Vendono la droga sui banchi del mercato e con la morte ti offrono una tazzina di tè

Vendono la droga sui banchi del mercato e con la morte ti offrono una tazzina di tè Afganistan e Pakistan: una riserva proficua per i trafficanti di oppio Vendono la droga sui banchi del mercato e con la morte ti offrono una tazzina di tè (Nostro servizio particolare) Kabul, 26 marzo. La droga dilaga. Ogni giorno le cronache riportano notizie di arresti di trafficanti di eroina, hashish e marijuana; ogni giorno le file dello squallido esercito dei drogati si ingrossano. Gli spacciatori non arretrano di fronte a niente: sono stati sorpresi uomini che vendevano sigarette drogate all'uscita delle scuole medie, è di questi gior. ni la notizia che il vizio sta dilagando all'interno degli ospedali. In tutto il mondo la polizia combatte contro i trafficanti: dall'inizio dell'anno soltanto in Italia sono stati sequestrati oltre trecento chilogrammi di eroina. Un quantitativo imponente, ma secondo G. J. Toorenar, capo della brigata stupefacenti della polizia di Amsterdam (forse il più esperto conoscitore di questo traffico clandestino che si estende a macchia d'olio attraverso l'Europa), «Soltanto il dieci per cento della droga spedita nel vecchio Continente cade nelle mani della polizia. Il resto arriva puntualmente a destinazione ». La maggior parte dell'oppio da cui verrà ricavata l'eroina proviene dal trian- golo d'oro un vasto territorio i cui vertici toccano la Birmania, la Thailandia ed il Laos. In ima serie di articoli pubblicati a gennaio su questo giornale, abbiamo illustrato i mille misteriosi canali attraverso i quali l'oppio, che viene coltivato fra quelle montagne, arriva a Bangkok e Hong Kong, dove viene trasformato in eroina, e poi ad Amsterdam, centro di smistamento del « Brown Sugar » (l'eroina cinese) in Europa. Ma i trafficanti possono attingere anche ad altre riserve. L'Afghanistan e la parte settentrionale del Pakistan costituiscono una scorta di oppio molto proficua: L'Afghanistan e la parte settentrionale del Pakistan costituiscono ima riserva di oppio molto proficua per i trafficanti: nella regione di frontiera fra i due paesi, il Pathanistan, si può comperare direttamente l'oppio in una qualunque bottega del mercato di Barra, attardandosi nelle trattative col venditore che offre del dolcissimo tè mentre decanta la qualità della sua « merce », esposta con grande disinvoltura sul banco. Pagamento in contanti, dollari americani, e si può andare via con un chilogrammo di oppio, un quintale, anche una tonnellata. Per i quantitativi maggiori bisogna aspettare almeno tre o quattro giorni: il tempo occorrente al «commerciante» per mettere insieme la merce richiesta. Naturalmente i compratori non ritirano personalmente l'oppio: nel prezzo pattuito è compresa la spedizione in ogni parte del mondo. Anche in Europa, passando attraverso l'emirato di Dubai: in questo porto franco attraccano navi di tutte le nazionalità, specialmente petroliere. Di recente ne sono state scoperte alcune dirette in Danimarca, con le cisterne «imbottite» da pani d'oppio. Meta finale del viaggio: Amsterdam. Alla fine degli Anni 60, Kabul è diventato il centro internazionale di raccolta degli hippies. Ancora oggi vi arrivano giovani da tutte le parti del mondo, ma predominano gli americani ed i tedeschi. Un funzionario della polizia afghana dice che «vengono qui come i musulmani vanno in pellegrinaggio alla Mecca»: lungo le strette viuzze del vecchio bazar della capitale o nei vialonì moderni della città nuova, si incrociano centinaia di americani, inglesi, tedeschi, svedesi, danesi, francesi, italiani che «fanno il viaggio». Molti sono partiti un'estate per una vacanza ed hanno preso questa strada che per alcuni, troppi, è senza ritorno. Nel quartiere moderno di. Sharinao e nel bazar si sono moltiplicati gli alberghi dove si può dormire in stanze