Arrivarono gruppi romani per i tumulti di Bologna di Piero Cerati

Arrivarono gruppi romani per i tumulti di Bologna Aperta l'istruttoria sull'organizzazione Arrivarono gruppi romani per i tumulti di Bologna Il sostituto procuratore parla di contatti tra "autonomi" emiliani e Collettivo di via dei Volsci - Il ruolo svolto da alcune radio libere - Due emittenti sequestrate (Dal nostro inviato speciale) Bologna, 22 marzo. E' cominciata stamane l'istruttoria contro gli organizzatori e gli istigatori della rivolta nella cittadella universitaria di Bologna. Nell'inviare gli atti al giudice Catalanotti, il sostituto procuratore Luigi Persico «ha indicato precisi nessi tra gli organizzatori dei vari episodi (barricate, scontri con la polizia, saccheggi di negozi, tra cui un'armeria, n.d.r.) di Bologna con alcuni appartenenti al Collettivo rivoluzionario di via dei Volsci di Roma». Sarebbe pure accertato che alcuni autonomi emiliani andarono nella capitale per prendere accordi. «La sommossa è stata preparata, non è divampata a caso — dice Persico — è stata una sfida alla democrazia» , una sfida al simbolo dell'amministrazione cittadina e al sindaco in particolare «Zangheron de' Zangheroni, sei il servo dei padroni» è stato scritto sui muri dell'Università, che domani riprende il ritmo normale di vita. Ma chi sono gli «organizzatori e gli istigatori» della rivolta? Persico ha svolto sinora l'inchiesta su due emittenti libere: Radio Alice e Radio L'Ara (o Lara), cioè «Radio ricerca aperta». Le indagini erano separate, oggi sono state unificate e affidate al giudice istruttore Catalanotti: è proprio contro i redattori di queste due emittenti che sono rivolte le accuse della magistratura di «istigazione a de- j linquere e attività organizzativa generale diretta a coordinare i singoli episodi». Sette od otto redattori di Alice (Radio Lara prestò soltanto le apparecchiature, quando la stazione libera fu messa sotto sequestro) sono in carcere, cinque tecnici sono stati invece messi in libertà provvisoria perché «figure di secondo piano: essi non avevano ruoli organizzativi, ma il compito di potenziare gli apparecchi» la loro posizione deve essere quindi vagliata sotto diversa luce. Restano da svolgere indagini sulla presenza del Collettivo di via dei Volsci, e stamane il capitano Nevio Monaco, comandante del nucleo investigativo di Bologna, è partito per la capitale. Il viaggio non è casuale: nessuno lo conferma, ma è certo che Monaco collaborerà nell'inchiesta con i colleghi di Roma. Negli atti si parla di «alcuni appartenenti al Collettivo di via dei Volsci» : si conoscono allora già i nomi? Se si interpretano le parole sembra di sì, ma su questo punto vige il segreto istruttorio. Radio Alice, quindi, secondo i giudici, avrebbe svolto un ruolo di primo piano nella sommossa. «Ebbe anche una funzione operativa — dice Persico — lanciava appelli, indicava dove sorgevano le barricate, invitava gli studenti ad accorrere nei punti di maggior tensione». I redattori dell'emittente libera, quelli ancora in libertà, reagiscono e denunciano la «continua minaccia di mandati di cattura» che grava su di loro e che «fino ad ora ha impedito il regolare svolgimento dell'assemblea di redazione». Giuridicamente la Radio non è chiusa: sono stati sequestrati gli strumenti del reato, cioè le apparecchiature («non si può assolutamente paragonare alla chiusura d'un giornale» , spiega Persico) e nessuno si pre senta a reclamarne la proprietà e la responsabilità. Se però si presentasse verrebbe arrestato: su questo Persico non ha dubbi. Ecco quindi «la continua minaccia di arresti» cui allude il Collettivo re dazionale di Radio Alice. Anche la segreteria nazionale del Fred (Federazione radio emittenti democratiche) riunitasi a Bologna il 19 marzo ha preso posizione «contro il grave attacco all'in formazione». Ma quante sono le emittenti libere sinora messe a tacere dalle autorità? Il partito comunista di Bologna ha svolto un'ampia ricerca su questo fenomeno: «Sono state chiuse