L'Arces come albo d'onore

L'Arces come albo d'onore L'Arces come albo d'onore Nomi e Cognomi di Andrea Barbato E' difficile, a prima vista, non condividere le ambizioni e il programma di quel folto gruppo di intellettuali che si sono raccolti, a Milano e a Roma, in una regolare associazione, con sigla, presidente, consiglio direttivo e numero di casella postale per le eventuali successive adesioni. Dispiace semmai, sempre a prima vista, di non essere stati invitati. Il gruppo è quantitativamente numeroso e qualitativamente imponente: sebbene l'elenco degli iscritti non sia apparso sui giornali che ne hanno fatto menzione (pochi, per la verità), tuttavia si sa che vi figurano nomi illustri, scienziati di rango, critici impegnati, docenti, ex titolari di prestigiose ambasciate, giornalisti e parlamentari, accanto a nomi meno noti ma non certo meno rispettabili. Ma il prestigio dell'Arces — così si chiama questa associazione, che vuole il «rinnovamento della cultura, dell'economia e della società» — non si affida solo alla credibilità personale dei suoi iscritti, bensì anche ad un programma, quale è stato illustrato in conferenze stampa nelle due capitali d'Italia, e quale è stato riportato, per gli assenti, su giornali amici, e quindi certamente non deformanti. E anche qui, sembra arduo non condividere le linee generali del manifesto: chi è favorevole al conformismo o all'opportunismo? Chi vorrebbe schierarsi contro la libertà e per il totalitarismo? Chi non riconosce che l'Italia è in crisi? Chi si opporrebbe agli «scambi di informazioni e di iniziative»? E' chiaro che, per perseguire obiettivi così generosi e condivisibili, non vi sarebbe stato neppure il bisogno di dar vita ad un'unione sacra, una «nuova alleanza», come la chiamano i promotori, fra gli intellettuali «che non s'arrendono». Appare evidente la necessità di leggere meglio nelle dichiarazioni e nei resoconti: questi ultimi, piuttosto scarni, per la lamentata e deplorevole assenza dei maggiori quotidiani alla cerimonia di battesimo dell'Arces. L'arco politico sembra vasto, non costretto solo nei confini di quella cultura laica che pure altri intellettuali (come Giovanni Ferrara sulla Voce) difendono in altro modo. Sembra estendersi al mondo cattolico e perfino marxista. Tuttavia l'associazione precisa di non volersi trasformare in un superpartito, e di non avere reconditi propositi di schieramento. La politica non è certo assente, nei richiami all'Europa occidentale, nel rifiuto categorico del compromesso storico e in generale di ogni svolta a sinistra, nelle bandiere liberal-democratiche che sono state esposte ai balconi. Ma anche nelle intenzioni più immediate e concrete, se è vero — come scrive un resocontista amico — che le iniziative dell'Arces vogliono «ripercuotersi positivamente sulle scelte del cittadino al momento del voto, rendendole più mature, più consapevoli, più moderne ed europee». Chi stabilirà a quale partito, a quale collegio o candidatura si attaglino questi requisiti, l'Arces per ora non lo dice, anche se sembra di intuirlo. L'associazione, dice il medesimo cronista (del Tem¬ po di Roma), se non pensa di sostituire i partiti, pensa però di «colpire quei settori in cui essi sono assenti o presenti in misura ìnsuffioiente». Colpirli in che modo? Aggressivamente pacifico, s'intende. Con la propaganda di opere culturali, con studi e programmi. Un'attività che è propria degli intellettuali, e che ciascuno dei membri dell'alleanza già esercita in proprio, da molto tempo. Vediamo altri propositi dell'associazione: ritrovare l'orgoglio del lavoro «ben fatto e ben compensato»: e qui potremmo osservare che non è l'orgoglio che manca, alla maggior parte degli italiani. Una «scuola aperta a tutti i meritevoli», il che è valido fin dai tempi del libro Cuore. Essere permanentemente «al centro della cronaca», fatto che può essere stancante e rischioso. E infine, offrire dell'Italia un'immagine «chiara e precisa» ai nuovi dirigenti americani, il che vuol dire tranquillizzarli sul ruolo delle sinistre: ma a questo, sembra che abbia già risposto direttamente il Dipartimento di Stato a Washington. La nascita dell'Arces non è — come pare — un avvenimento rituale o minore. La presenza fra gli altri di uomini di cultura induce a riflettere sul ruolo che gli intellettuali moderati intendono svolgere nel futuro immediato. L'appoggio di giornali di opinione estremamente conservatrice disegna qualche inquietudine, il programma le accentua. Nel vasto coro della restaurazione, s'aggiunge una voce, che non potrà non essere politica, a dispetto degli stessi protagonisti. I più conosciuti dei quali, in una rubrica che si chiama «nomi e cognomi», vanno pertanto elencati, in chiusura e chiedendo scusa per omissioni o inesattezze involontarie: Bernardini, Bartoli, Barzini, Bettiza, Montanelli, De Felice, Zappulli, Mattei, Ortona, Ronchey, Romeo, Mieli, Pampaloni, il movimento «Mille», il Giornale Nuovo, e il Settimanale.

Luoghi citati: Europa, Italia, Milano, Roma, Washington