collettive per duecento, cinquecento lire a notte e mangiare, più o meno discretamente, allo stesso prezzo. Per chi cerca un'evasione nei «paradisi artificiali», Kabul è una buona tappa. Al bazar l'oppio e l'hashish si vendono quasi liberamente. Il primo costa 50 dollari il chilogrammo (circa 45 mila lire), mentre il prezzo dell'hashish varia secondo la qualità. Quello più pregiato costa 20 dollari (16 mila lire all'incirca), quello meno buono si può acquistare per sei dollari (poco più di cinquemila lire). La maggioranza degli «hippies» che arrivano a Kabul sono attratti dal desiderio di «fare un viaggio», provare un'esperienza diversa, più forte, più completa. Quasi tutti a casa loro hanno già fumato l'hashish, si sono «impastigliati» con psicofarmaci, ma pochi hanno avuto un'esperienza diretta con l'oppio. A Kabul potranno realizzare il loro sogno allucinato sen¬ za troppa fatica. E' sufficiente avere quattrini. In genere arrivano bene organizzati, molti hanno l'auto, attrezzature da campeggio, macchine fotografiche, cineprese. Esaurito il denaro, incominceranno a vendere gli oggetti superflui. Ed alla fine vendono l'accendisigaro, la borraccia, le coperte, le scarpe. Le storie tragiche di migliaia di ragazzi si potrebbero ricostruire attraverso gli articoli esposti nei negozietti del bazar: vestiti di taglio europeo, scarpe fabbricate a Vigevano, una tenda da campo «Moretti»: le degradanti tappe lungo il disperato cammino sulla via della droga. Quando non hanno più nulla da vendere si danno all'accattonaggio, accettano i lavori più umili e miserabili. Molte ragazze si prostituiscono (si può avere una giovane europea del «giro» per mille o duemila lire, in certi casi anche per meno). La droga sarà un problema degli stranieri, come sembrano voler affermare le autorità locali, ma su questo traffico si arricchiscono molti afghani. A cominciare dai proprietari dei tanti alberghetti compiacenti sorti a decine in questi ultimi anni, che accolgono i giovani senza nessuna formalità, senza preoccuparsi della loro provenienza e della loro sorte. Per poche centinaia di lire si può dormire, da soli o in gruppo. Si può fumare come e quanto si vuole. È si può morire fra l'indifferenza generale. Nel cimitero cristiano di Kabul, il «Kabre-I-Sauhia», le tombe dei drogati ai contano a decine. Sulle lapidi si leggono nomi dd ogni nazione, anche italiani. Ma quello che provoca l'angoscia maggiore è l'età di questi morti. Diciassette anni, dicìotto, venti, ventitré anni. Qualche lapide è ornata con curiosi ed oscuri simboli hippies, la maggior parte hanno una semplice croce nera. Anni fa, durante un precedente viaggio a Kabul, avevo conosciuto padre Mac Hugh, un missionario protestante inglese, che aveva allestito in un albergo preso in affitto un ospedaletto per i drogati. L'ospedale si chiamava «Dilaram», che significa «pace del cuore». Padre Mac Hugh lo apriva ogni anno all'inizio dell'estate, quando il numero dei giovani stranieri in arrivo aumenta. Vi accoglieva drogati in condizioni disperate, per molti dd loro ogni aiuto, ogni soccorso era inutile. «Vengono qui allo stremo delle forze e chiedono di essere salvati — mi aveva detto —. Ragazzi di vent'anni ridotti come larve. Nei loro occhi leggo il terrore detta morte, la paura. Per molti l'unico conforto possibile è quello della preghiera. Non esiste più speranza, se non quella di aiutarli a morire con dignità». Parecchi giovani devono la loro vita alle cure di questo missionario e degli infermieri volontari, quasi tutti appartenenti al «Peace Corps» (il corpo della pace fondato da John Kennedy) che lo aiutano. «Ci vogliono tre mesi di cure per disintossicarsi — aveva spiegato padre Mac Hugh — purtroppo molti giovani non appena stanno bene scappano dal "Dttaram" e tornano al bazar, in cerca di droga». Francesce Fornari

Persone citate: Brown, Fornari, John Kennedy, Moretti, Peace