L'autobiografia della Stein di Angela Bianchini
L'autobiografia della Stein L'autobiografia della Stein Gertrude Stein1: « Autobiografìa di tutti », a cura di Fernanda Pivano, Ed. della Tartaruga, pag. 342, lire 5800. «Quando eravamo giovani insieme stuzzicavo sempre mio fratello... Mio fratello aveva due anni di più ed era un uomo e eravamo sempre insieme... decise di incominciare a dipingere e andai a Parigi a raggiungerlo... A poco a poco io scrivevo... Lentamente e in un certo senso non era stupefacente ma lenttmente mi accorgevo che ero un genio e succedeva e non dicevo niente ma ero quasi pronta a incominciare a dire qualcosa. Mio fratello incominciò a dire qualcosa ed ecco ciò che disse. Disse che non era questo che ero io... E questo non mi turbò capii che non era vero e un poco siccome non mi turbò lui capì che non era vero. Ma questo distrusse lui per me e distrusse me per lui...». In questo pezzo di Gertrude Stein, tratto &<ì\YAutobiografia di tutti, il potere incantatorio dello stile della Stein è perfetto. Ci sono altre osservazioni più nuove e inte¬ ressanti in questa miniera di sagacia, di spirito, di colossale presunzione, ma pochi passaggi esemplificano con tanta chiarezza i trucchi, apparentemente sempre uguali, in realtà variatissimi, dello scambio dei pronomi, delle ripetizioni, del maestoso, quasi impercettibile, muovere del pensiero verso la sua inevitabile e compiaciuta conclusione. In questo senso, l'Autobiografia di tutti, planando, verso il 1937, quando fu appunto scritta, è una summa dei rapporti della Stein con la sua patria, l'Europa, le persone che aiutò e promosse, quelle che amò e non amò, e soprattutto dei rapporti con se stessa. Uno dei più recenti biografi steiniani, James R. Mellow, nel suo Geltrude Stein & Co., ne sottolinea il fondamentale insuccesso: può darsi che sia piaciuta, in effetti, meno della più sottile Alice B. Toklas ad un pubblico che, comunque, a ridosso della guerra, non era più desideroso di accogliere il fenomeno Stein. Fra l'altro, urtava l'onesto e dichiarato e astuto americanismo, giustamente sottolineato dalla Pivano (e riscontrabile in un altro libro, The Making of Americans): «...nessuno dei miei amici ammette di far parte della borghesia... Eppure affermo che una borghesia materiale, cosciente di sé, controllata dal solito legame della famiglia, è la sola cosa sempre umana, creatrice e degna di quella rij petizione eterna e monotona che è la vita». Le perle di questo libro, che scorre come un fiume, son 1 tante, ma io vi ho ritrovato quelle su Baltimore che è una città che conosco bene, quasi quanto la conobbe la Stein: «... Fu a Baltimore dove siamo nati di più e questo perché dopo tutto tutti devono venire da qualche parte, nessuno adesso pensa a questo tanto che sia una preoccupazione ma a volte ci pensano tanto che sia un piacere e a volte no». *' Dobbiamo ringraziare le titolari della casa editrice La Tartaruga (che ha già pubblicato alcune opere singolari e dimenticate della Woolf, della Perkins Gilman e di altre donne) se, dopo trent'anni, questo libro vede la luce: la Pivano l'aveva tradotto, nel 1947, e consegnato con un lungo saggio a Vittorini. Angela Bianchini
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