sembra mutata soprattutto la sua capacità d'incidere come produttore di verità e valori. Dice Francesco Alberoni, sociologo: « Tutti i movimenti e tutte le avanguardie nel loro sorgere mettono in discussione la " razionalità " esistente e appaiono una follia ». Così è stato anche per il movimento delle donne; la sua « rivoluzione » era lo «scandalo » logico d'una minoranza che rifiutava strategie e comportamenti considerati fino a quel momento « naturali », e si esprimeva col desiderio del capovolgimento d'una cultura e d'un sistema. La cancellazione del modello avveniva attraverso una fase di riflessione e fantasia ardita, con rituali e segni di conflittualità che alla stragrande maggioranza delle donne apparivano disperanti, illusori, non componibili. « Nella vita quotidiana, istituzionale, infatti, i fini che noi ci proponiamo sono anche quelli che giudichiamo realizzabili ». L'agire «politico» delle femministe diventava « irrazionale », perché giudicato non generalizzabile nel campo collettivo. Ora l'esplorazione del possibile coinvolge strati di donne prima refrattari. La crisi dei tempi lunghi — e la particolare sollecitazione emotiva dello stupro — ha dato una credibilità più accentuata al movimento femminista. I caratteri di cui si compone questa nuova adesione non fanno ritenere come avvenuto un ripensamento impegnato, il fenomeno è costruito sull'emergere di reazioni psicologiche ancora indistìnte. « Io non voglio più dover temere che se mia figlia esce di casa possa esser presa da uno di questi disgraziati, e violentata ». « Io non voglio più aver paura ». « Io credo che sia giusto che una ragazza per bene non debba temere di andare per strada o al cinema ». Testimonianze piuttosto di strutture mentali consolidate, ma la disperazione di fondo ha tracciato un grande salto raggiungendo le fiancate del femminismo. L'« irrazionale » forse è ancora tale, ma la « realizzabilità » muta di segno. Il movimento delle donne sta diventando una « istituzione », un organismo autonomo nel quale riconoscersi in modo generalizzato superando la difficoltà classista e generazionale delle frange più pittoresche. Il corteo di femministe, che, a Napoli, ha voluto passare nelle vecchie straduzze proibite del centro storico non ha preso pernacchie né ostilità; le prostitute guardavano in si- lenzio, qualcuna applaudiva, molte donne con la borsa della spesa s'univano alla lunga sfilata. A Roma e Milano, le donne applaudivano dai balconi, sui cortei che passavano scandendo il nome di Claudia. Le streghe sono tornate ma non fanno più paura, la « follia » non è più dìsconoscibile. Nel malessere d'una situazione storica che perde ogni certezza, il tragico istinto di morte che segna lo stupro sta avviando un processo di autoidentificazione del «femminile » nel « femminista ». Questa è la prima novità del movimento delle donne. La seconda s'apre nelle tentazioni della rappresaglia alla « violenza della società ». I cortei per Claudia Caputi ne sono ancora una testimonianza molto interessante: gli slogans, i cartelli, le frasi di maggior presa erano un rovesciamento della tradizionale collocazione femminista. Non più la rivendicazione dell'autonomia, la creatività fantastica dell'immaginazione, il « Donna è bello » o « Cambiamo la vita ». Cercar strada La società patriarcale viene attaccala e inseguita, l'accusa si muove con i segnali d'una rabbia che cerca scorciatoie, il desiderio di distruzione non è solo provocatorio'. « Le fate hanno le mani pesanti » era la grande scritta ironica che ha sfilalo per le vie del quartiere Appio. Ma c'era anche: « Stupratori pagherete tutto ». E davanti al tribunale il coro diceva: « Se non li troverà la giustizia - li troveveremo noi ». « Porci fascisti violentatori - la donne vi faranno fuori ». E' la guerra. Dal processo a Cristina Simeoni è passato un anno; l'ideologia del movimento non si contenta più di trasformarsi da oggetto a soggetto del giudizio. « Il potere maschile / s'abbatte e non si cambia » era ancora un rituale mutuato dal movimento studentesco, una filiazione generata artificialmente dalle memorie ribellistiche del Sessantotto. Ora cantano agli imputati: « Venite fuori adesso / ve lo faremo noi un bel processo », e alzando l'indice e il medio, li chiudono nel segno inequivocabile d'una forbice che castra i violentatori. La vernice rosa è sempre più una vernice rossa; sempre più spesso le mani mimano con le tre dita puntate la sagoma della P. 38. La turbolenza e la rabbia possono diventare la scelta della violenza. Un anno fa, il femminismo rifiutava i suoi volti ai fotografi del processo di Padova. E basta. Ora assedia minacciosamente il giornalista del Tgl che dall'alto di un balconcino risponde con gestì osceni agli insulti mossi al suo operatore; e se la polizia non lo salva, gli dà una lezione a sberle e calci. La violenza non è più maschile? Dice Maria Adele Teodori, che sulle violentate ha appena scritto un libro impietoso: « La rabbia cresce, cresce la voglia d'una risposta violenta a ogni nuova sopraffazione, oppressione, aggressione ». / segni si stanno facendo evidenti. Il 4 marzo, un commando di tre donne irrompeva negli uffici d'una azienda milanese, legava gli impiegati e versava dell'acido sulle macchine; un volantino spiegava: « Si tratta d'una ditta che fonda lo sviluppo del proprio profitto sulla pelle delle lavoratrici a domicilio organizzate in gruppi, su una mole significativa di lavoro nero nelle carceri e nei manico¬ mi », firmato « Donne combattenti per il comunismo ». L'episodio caratterizza una problematica complessa, in cui l'ideologia della guerrìglia urbana è certamente influenzata dall'ideologia del femminismo; ma è proprio nella contaminatio il segno d'una realtà in trasformazione. D'altronde, gli scontri e i dibattiti violenti tra studenti e donne, nel corso della lunga battaglia all'Università di Roma, hanno sollecitato concretamente le femministe a discutere l'applicazione di « un giusto uso della nostra forza ». Dice Paola, della commissione « Donne e politica »: « Il movimento femminista non è pacifista. Nelle nostre manifestazioni, siamo state anche molto violente: il 27 novembre, per esempio, spingevamo i maschi ai bordi del corteo, con un'aggressività feroce. Tuttavia questa violenza è diversa da quella delle molotov e del¬ lo scontro fisico. Il nostro sforzo è trovare una nostra identità in quanto donne anche rispetto alla violenza, sul problema del corpo. Siamo state abituate ad usarlo per la seduzione, e cambiare non è facile. Quindi il problema della violenza noi lo poniamo come problema della nostra forza collettiva in quanto donne. Io, individualmente, ho anche paura. Se uno mi dà uno schiaffo, me lo tengo. Ma collettivamente è diverso ». La drammatica evidenza dello stupro a Claudia ha imposto concretezza subito. Un'assemblea all'Università, ma fatta non solo di studentesse, ha discusso sul problema della « sicurezza fisica ». Si è parlato di ronde notturne femministe, di squadre di vigilantes donne che sorveglino quartiere per quartiere. Non c'è stata soluzione, nessuno ha saputo indicare e imporre una scelta; però la tentazione d'una risposta violenta è forte, pressante. « Non chiedo la legge del taglione, ma dobbiamo imparare ad esercitare la nostra violenza come punizione, come autodifesa. Ognuna di noi, se subisce violenza, deve poter sentire in sé un meccanismo che dice: non sono una vittima predestinata, pagherai caro, pagherai tutto ». Dice la Teodori: « Occorre sfuggire alla trappola, occorre una risposta non violenta anche se ferma, piuttosto che l'uso di armi improprie o proprie. Dibattere e capire ». Dice Nerina: « Io non voglio picchiare indiscriminatamente tutti i maschi. Ma voglio che gli stupratori abbiano paura, fisicamente, come per secoli ne abbiamo avuto noi ». Il movimento femminista sconta ora il confronto della sua ideologia con le pressioni della realtà quotidiana delle sue militanti, il problema dell'autodifesa come problema politico deve passare attraverso condizionamenti psicologici sedimentati profondamente. Gli atteggiamenti del sistema (« il potere è maschile », dicono le femministe) non sono un aiuto. Mimmo Candito Roma. Giovani femministe sfilano durante una manifestazione per le vie della capitale (foto Grazia Neri)

Persone citate: Claudia Caputi, Cristina Simeoni, Francesco Alberoni, Grazia Neri, Maria Adele Teodori, Teodori

Luoghi citati: Milano, Napoli, Padova, Roma, Torino