Ragazza violentata indica in aula il giovane che le ha imposto: "Taci,, di Silvana Mazzocchi

Ragazza violentata indica in aula il giovane che le ha imposto: "Taci,, Moltissime donne al processo contro i sette aggressori Ragazza violentata indica in aula il giovane che le ha imposto: "Taci,, E' il fratello d'un imputato: denunciato - Spavaldi gli accusati (ma ne mancano dieci, mai riconosciuti) - Claudia Caputi, la vittima di diciotto anni, vedendoli è scoppiata a piangere Roma, 25 marzo. In un'aula stracolma di donne, Claudia Caputi ha affrontato la prima udienza del processo contro sette ragazzi accusati di averla violentata e picchiata il 30 agosto dello scorso anno su un prato della periferia romana. Sicura di sé, Claudia (diciotto anni compiuti in novembre) si è costituita parte civile ed ha chiesto e ottenuto che il processo si svolgesse a porte aperte. Confortata dalla presenza delle femministe («sono state loro — dice — che mi hanno dato la forza di combattere questa causa giusta»), Claudia è rimasta presente in aula quando sono entrati i sette giovanissimi imputati (quattro in carcere, tre a piede libero), ma vedendoli è scoppiata in lacrime, mentre loro, per evitare i flash dei fotografi, si coprivano il volto e si giravano verso il muro. «Si vergognano — ha detto — ma adesso è tardi». I sette ragazzi sono quelli che Claudia ha potuto identificare durante l'istruttoria perché almeno altri dieci che parteciparono alla violenza sono rimasti ignoti, coperti dall'omertà degli amici. Una sorta di complicità «maschile» fatta di sguardi furtivi e di gomitate c'è stata anche in aula: i sette imputati, pur divisi tra loro nel racconto dei fatti, si sono aiutati. In apertura di udienza l'avvocatessa Tina Lagostena Bassi, per Claudia Caputi, ha chiesto che il movimento femminista si potesse costituire parte civile in qualità di organismo che tutela i diritti delle donne, ma il pubbico ministero Paolino Dell'Anno si è opposto e il Tribunale (presidente Mario Lupi) ha rigettato la richiesta. «Accetto comunque che il processo si celebri pubblicamente — ha ammonito il presidente del Tribunale — ma avverto che al primo commento ad alta voce faccio sgombrare l'aula». Si è iniziato l'interrogatorio degli imputati, con i due fratelli Sciarra, Carlo e Franco, gemelli. I due, che nel loro quartiere sono considerati dei «capetti», sono in carcere. Ostentando spavalderia, ma non riuscendo a parlare con una tonalità di voce che superasse il sussurro, Carlo ha in parte ritrattato le dichiara zioni rese in istruttoria per scagionare il fratello ed ha sostenuto, come poi hanno fatto gli altri, che Claudia aveva accettato spontaneamente di fare l'amore con loro. Seguendo una linea di difesa banale, oltre che ovvia, Carlo ha poi detto che la ragazza, stesa sul prato, si era tolta la maglietta e stava con il seno nudo. Il ragazzo, che è ancora minorenne (ha 17 anni) è vestito da adulto. «Io andai al prato con Alberto Fracassìni (anche lui detenuto) e Claudia stava con Nicola — racconta —, dopo l'avrei voluta riaccompagnare a casa e chiesi il permesso a Nicola, ma lui mi disse che ce l'avrebbe portata lui, così noi ce ne andammo. Poco lontano c'erano gli altri amici, forse cinque». E' straziante constatare come il racconto sembri normale a questo adolescente già adulto; come consideri naturale raccontare di aver chiesto il «permesso» all'amico considerando Claudia una cosa. «JVon è vero, non mi chiese niente» lo ha contraddetto Nicola Vinciprova, ricciuto, 18 anni, in carcere da vari mesi. «7o non ebbi il coraggio di stare con Claudia perché quando era già mezza svestita era triste c piangeva». Cosi Nicola (il ragazzo con cui Claudia il 30 agosto era uscita per andare a fare una passeggiata e che rischia quindi anche il ruolo di organizzatore della violenza) ha rotto il fronte degli imputati. «Claudia piangeva — ha chiesto l'avvocatessa Lagostena Bassi — e conferma quanto ha detto in istruttoria che Claudia aveva anche paura?». «Sì», ha ammesso il ragazzo. Sono quindi sfilati gli altri giovani: Alberto Fracassini, Mauro Giuliano (minorenne), Bruno Lettieri e Mario Carnassale. Il primo ha appoggiato la versione dell'amico Carlo Sciarra, gli altri si sono limitati a confermare quanto già detto in istruttoria. Rapida è stata la sfilata dei testimoni. Piccola e dimessa la mamma degli Sciarra: «I miei figli lavoravano come meccanici, hanno fatto la quinta elementare — ha detto quasi a scusarsi — perché noi eravamo emigrati in Argentina e quando siamo tornati in Italia andavano male a scuola». Sul banco degli imputati Carlo e Franco si guardano infastiditi; si considerano « capi », eroi. Ora tocca a Claudia. Entra decisa ed è l'unica a parlare ad alta voce. Dice che Carlo Sciarra aveva un bastone, che fu minacciata e che non solo lei, ma anche Nicola ebbe paura di loro. E' quasi stupita quando il presidente le domanda se acconsentì a fare l'amore con tutti quei ragazzi e risponde: «Certo no». Il coraggio straordinario di questa ragazza supera poi un'altra dolorosa prova. Il suo avvocato le chiede se è vero che ha ricevuto minacce anche nei giorni scorsi per aver denunciato pubblicamente la violenza subita. «Sì» risponde Claudia, e poiché c'è la notizia di un nuovo reato, il pubblico ministero deve acquisire i dati e su richiesta del presidente, Claudia indica in aula una delle persone che l'hanno minacciata. E' Ginesio Lettieri, fratello di Bruno, un imputato. Mentre il giovane viene portato di fronte a Claudia, dal banco degli imputati si sentono mormorii: «Ma che è matta!», esclamano stupiti gli imputati. «Io quando esco l'ammazzo», dice un altro. Sono parole, ma ben esprimono la loro ira di fronte al coraggio di Claudia. Per Ginesio Lettieri ci sarà una denuncia. La difesa degli imputati tenta di riguadagnare il terreno perduto e uno degli avvocati propone un'istanza per chiedere che vengano sentiti alcuni testi secondo i quali Claudia Caputi, dopo le violenze subite quel pomeriggio del 30 agosto, si fermò in un bar del quartiere a ridere e scherzare per circa due ore. Siamo al grottesco. Claudia restò in ospedale per oltre un mese, e in aula c'è mormorio. Il tribunale si ritira e poco dopo respinge l'istanza. L'istruttoria dibattimentale viene dichiarata chiusa e il processo aggiornato al 4 aprile. Claudia tornerà a Napoli dove ora lavora. I suoi genitori non sono venuti a trovarla da Villalago (un paesino in provincia dell'Aquila), ma lei non si lamenta, si guarda intorno, chiama per nome molte delle donne presenti e dice «non sono più sola». Silvana Mazzocchi Roma. Claudia Caputi giunge in tribunale (tel. Ansa)

Luoghi citati: Aquila, Argentina, Italia, Napoli, Roma, Villalago