Nigrisoli, il medico del curaro in carcere dopo 3 mesi di licenza di Francesco Fornari

Nigrisoli, il medico del curaro in carcere dopo 3 mesi di licenza Nigrisoli, il medico del curaro in carcere dopo 3 mesi di licenza Protagonista d'un appassionante caso giudiziario degli Anni Sessanta (Dal nostro inviato speciale) Bologna, 2 aprile. Fra poco più di due settimane un uomo tornerà in carcere dopo aver trascorso tre mesi di «licenza» a casa. Sta scontando una condanna a 24 anni per l'assassinio della moglie, uccisa lentamente, giorno dopo giorno, con iniezioni di curaro. Questo secondo l'accusa. Ma l'uomo, il dottor Carlo Nigrisoli, protagonista di uno dei più drammatici casi giudiziari degli Anni 60 si è sempre dichiarato innocente. Autorevoli giuristi, scienziati, chimici hanno espresso a più riprese dubbi sulla sua colpevolezza. Il maggior tossicologo europeo, il professor Waser, al momento della condanna aveva detto che sarebbe staio più facile sostenere che la moglie di Nigrisoli era morta per una coltellata che non per un'iniezione di curaro. Gravemente malato, reduce da un difficile intervento chirurgico, il detenuto Nigrisoli ha ottenuto una licenza di tre mesi per trascorrere la convalescenza a casa sua. Novanta giorni di libertà, che dovrà «recuperare» prima di essere definitivamente scarcerato, nel 1987. Secondo alcuni, tuttavia, il dottor Nigrisoli potrebbe tornare libero entro il 1980 fruendo di condoni, amnistie e per la sua buona condotta. Intanto il medico, che ha trascorso la maggior parte di questo periodo di libertà nell'appartamento situato in un'ala riservata della clinica di famiglia (lo stesso in cui morì la moglie), conta i giorni e le ore che ancora gli restano prima di rientrare in prigione. I pochi amici che lo hanno visto in questi giorni dicono che è invecchiato, prostrato nel fisico e nel morale. Il dottor Nigrisoli non si è mai rassegnato alla condanna. Per anni si è battuto con tutte le sue forze per dimostrare la propria innocenza. Sopraffatto dall'angoscia, ha anche tentato di uccidersi. Ma lo hanno salvato. Ad un giornalista che l'aveva intervistato in carcere l'anno scorso, aveva detto: «Non sono un vile, ma neppure un santo. Ci sono giorni in cui la prigione diventa insopportabile, non riesco a ragionare. Sento salirmi dentro la disperazione e capisco che non mi rimane altro che farla finita». Il suo caso aveva appassionato l'opinione pubblica, nettamente divisa fra innocentisti e colpevolisti. Una morbosa curiosità aveva circondato il processo: c'erano tutti gli ingredienti del «feuilleton» tra¬ dizionale, il distinto professionista erede di una delle più ricche e stimate famiglie della città, la moglie, fragile e ammalata, l'amante del marito, una giovane impiegata La moglie, Ombretta Galeffi, poco prima di morire aveva confidato le sue paure ed i suoi timori ad un'amica. A scoprire la donna agonizzante nel letto (la notte del 14 marzo 1963), fu proprio il marito, che aveva tentato invano di soccorrerla con l'aiuto dei sanitari della clinica Nigrisoli. Era accorso anche il padre del medico, il prof. Pietro Nigrisoli, che di fronte alla donna morente aveva schiaffeggiato il figlio. Quello schiaffo, forse, ha avuto un peso determinante sulla decisione dei giudici che condannarono il medico all'ergastolo, pena che in appello venne ridotta a 24 anni. Da tempo i figli si stanno battendo per ottenere la grazia per il padre, sicuri della sua innocenza. Sembra che anche i parenti della vittima ora sarebbero favorevoli ad un provvedimento di clemenza. Ma il calvario del dottor Nigrisoli, colpevole o innocente che sia, continua. Fra due set- Umane tornerà in carcere. La sua lunga condanna (quella che egli ha definito «l'agonia di un innocente») ha avuto soltanto una breve pausa. Un ritorno temporaneo alla vita di un tempo, nella sua casa, accanto ai figli, ai vecchi genitori. In quella casa, piena di ricordi brucianti ed angosciosi, il medico ha trascorso la maggior parte delle sue giornate di libertà. Adesso lo attendono altri lunghi anni di carcere. Almeno tre, nella migliore delle ipotesi, forse dieci. Una di queste mattine uscirà dal portone, accompagnato dai figli, e si presenterà al cancello del carcere bolognese di San Giovanni in Monte. In quel momento il cittadino Nigrisoli cesserà d'esistere e ricomparirà il detenuto Nigrisoli, un detenuto modello, che non ha mai dato fastidio, sempre disposto ad aiutare i compagni di pena, ossequioso con i superiori, tranquillo. Se davvero è stato condannato per un delitto che non ha commesso, la sua storia suscita una pena infinita. Ma anche se è coZpeuoie non si può restare insensibili. Francesco Fornari

Persone citate: Carlo Nigrisoli, Nigrisoli, Pietro Nigrisoli

Luoghi citati: Bologna