sinora tre radio — dicono in federazione —: "Radio Parma popolare" per aver violato sette articoli del codice penale, tra cui vilipendio di Stato e religione, prima dei fatti di Bologna; quindi "Radio Alice" e "Lara". A Bologna e provincia le emittenti libere sono venticinque e le televisioni otto» : nessuna è minacciata, nemmeno quelle che hanno dato solidarietà ad Alice, senza collocarsi però sul suo piano: hanno preso le distanze dalle posizioni «ultra» di questa emittente che cominciò ad occuparsi di politica nel 1976. «Due episodi hanno caratterizzato l'opera svolta da alcune radio libere e culminata con la sommossa di Bologna — — spiegano al pei — i commenti sul fatto di Argelato, quando alcuni ultras mandati allo sbaraglio furono coinvolti nell'uccisione d'un maresciallo, e il rapporto instaurato con gli autoriduttori, quando dalle redazioni uscirono coloro che non ac- cettavano l'ipotesi della lotta armata». Nel febbraio del 1977, Alice pubblica anche un giornale «A traverso», che predica «un altro '68 con altre armi» e scrive: «Molti occhi sono puntati su Bologna... pace sociale è finita». «Le nostre case sono tutte covi». «Sacrificarsi non basta, occorre immolarsi». Il pei è messo sott'accusa: l'onorevole Pecchioli è definito «zelatoj re dell'ordine padronale». Nasce il maodadaismo, una formula che accomuna la massa e l'avanguardia, sui muri dell'ateneo compare la scritta «Simpatia alle P 38», una pistola ben nota. «E' sconcertante riascoltare oggi le registrazioni dì certe radio libere — dice Eliseo Fava del pei bolognese —; la descrizione dei fatti di Roma accaduti il 5 marzo, con tentativi di assalto al palazzo di giustizia e a un'armeria lascia intendere agli ascoltatori che questi tumulti siano possibili, come dire: guardate siamo in grado di aprirci la strada con le armi, di prenderci la città». E sui muri dell'Università di Bologna appare la scritta: «Non stiamo smobilitando, il bello anzi deve ancora venire». Ma non si corre il rischio di sopravvalutare il ruolo di alcune emittenti libere giudicando quanto è accaduto in base a certi slogans forse soltanto velleitari? Il pei risponde no, anzi fa l'autocritica: «Noi l'abbiamo sottovalutato, allora», dice Fava. «La tesi d'un gioco di ragazzi non regge più: qualcuno tenta di creare una base di massa attorno a un'ipotesi politica che mira ad abbattere violentemente lo Stato». Fava mostra una foto scattata nell'ateneo; su un muro campeggia la stella a cinque punte con le lettere Br, brigate rosse. Anche la magistratura sottovalutò allora la funzione che oggi si vuole attribuire, da alcune parti, a certe emittenti libere o autonome? «Dopo i fatti di Argelato — dice Persico — vi fu un'inchiesta su determinate radio libere. dalla procura essa approdò al giudice istruttore, e qui finì». Non si approdò a nulla, insomma. «Il problema oggi è che bisogna arrivare ad una regolamentazione delle radio libere — dice Fava — il governo sinora è stato carente. E' necessario che venga definito come le emittenti possono funzionare, a quali condizioni. Oggi manca qualsiasi definizione di professionalità, c'è un'irresponsabilità che in una civiltà organizzata non può esistere, un anonimato dai mille volti, qualsiasi pirata può usufruire di un mezzo di convincimento come la radio per dare le notizie e le false notizie che vuole. Basta ricordare quanto fece "Radio Città futura" di Roma, dell'ultrasinistra, quando a gennaio del '77 comunicò che era stato compiuto un colpo di Stato in Italia. Alcuni redattori di queste emittenti oggi avvertono un senso di paura: si sono esposti e temono di pagare per chi sta loro alle spalle». A fine settimana, si svolgerà il congresso del pei, e l'argomento delle radio libere verrà affrontato. Per ora i redattori di Alice sembra si siano dati alla clandestinità, parlare con loro non è possibile. Eppure avrebbero forse le loro ragioni da opporre, ma se compaiono c'è l'arresto. Una situazione difficile da dipanare per avere una completezza di informazioni, Piero Cerati