Nomi e Cognomi

Nomi e Cognomi Nomi e Cognomi di Andrea Barbato Sono preoccupato per il mio amico Umberto Eco: non solo gli è nato « un terzo occhio sul dito indice », ma ora si è anche talmente affezionato a questo repentino mutamento biologico, da temere che qualcuno voglia amputarglielo. Fuori di scherzo: riconosco a Eco un'indiscutibile autorità sul terreno delle comunicazioni sociali; e poiché un suo articolo sul Corriere s'è incrociato con un mio articolo che sosteneva una tesi quasi opposta, ho bisogno di fare un solitario esame di coscienza. Cosa dice Eco? Che le nuove radio sono uno strumento nuovo, un senso in più, una facoltà potenziata, un progresso con il quale dobbiamo fare i conti. Al di là di questo riassuntino generico e ingeneroso delle sue tesi, mi accade di non condividere quasi nulla del suo scritto. E perciò, sia pure senza sistematicità accademica, vorrei accumulare un po' di argomenti. Eco si fa forte di esempi storici dotti, o di esperienze personali. La radiocronaca del Maggio francese gli serve per ricostruire con nostalgia una sua mappa di Parigi, certo esplorata in colte passeggiate professorali. Ma né il Maggio, né la rivoluzione algerina servono al nostro caso italiano: ad Algeri come a Parigi si trattava di situazioni rivoluzionarie o prerivoluzionarie, comunque eccezionali. E allora il problema è di sapere, oggi e adesso, se Eco ritiene che siamo alla vigilia della rivoluzione. In tal caso, oltre alle onde hertziane, consiglierei un uso appropriato anche dell'artiglierìa. E nei giorni normali, sema cortei né manifestazioni, che uso occorre fare del terzo occhio? Per migliaia e migliaia di ore, quale cultura alternativa (salvo rare eccezioni) ne sta emergendo? A Eco sembra estremamente preziosa l'indicazione dei percorsi delle sfilate, la toponomastica cittadina, la localizzazione degli ingorghi. Forse, poiché è indaffarato, vuole scegliersi una strada sgombra, e quest'esigenza è certamente rispettabile. Ma egli stesso non scioglie il nodo, se cioè le radiocronache servano per evitare i cortei o per parteciparvi, e invece la cosa importante è solo questa. Altrimenti, il massimo del risultato sarebbe quello di raccogliere il boato di una Molotov in diretta, e magari dopo averla lanciata. Non è questo che le nuove radio stanno facendo. Eco ammette dì non saper dire se radio Montecarlo, mentre descriveva gli spostamenti dei dimostranti e della polizia nella Parigi del '68, stesse riflettendo gli eventi o invece determinandoli. Ma se « il dire è il fare » l'importante è tutto qui. Prima vivere, e poi comunicare. Il massimo di ragionevolezza sta nel fare cose giuste (qui non interessa stabilire da che parte): e non sta certo nel fare cose sbagliate ma comunicarle tempestivamente, magari battendo l'Ansa di qualche minuto, come celebra Eco. Il « dire » sarà stato giusto e serio, se sarà stato il resoconto di un « fare » serio e giusto. Il telefono è importante non già come intreccio di fili sotto l'asfalto, o come capacità di far trillare con un dito un remoto campanello, ma se dirò al telefono cose importanti. In caso contrario, non si devono certo tagliare i fili, ma si può evitare l'apologia del telefono. Devo aggiungere che Eco stesso esprime dubbi e manifesta prudenza. Ci troveremmo dinanzi ad una irreversibilità tecnologica; non solo, ma la nascita di puri canali di notizie senza segno starebbe producendo un fenomeno che Eco definisce ingegnosamente di « acefalia », radio senza testa. Ma recupera subito: starebbe perciò finalmente morendo l'odiata figura dell'emittente. Nella ragnatela delle comunicazioni non ci sarebbe più il protagonista autoritario, chi trasmette contrapposto a chi riceve. Siamo dunque molto vicini all'applicazione della teoria dei media, a sinistra del marxismo, enunciata da Enzensberger nella rivista Kursbuch e ristampata da Einaudi. Ciascuno è un trasmittente, non c'è distribuzione ma comunicazione collettiva, ciascuno deve trasformarsi in un « manipolatore », cioè in un produttore attivo che si rivolge ad altri produttori attivi. E' certo un progetto suggestivo, che tuttavia risente anch'esso della preminenza del dire sul fare. E se poi queste masse intercomunicanti fossero i camionisti cileni, o gli elettori di Nixon? Certo per Eco i miei argomenti saranno eresie borghesi, buonsenso liberale, o ignoranza scientifica. Sono pronto ad ammetterlo, ma i dubbi mi restano. Continuo testardamente a credere che il fare venga prima e sia più importante del dire. Ma per non essere totalmente scavalcato a sinistra, vorrei mettere dinanzi agli occhi di Eco proprio una citazione di Enzensberger. « Chi immagina che la libertà dei mass-media si realizzerà spontaneamente, solo che ciascuno trasmetta e riceva diligentemente, resta preso alla pania di un liberalismo che va in giro a vendere l'avvizzita immagine di un'armonia prestabilita deoli interessi sociali ravvivanaola con un belletto contemporaneo ». Dunque, sembra dire lo scrittore berlinese, persino lui: bisogna prima fare la rivoluzione, e poi trasmetterla. Che cosa rispondo a Eco

Luoghi citati: Algeri, Montecarlo, Nomi, Parigi