"Ballinari rivelò dov'era sepolta Cristina per vendetta contro il clan dei calabresi" di Remo Lugli

"Ballinari rivelò dov'era sepolta Cristina per vendetta contro il clan dei calabresi" La parte civile ricostruisce le rivalità nella banda "Ballinari rivelò dov'era sepolta Cristina per vendetta contro il clan dei calabresi" L'avv. Pecorella ha centrato la sua arringa sui contrasti fra il "giro" di Angelini e la " 'ndrangheta " - " I calabresi fecero scoprire gli 87 milioni del riscatto nascosti in Svizzera" (Dal nostro inviato speciale) Novara, 23 marzo. «Cani affamati si sbranavano fra loro per avere una più grossa parte del bottino», questi erano, secondo l'avvocato Gaetano Pecorella, i membri dell'organizzazione criminosa che portò a compimento il sequestro di Cristina Mazzotti. Pecorella è il secondo legale di parte civile che parla. La sua arringa, di quattro ore e mezzo, è lucidissima e logica, centrata su quattro personaggi: Francesco Gattini, Alberto Menzaghi, Antonino Giacobbe e Achille Gaetano. Ma attraverso costoro tutta la struttura che si è occupata di questo crimine viene radiografata nei suoi due rami principali, uno al Sud, l'altro al Nord e quest'ultimo diviso in due tronconi, la parte settentrionale e la parte meridionale. L'analisi di Pecorella lo porta ad un'interpretazione nuova di certi fatti e atteggiamenti. Si è detto fin qui, attraverso le carte processuali e il dibattimento, che Giuliano Angelini, il capo carceriere di Cristina, il 7 agosto '75 andò nell'uliveto di Catanzaro Lido per subire un «processo» mafioso. No, dice Pecorella: fu lui che volle andarci per incontrarsi con i capi calabresi per questioni di denaro, per avere quello che non gli era stato dato o per averne di più. Così si spiegano anche i diciassette milioni consegnati da Angelini ad Achille Gaetano; perché avrebbe dovuto essere lui a consegnargli la sua parte? Glieli dette come compenso perché gli aveva procurato quell'incontro. E si spiegano altre cose, due vendette vicendevoli, la prima è quella dei calabresi ì quali fanno si che in Svizzera si scoprano gli 87 milioni che Angelini è andato a riciclare (perché, si domanda Pecorella, ci si accorge solo di quegli 87 sul miliardo e cinquanta milioni pagati dal Mazzotti per il riscatto e sui cinquanta miliardi annui che vengono pagati nei sequestri?). La seconda vendetta è ai danni dei calabresi da parte di Ballinari, uomo di Angelini: dalla Svizzera, dove è rimasto invischiato a causa del riciclaggio, indica il punto preciso in cui è sepolta Cristina, servendosi di quella carrozzina che forse aveva lasciato apposta sulla tomba della povera ragazza nella discarica di Varallino, nell'eventualità di dovere appunto far scoprire il corpo. Con il ritrovamento tutto deve affiorare della vicenda, anche i nomi dei calabresi. Gattini è l'uomo del Sud, il manager che fa da collegamento, che viene spedito al Nord nel momento in cui la vicenda sta attraversando una crisi. Menzaghi, personaggio modesto, astuto e poco intelligente, fa da tramite tra i due tronconi del Nord rappresentati da Angelini e da Achille Gaetano. Giacobbe, «don Nino», sembra un ometto di scarsa importanza e in- vece è un capo mafioso di rango, con collegamenti nazionali; si fa ricoverare al manicomio di Girifalco per coprirsi le spalle quando Cristina incomincia a star male e si prospetta la sua morte. Achille Gaetano, cinico, indicato come uomo disposto ad uccidere l'ostaggio per assicurarsi l'impunità, forse inizia in proprio questo sequestro per poi ricorrere ai capi calabresi, ai cervelli, quando le cose si mettono male e allora da presunto primo attore qui al Nord, passa in secondo piano, deve cedere il posto al Gattini venuto a cercare di sbrogliare la vicenda. Tutti questi personaggi sono visti da Pecorella con una lente che ne ingrandisce la trama delle colpevolezze e dimostra quanto siano labili, evanescenti certi loro tentativi di alibi. Per l'avvocato di parte civile non v'è dubbio che Gattini è quel «Franco» che Angelini incontrò a Sesto Calende e a Vergiate nella prima metà di luglio e che poi ritrovò all'uliveto di Catanzaro e non un altro individuo; tra le prove c'è, inequivocabile, il numero di telefono della suocera di Gattini trovato nella borsetta di Pupetta Petroncini, la donna di Angelini, cui lei avrebbe dovuto rivolgersi nel caso che fosse capitato qualcosa al suo Giuliano. Menzaghi non si limita, come afferma, a finanziare un sequestro generico per poi ritirarsi prima che venga rapi ta Cristina, ma fino in fondo, cercando anzi di non essere tagliato fuori per assicurarsi più grosso bottino. Giacobbe è l'uomo zoppo dell'uliveto, uno dei boss, riconosciuto da Angelini nel commissariato di Lamezia Terme e poi ancora nel carcere di Alessandria. E Achille Gaetano è inutile che cerchi di salvare Gattini dicendo in dibattimento che non è vero che lo presentò ad Angelini (dopo che lo aveva affermato in tre interrogatori al giudice istruttore). L'avvocato Pecorella si sofferma anche sulla ritrattazione di Angelini, una ritrattazione che egli non fa mai davanti al giudice, ma solo su lettere spedite in giro, perché gli preme la vita, gli interessa arrivare al processo per farla qui ufficialmente, cioè guadagnare tempo. Remo Lugli