Si è dimesso perché aveva un illegale conto bancario all'estero di Igor Man

Si è dimesso perché aveva un illegale conto bancario all'estero Un buon soldato un buon politico Un mini-Watergate ha travolto nel giro di dodici ore una delle figure più prestigiose d'Israele: il primo ministro Yitzhak Rabin. Alla fine di febbraio i «falchi» del partito laburista tentarono di fargli lo sgambetto. Peres, il ministro della Difesa, strinse alleanza con l'ex ministro degli Esteri Abba Eban, e giocò il tutto per tutto per essere eletto leader del partito nelle prossime elezioni (17 maggio), col disegno, in caso di responso favorevole delle urne, di formare il nuovo governo. Ma Rabin riuscì a spuntarla sul grande rivale, sia pure per pochi voti. Nel suo intervento al congresso del partito laburista, Rabin era stato molto abile nell'attribuirsi il merito di essere «il primo capo del governo del paese sotto la cui guida, per un anno intero — il 1976 —, nessun soldato israeliano era caduto né in servizio alle frontiere, né all'interno per attacchi terroristici». Nonostante lo scoppio di scandali politico-finanziari che avevano coinvolto esponenti del Mapai, molto vicini al primo ministro, questi riuscì a spuntarla in fotofinish, si può dire, per un motivo semplicissimo. Perché l'apparato del partito lo considerava il più «americano» degli «uomini americani» di Israele. Un moderato, un abile negoziatore, un personaggio molto stimato a Washington, dove era stato ambasciatore dal 1969 al 1973. Ma proprio Washington gli è stata fatale: la «scoperta» che lui e sua moglie avevano un conto corrente aperto presso una banca americana le ha rovinato politicamente. Israele è un paese profondamente democratico: un mese fa la stampa aveva rivelato che la moglie di Rabin, Lea, aveva prelevato denaro in una banca di Washington. La signora si giustificò affermando che i soldi erano rimasti in America dal tempo in cui il marito era ambasciatore e che sul suo conto non vi erano più di duemila dollari, «subito trasferiti in Israele e devoluti in opere di beneficenza». Ma ieri Maariv, il più diffuso quotidiano di Tel Aviv, rivelava che i dollari erano in realtà diecimila. Lo stesso Rabin annuo ziando con voce rotta, poco dopo la mezzanotte, le sue dimissioni ha in pratica riconosciuto che la moglie aveva mentito, ammettendo che al momento del suo rientro in patria la somma depositata a Washington era d' diciottomila dollari, progressivamente ridottisi a diecimila (la legge vieta ai cittadini di Israele di possedere valuta all'estero). Lo scandalo ha traumatizzato Israele. Ieri la radio non ha fatto che registrare e diffondere telefonate di cittadini: non pochi rimpiangevano la dipartita politica di Rabin. A dispetto delle voci diffuse dai suoi nemici: che amava attaccarsi alla bottiglia; ch'era rozzo di maniere, e debole come primo ministro; a dispetto degli scandali politico-finanziari culminati nella tragedia: il suicidio del suo amico Abraham Ofer, ministro dell'edilizia, Rabin godeva di un notevole prestigio. Sabra (è nato a Gerusalemme 55 anni fa), nel 1948 fu capo e protagonista delle battaglie sanguinose, combattute dagli uomini della Har-El Brigade per rompere l'assedio di Gerusalemme. Ma l'uomo della strada ricordava soprattutto ch'egli fu il pre¬ paratore dei piani della «guerra dei sei giorni», il comandante geniale che addestrò i soldati per l'esecuzione di quei piani. I piloti israeliani, addestrati al volo a pelo d'acqua, irruppero dal mare in Egitto, sorprendendo l'aviazione egiziana a terra, distruggendola nel volgere di sei ore. Capo del governo dal giugno del 1974, quando assunse la difficile successione di Golda Meir, seppe ridare fiducia agli israeliani squassati da una vera e propria tempesta esistenziale dopo la guerra del Kippur. Sotto la sua leadership Israele ha concluso il disimpegno delle forze sul Golan (giugno 1974) e l'accordo per il Sinai con l'Egitto (settembre 1975). Due tappe importanti nella storia d'Israele: Rabin ottenne notevoli concessioni da Sadat e disinnescò la miccia di Kuneitra. Se lo scandalo non lo avesse travolto, quasi certamente egli avrebbe affrontato le future, ineluttabili trattative con quella moderazione che pure gli arabi gli riconoscevano. Forse non è stato un grande statista, Yitzhak Rabin, ma aveva tutte le capacità necessarie per affrontare la strada difficile della pace. A prescindere dal caso personale, si può dire che il mini-Watergate israeliano minaccia di complicare il già difficile «imbroglio» mediorientale. Di questo dovranno tener conto quanti aspirano alla sua successione, quanti hanno lavorato alla sua rovina politica. Nel momento in cui si cerca di costruire una ipotesi di soluzione della crisi, in Medio Oriente c'è bisogno di gente come Rabin, come Sadat. Di moderati pragmatici, che operano all'insegna del realismo. Igor Man Shimon Peres