La principessa femminista di Alfredo Venturi

La principessa femminista La principessa femminista Cristina di Belgiojoso, figlia del Settecento eroina del Risorgimento, ebbe l'intuizione del futuro Cristina di Belgiojoso: « Il 1848 a Milano e a Venezia - con uno scritto sulla condizione delle donne », a cura di S. Bartone, Ed. Feltrinelli, pag. 192, lire 1700. Ce la descrivono, i contemporanei stupefatti, come una bellezza un po' allucinata: i suoi enormi occhi neri, i suoi capelli inghirlandati di fiori, la sua pallida figura vestita di bianco che domina il salotto parigino di rue d'Anjou. Cristina di Belgiojoso riceveva, in quel salotto, il « tout Paris » intellettuale dell'età di Luigi Filippo, da Tocqueville a Balzac, da George Sand a Musset, da Liszt a Heine. E poi, gli esuli o i viaggiatori italiani: Buonarroti, Tommaseo, Pellegrino Rossi, Minghetti, Gioberti, Cavour. Uscita dalla più esclusiva aristocrazia milanese — marchesi il padre, Gerolamo Trivulzio, e il patrigno, Alessandro Visconti d'Aragona; principe il marito, Emilio Barbiano di Belgiojoso d'Este, « partner » di un breve e burrascoso matrimonio — Cristina fu da sempre nei libri neri dei funzionari imperialregi. Dietro il suo esile aspetto si nascondevano le turbinose passioni, sentimentali e politiche, dell'età romantica, proiettate al più alto grado d'intensità da un temperamento esplosivo. Eppure la sua cultura, profonda e intelligente, si radicava nel placido terreno deirilluminismo, l'illuminismo lombardo di Verri e Beccaria. Si diceva cattolica e insieme sansimonista, scoprì il gusto tradizionale della filantropia e insieme quello rivoluzionario della « questione femminile », che non esitò a collegare, in tempi così alieni da simili balzi in avanti, con quella « proletaria ». Amante di Liszt, definita « una cortigiana » da Balzac, che vi scorgeva d'altra parte il modello vivente della stendhaliana Sanseverina, un giorno si porterà appresso, nelle sue peregrinazioni asiatiche ed europee, il corpo imbalsamato di uno dei tanti amici del cuore. Un cuore largamente disponibile, anche se non per tutti: un celebre amante respinto, Musset, sfogò la sua ira in versi romantici e rabbiosi: « Costei avrebbe amato, se l'orgoglio - simile all'inutile lampada - che si accende accanto ad un feretro - non avesse vegliato sul suo cuore sterile ». « Bambola di salotto », dunque, ma anche « topo di biblioteca»: dopo i trent'anni l'impegno intellettuale vince quello mondano, e la sua firma aristocratica compare sotto un « essai sur la formation du dogme catholique », sotto un « essai sur Vico », che precedeva una traduzione francese della « Scienza nuova ». Finanzia, in questi anni, il giornale dei fourieristi, « La democratie pacifique », poi dirige a Parigi la « Gazzetta Italiana », quindi l'« Ausonio », mentre collabora alla « Revue des deux mondes » trattandovi, è ovvio, la questione politica italiana. La bella principessa milanese approfondisce infatti, alla luce della « formazione permanente » che le è consentita dal frequentare l'«intellighentsia» europea, il grande problema geopolitico che, in quegli anni, appassiona il mondo intero. Nel '47 esce un suo saggio sulla storia della Lombardia e sui motivi del «difetto di energia dei lombardi ». Un difetto di energia che, di lì a poco, la rivoluzione s'incaricherà di smentire. La Belgiojoso non si chiude per questo nell'incomprensione dei fatti: le notizie delle cinque giornate la colgono a Napoli, eccola arruolare duecento volontari, noleggiare un vapore per Genova, arrivare a Milano. Avevano ben ragione, gli informatori austriaci che l'avevano definita « un individuo in stato di guerra » contro l'impero viennese, che ne avevano descritto « i guasti principi politici e morali ». La principessa di Belgiojoso, aveva scritto lo stesso Radetzky proprio alla vigilia delle cinque giornate, « fa la parte dell'arciliberale da vent'anni ». Eccola, l'« arciliberale », seguita dal suo corteggio di giovani napoletani armati, che entra a Milano ormai liberata. E' convinta che occorre fondare su Carlo Alberto le speranze della rivoluzione. Una contraddizione in termini che, di lì a poco, sarà pronta a riconoscere. Pochi mesi dopo la fine dell'avventura quarantottesca di Lombardia, quando solo a Venezia si combatte ancora, la Belgiojoso scriverà per la « Revue des deux mondes » i tre saggi che, assieme ad un'avveniristica analisi della questione femminile, del '66, la Feltrinelli riunisce ora in questo volume. Sono saggi straordinari per lucidità e capacità di scorgere, ancora ■sull'attualità, il quadro complesso del problema: credo si possa individuare senz'altro, nella principessa mila¬ nese, uno dei « casi » più importanti del giornalismo politico risorgimentale. Ma gli avvenimenti premono, e assieme alle titubanze francesi (la sua prosa comincia ad infastidire, in una Parigi avviata verso la normalizzazione bonapartista) le tolgono la penna di mano. Eccola a Roma, ovviamente, nominata dal governo repubblicano « direttrice generale delle ambulanze militari». Sarà lei a raccogliere l'ultimo respiro di Mameli, a vivere fino in fondo la vita del coraggioso Stato rivoluzionario. Più tardi Pio IX, restaurato il suo potere, non tarderà a rinfacciarle con scarsissima carità cristiana d'avere utilizzato, per il servizio di crocerossine ante litteram, numerose prostitute romane. Quello della Repubblica romana è un trauma profondo, per la Belgiojoso, che vede crollare il mito della Francia amica dei popoli oppressi. Chiusa la via di Parigi da questa delusione, se ne va in Oriente. Malta, Atene, Costantinopoli, l'Asia Minore. Traversa a cavallo Anatolia e Siria, raggiunge la Palestina e si ferma, profondamente turbata, davanti a Gerusalemme. Intanto la sua intraprendenza lombarda, e il fatto che i suoi beni di famiglia, in patria, sono sotto sequestro, la induce a tentare l'esperienza produttiva: una fattoria modello in Asia Minore, in un posto chiamato Ciaq-Mag-Oglu! Alfredo Venturi