Anni perduti

Anni perduti MOSTRA DEL PITTORE SPERERÒ Anni perduti Altro è credere e altro è la gioia di credere. Sappiamo che una musica o una pittura o una poesia è bella, ma non sempre, riascoltando quella musica, rivedendo quella pittura, rileggendo quella poesia, ci commuoviamo. E diffidiamo di coloro che, invece, si commuovono ogni volta come se avessero l'entusiasmo al comando di un interruttore: ne diffidiamo non perché mettiamo in dubbio la magìa dell'arte ma perché l'arte vuole con noi un rapporto involontario, delicato, non troppo consapevole, e anch'esso un po' magico. I professionisti del Bello, gli esteti, ci sembrano, nel loro profondo, dei filistei. E quanti ne conosciamo, purtroppo! Sempre di più! Andavo in macchina a Cuneo, col giovane amico Giuseppe Bielli, una mattina sulla fine di questo inverno appena scorso. Fittissima nebbia, da Canelli e Alba, lungo il Tanaro e la Stura di Demonte, ci avvolgeva completamente. Lo so, nebbia bassa bel temp a lassa: e tuttavia non osavo sperare in una bella giornata. Dovevo trovarmi a Cuneo per mezzogiorno; ma dovevo, prima, fermarmi a Fossano, dove la Galleria d'Arte Floriana preparava una mostra di Emilio Sobrero (Torino 1890Roma 1964) e stava raccogliendo un certo numero di quadri che avevo promesso di rivedere. Avevo studiato la pittura di Sobrero e ne avevo scritto più volte nel lontano 1926, quando ero poco più che un ragazzo. Poi ci eravamo ritrovati a Roma, ed eravamo diventati amici. Amavo e ammiravo specialmente i suoi paesaggi e qualcuna delle nature morte. In ogni caso, potevo dire di conoscerlo e di ricordarlo molto bene. Senonché per la strada, dimenticandomi del proverbio, pensavo forse a quella nebbia come a un'immagine del passato: il cuore mi si stringeva: avrei ritrovato, nei colori di Sobrero, quella pennellata calda, quella soavità spugnosa e luminosa che tanto mi aveva incantato? Oppure sarei rimasto insensibile, inerte, freddo davanti a qualcosa di freddo? Superati gli improvvisi tornanti che salgono a Bra, raggiunto in pochi istanti l'altopiano, ecco, di colpo, il cielo azzurro, il sole vivo nell'aria che frizza, le Alpi dalle ombre violette e dalle luci di ghiaccio. O pio, o mio Piemonte, che qui mi appariva nel sublime tra tutti i suoi meraviglio¬ si paesaggi i! E non pensai più a Sobrero fino a quando, en trati in Fossano spaziosa e chiara, percorse le piane, larghe vie tra le grandi case di tenero crema, tra le torri, le chiese, i portici, i solenni palazzoni barocchi, mi trovai al primo piano di uno di questi, nelle antiche ampie sale alle cui nude pareti erano appesi i quadri che avrebbero dovuto ripresentarmi qualcosa che per me era perduto. Invece no. Mi accorgo che è difficile dire ciò che ho provato. E' stata una sensazione inattesa, involontaria, assolutamente nuova: come il bacio d: una splendida donna ignota, che sorprende e ricolma di gioia, gioia diversissima dal ricordo ormai confuso della mia giovinezza. Nella serenità, nella calma, nella delicatezza di una pittura che credevo di ricordare e che si offriva adesso a me viva solo della sua bellezza, liberata dalla cronaca di anni che non contano più niente, vedevo e sentivo il soffio di una vita più alta e più importante di quella che Sobrero stesso e io, accanto a lui, avevamo vissuto. Il Mattino d'estate sull'ansa del Po a Torino, sotto i grandi boschi e il profondo verde della Collina, celebrava una gloria pittorica che solo adesso, per la prima volta, mi appariva. Una costruzione solenne, misteriosa, religiosa. Una indagine essenziale e esistenziale, un anelito verso ciò che davvero conta. Ogni tratto di pennello era in rapporto alla luce, al tono, allo spazio, al volume dell'intero paesaggio inquadrato, non serbava le scorie di tutto quanto nella realtà è vile. La luce prendeva corpo, era appunto la spugnosità brillante che ricordavo, ma il senso, il valore, li scoprivo soltanto ora, dopo cinquantanni! E così la Casa rustica sulle Langhe, nel sole sanguigno del tramonto; così la semplice e lieta Collina primaverile sotto l'ultima neve; così la solenne, estatica Prealpe canavesana nelle sue luci radenti e le sue