Che cosa ci insegnano i giochi dei bambini

Che cosa ci insegnano i giochi dei bambini Come "educare" i genitori Che cosa ci insegnano i giochi dei bambini Il gioco è un grosso ariete che potrebbe sfondare le porte del nostro castello. Per questo lo temiamo e lo contrastiamo. Abbiamo impiegato tutta una vita per assicurarci le nostre piccole porzioni di sicurezze, per adattarci senza impazzire all'alienante quotidianità, per convincerci che in fondo questa è la migliore vita possibile nel peggiore dei mondi, ed ora dovremmo lasciarci dare lezioni di vera, autentica vita dai nostri mocciosi? Neanche per sogno. Cambino loro e gli impulsi che li guidano e se questo ha come prezzo la felicità, pazienza, servirà per farne adulti perfettamente adattati a quel futuro efficientistico ch'è là ad aspettarli. Noi, adulti. Loro, i bambini. Due termini che si fronteggiano ad armi pari, armati di potere i primi, di verità i secondi ed è «nel gioco che scoppia la dicotomia tra le parti» è il succo che ricaviamo dal convegno tenuto a Milano sul tema «Il gioco infantile nella formazione dell'io in rapporto alle influenze scolastiche e familiari», con la presenza dei bei nomi della pedagogia e della psicologia. Il castello degli adulti è costituito, dice Marcello Bernardi, noto pediatra e pungente polemista, dal sistema economico basato sul «principio del reale», l'ariete sul «principio del piacere». «Se gli uomini che compongono questa nostra società giocassero, continua Bernardi, l'intero sistema nel quale siamo inseriti crollerebbe. Cosa già detta da Marx tempo fa». Si può arrivare alla conclusione che il gioco è un'attività antisociale, strumento primario della ribellione in quanto privilegia il piacere rispetto al profitto, il fare non finalizzato al fare produttivo. Quando un gruppo di adulti, per di più specialisti, si riunisce per parlare di bambini c'è sempre il sospetto che abbia qualche cosa che pesa sulla coscienza e che in fondo, come in questo caso, che abbia da esorcizzare la carica infantile di vitalità disgregatrice. Se ne parla molto, moltissimo, per farne poi nulla anzi li si contrasta, dice Bernardi, con alcuni atteggiamenti tipici. Ad esempio escludendo il gioco dalla scuola, in cui si consuma il primo sacrificio della creatività dei bambini, imponendo i giocattoli educativi, come mezzo per incanalare le energie ludiche verso i traguardi scelti dall'adulto, inventando giocattoli «cattivi», come il corpo del bambino usato per i «giochi proibiti», oppure le armi come espressione di una violenza personale (mentre viene accettata la violenza gestita dal potere). Infine, è l'impostazione dell'intervento di Bernardi, l'adulto diffida di tutti i giochi, anche i più innocenti, quelli fatti con l'acqua, la terra e materiale di recupero. La requisitoria contro l'adulto, genitore o insegnante, in questo tribunale insolito, raggiunge note drammatiche, «c'e una sorta di sadismo psico-pedagogico nella scuola, là ove riproduce il mondo alienante dell'adulto» si leva la parola del direttore didattico Silvano Federici, ha continui spunti autocritici «come genitori noi non giochiamo con i nostri figli perché li sappiamo più fantasiosi e creativi di noi e questo ci scoccia». Attenti però, avverte il professor Antonio Miotto psicologo, il bambino non è una creatura capricciosa, dominata dagli impulsi inconsci, dalle emozioni e da sole esigenze di gioco, il bambino è anche una creatura che osserva, che sperimenta, che confronta. Aida Ribero

Persone citate: Aida Ribero, Antonio Miotto, Bernardi, Marcello Bernardi, Marx, Silvano Federici

Luoghi citati: Milano