OGGI IL, GRANDE DERBY
OGGI IL, GRANDE DERBY OGGI IL, GRANDE DERBY Juve e Toro coppia reale Piova, tiri vento, infunino improvvisi solleoni, non sarà certo la meteorologia a confondere le fattezze del derby torinese. Cadano pure, se proprio è d'obbligo, i classici «patarassi» dì marzo-aprile (cioè quei fiocchi di neve umida, larghi un palmo: ma il termine significa anche «spropositi» e questa doppiezza della parola dialettale va a pennello). Neanche loro potranno levar fuoco dalle vene di protagonisti e spettatori durante il 169° incontro tra Juve e Toro, somma sfida per la «coppia regina» del massimo campionato di calcio. L'uovo di questo derby lo si sta covando da mesi, chi blaterando chi in segreto: anche se, tecnicamente, nel cuore cavo di questo uovo, non vi si nasconde ancora scudetto. La partita vale i due soliti punti; un minimo di distacco tra i club non causerà tracolli. Il sentiero del campionato prevede, do¬ po questa domenica, ancora sette, incognite «stazioni». Lo si vorrebbe gustare, come una festa, questo appuntamento. Responsabili dei due club, i personaggi che inseguiranno il pallone, gli osservatori più titolati, lo stesso sindaco torinese hanno versato buone e sante parole, perché ogni sintomo di violenza, ogni provocazione, ogni gestaccio possa morire subito nelle sue tristi ceneri. E' ciò che pretende, anche, la «maggioranza non silenziosa» degli spalti, la brava gente della domenica sportiva, tutti coloro che si rendono conto come il football necessiti di lealtà, debba respingere e nullificare ogni tentativo di strumentalizzazione bruta. C'è febbre di scommesse, i biglietti «bagarinati» hanno raggiunto quotazioni assurde, si assiste un po' dovunque alle solite commediole tra tifosi: ecco il convinto bianconero che diserterà lo stadio perché il fatto «potrebbe portargli bene»; ecco l'anziano granata che decide di vedersi la partita, ad ogni costo, perché è questa partita il suo momento magico nell'anno. Molti già tacciono, rimandando argomenti, sfottò, disamine tecniche, rendiconti, alla sera della domenica, al mattino del lunedì. La giostra comportamentale è rispettabile e degna delle tradizioni. Lo stadio sarà una cornice «folk», con assordanti tambureggiamenti, con decine di migliaia di bandiere, tori rampanti, stendardi bianconeri larghi come lenzuoli matrimoniali per gigantesse. Il feticoio, rude e vero, del «balòn», prevede questi rituali, effimeri ma indistruttibili. Nel rettangolo d'erba, ormai catafratti (o quasi) i protagonisti: da Zoff a Bettega, da Zac al «poeta» Claudio, dal «barone» al «giaguaro». Carichi di fragorosi nomignoli e di affettuosi diminutivi («forza Luciano», «corri Romeo», «dai Bobby», «salta, Ciccio, è tua») i ventidue e più personaggi cercano di schiodarsi dall'emozione e «lavorare». Lasciamoli «lavorare», ecco tutto. Torino attende un 169° derby che legittimi la sua meritata supremazia. Il calcio italiano vive e trae auspici dalle due squadre subalpine: che non vanno paragonate alle meneghine degli Anni Sessanta, imbottite di assi stranieri. Dopo la Torino d'oggi, è il deserto, è mediocrità che dovrebbe far pensare. Se qualcuno, qualcosa, una mano idiota, uno scarto avventuristico, minacciassero questo derby, ne uscirebbe decapitata non solo la gara in sé, ma quanto di buono e di futuribile il football italiano porta nelle sue strutture. E queste non sono parole, non sono appelli generici, ma l'unica verità. Il «grande giocattolo» non è in grado di correre altri rischi. Ipotizzare sul grado tecnico e sul risultato è arduo, anzi accademico: i due club si equivalgono, la recente tradizione «pesa» a conforto dei granata, i bianconeri si affidano ai «grandi numeri», grazie ai quali non dovrebbero continuare a perdere. Un derby può far vedere magnifici gol, talvolta, ma solo spezzoni, vampate di gioco: i fili della gara escono dalla ragnatela prevista, si arruffano in dieci e più duelli tra singoli. La verità di un derby respinge la Giovanni Arpìno (Continua a pagina 2 in nona colonna) à A.C. I TORINO ili
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