ombre cupe; la Natura morta con drappo rosso e pugnale (biancore offuscato del torso marmoreo, sfondo verdone, tavolo beige) e la Natura morta con tovagliolo e bottiglia (nero della bottiglia, azzurro del panno, tabacco chia- ro dello sfondo), dove colori, luce, volumi corposi, linee spezzate della composizione, tutto si fonde in una materia calda, fantastica, preziosa; e i paesaggi romani (la Villa urbana con le palme, i Casoni rossi fuori porta, gli Ombrelloni al Circeo) dove il disordine e l'eccitazione « dell'altra Italia, Italia vera, Italia di là dall'Appennino » sono evocati nella loro sensualità esotica a un occhio cisalpino con non minore precisione pittorica dei precedenti paesaggi torinesi e piemontesi! E' lo stesso rapporto vitale che incanta tra i Gauguin della Bretagna e i Gauguin della Polinesia. Anche Sobrero sentì il bisogno di emigrare senza per questo tradire se stesso. La mano e il pennello, la fantasia e la luce sono i medesimi della sua prima ispirazione, quelli di un ragazzo che aveva visto e amato Fontanesi e Bistolfi (il fontanesiano Bistolft pittore) prima di tutti gli altri. Certo, c'erano stati anche Casorati e Carena e « i Sei di Torino », e sono sempre presenti, nella pittura di Sobrero: ma assimilati, ma interpretati, ma trasposti: così come le parole più belle di un amico non sono mai dimenticate dall'amico che a volte le fa sue con la sua voce personale e inconfondibile. Ogni quadro di Sobrero, anche se non portasse la sua firma, ogni frammento di Sobrero non sarà mai attribuibile a nessun altro se non a lui. Intanto, il mio giovane amico Giuseppe Bielli si era avvicinato: adesso frapponeva nel campo visivo, tra la mia assorta contemplazione e un paesaggio di Sobrero, un polso teso, con l'orologio: « Dottore, se vogliamo essere a Cuneo per mezzogiorno... ». * ★ All'uscita dalla città vecchia di Fossano, proprio alla cantonata dove sorge, alta sul ripido rivone della Stura, la stupefacente facciata concava dei Battìi russ, c'è una piccola tabaccheria: scesi di corsa per comprare dei toscani. La padrona era una signora anziana, smilza, elegante, dal volto straordinariamente arguto e simpatico. Riconoscendomi per via della tv, si presen¬ tò. Un nome bellissimo: Jollie Veglia. Avevo fretta ma anche una curiosità da soddisfare. Pochi mesi prima, passando da Fossano per cercare il mio vecchio compagno di scuola Giacomo Derege di Donato senza trovarlo perché era a Torino, avevo poi cercato la Rosa Rossa, una vecchia osteria perfetta, e non ero riuscito a trovare neanche quella. Mi pareva che fosse sulla strada di Cuneo, ma certo non ricordavo bene. « Non c'è più la Rosa Rossa, caro Soldati! Non c'è più, da anni! Sparita! » gridò Jollie con strana gioia. « Mi pare che fosse sulla grande piazza del mercato dei buoi, all'angolo, una meravigliosa piazza... ». « Neanche il mercato! Non c'è più! Ne hanno fatto un altro, lontano, molto meno bello! » e rideva. « Le grandi caserme, dall'altra parte per chi arriva da Bra, entrando non le ho viste... ». «Distrutte, me car òm, demolite, anche quelle! » Continuava a ridere nervosamente, quasi follemente. Allora capii. Era una risata tragica. Il mondo cambia, tutto a poco a poco sparisce. Cosa ci vuol fare, me car òm? Non ci resta che ridere! Ma da Fossano a Cuneo, tutto era identico a sempre: la lucida, limpida, violentissima bialera chi; fiancheggiava per chilolitri e chilometri il rettilineo stradone; le pingui praterie smeraldine; i filari neri dei gelsi, il Monviso, il cielo, il sole. Era quell'acqua, soprattutto, era quella corrente che inebbriava, nella gloria del mattino invernale e alpestre, presago già di una primavera. Tutto cambia e tutto finisce. Cambia e finisce la natura stessa ma il suo tempo, quando opere di civiltà incivili non intervengano, è infinitamente lungo, sembra eterno. E sembra eterna anche l'arte, che almeno così, e in ogni modo così, secondo il detto degli antichi, imita la natura. Ecco perché le opere del mio vecchio amico Emilio Sobrero, anziché deprimermi con lo scontato ricordo degli anni lontani, mi hanno sorpreso e rallegrato come un'altra giovinezza. Mario Soldati