A 150 ANNI DALLA MORTE di Massimo Mila

A 150 ANNI DALLA MORTE A 150 ANNI DALLA MORTE Su Beethoven Il rapporto delle date fa si che gli anniversari beethoveniani siano, ancor più di quelli mozartiani, ravvicinati nel gioco dei centenari e dei cinquantenari: ancora si è intenti a recepire la massa di studi e di pubblicazioni prodotte sette anni or sono nel secondo centenario della nascita, ed ecco, 26 marzo, il centocinquantesimo anniversario della morte. Poi non se ne parlerà più (per modo di dire) fino al 2020, e saranno altri a pensarci. Per il momento non sembra che il presente anniversario si annunci altrettanto fertile, e ricco di manifestazioni, convegni, celebrazioni, come quello da poco trascorso. Tra le tante disgrazie che, in vita e postume, afflissero il Grande, c'è pure quella che nella sterminata bibliografia accumulatasi sulla sua vita e la sua opera non esiste l'opera definitiva, perfetta, a cui si possa fare riferimento con piena fiducia, come avviene invece per Mozart grazie all'esemplare biografia critica di Hermann Abert. Forse l'avrebbe scritta Romain Rolland, con buona pace di quanti lo tacciano di idealismo retorico, se la vita gli fosse bastata a completare gli studi che venne pubblicando in volumi separati su Les grandes époques créatrice* del compositore. Ma bisogna pur concedere ai detrattori che la sua indagine, competente e incisiva nell'analisi musicale, non si fonda su un lavoro di ricerca originale, bensì attinge i dati di fatto dalla vasta silloge e comparazione di ricerche altrui. E — altra disgrazia — la personalità dell'uomo Beethoven fu cosi grande e strapotente, che non dico abbia messo in ombra, ma certamente ha condizionato la- percezione e. l'apprezzamento della sua opera. Al punto che nel 1927 Ravel, infastidito dalla valanga di retorica celebrativa dell'eroismo di Beethoven e della lotta contro il Destino (si era già dovuto sorbire, per il noto gioco della cronologia, quella del 1920), uscì nell'irriverente opinione che la fama di Beethoven fosse in gran parte dovuta alla leggenda della sua vita! « Alla fine la musica di Beethoven è assurta al rango di una religione ». Cosi afferma una delle più grandi autorità sull'argomento, Joseph Schmidt-Gòrg, direttore e custode della Beethovenhaus di Bonn, in un fondamentale discorso su Sviluppo e compili della ricerca beethoveniana, tenuto a Vienna nel convegno indetto dall'Accademia delle Scienze Austriaca nel 1970. Questo carattere religioso si rispecchia perfino nella bibliografia, fin dai suoi inizi. Che cosa sono, se non vangeli, i tre testi fondamentali con cui essa si apre, la biografia redatta da Anton Schindler, le Biographische Notizen di Wegeler e Ries, e le Erinnerungen aus dem Schwarzspanierhause di Gerhard von Breuning, anche se queste furono pubblicate soltanto nel 1874? Un vangelo trovato in ritardo, ma sempre un vangelo. Libri, cioè, di pura testimonianza, racconti di discepoli, attorno a cui si dispongono gli apocrifi minori degli innumerevoli Beethoven par ceux qui l'ont vu: tutta gente che non avanza alcuna pretesa scientifica né storica, ma vuole semplicemente portare il suo granello di conoscenza personale. « Io l'ho visto! Gli ho parlato! Mi disse questo e quest'altro! ». ★ ★ Di nessun altro genio conosciamo la vita privata, la figura, i modi, in maniera cosi insinuante e perfino pettegola, come di Beethoven. Una massa di materiale enorme, che un americano, Alexander Wheelock Thayer, coordinò in una monumentale biografia: progettata nel 1845, terminò di uscire nel 1908, prima in tedesco che nella lingua originale, tradotta da Hermann Deiters e riveduta nel quarto e quinto volume da Hugo Riemann. Dovrebbe essere per Beethoven quello che è la biografia dcll'Abert per Mozart; ma, totalmente carente nel giudizio critico, fa testo soltanto sul piano della sistemazione biografica e filologica. E non pertiene alla categoria del culto religioso la commovente iconografia beethoveniana raccolta da Stephan Ley, il cui libro, Beethoven* Leben in authentischen Bildern und Texten, pubblicato nel 1925, non è che la minima parte dei sette enormi volumi in folio diligentemente compilati, con una immagine nelle pagine dispari e un'illustrazione sempre costituita da testi originali nelle pagine pari, volumi oggi manco a dirlo conservati nella Beethovenhaus di Bonn, in attesa che si trovi un mecenate per consentirne la pubblicazione? Infiniti sono i compiti a cui attende la musicologia beethoveniana, e meno male che fra questi c'è pure la pubblicazione della nuova Gesamtausgabe, cioè delle opere complete, a cui attende con somma competenza di specialista lo svizzero Willy Hess; ma siamo appena all'inizio e la cosa procede a rilento, sia per le difficoltà economiche, sia per la folla di problemi filologici che spuntano ad ogni passo. A un'edizione critica dell'epistolario si pensa in Germania da tanto tempo, da sempre. E intanto l'inglese Emily Anderson se ne saltò fuori nel 1962, purtroppo l'anno della sua morte, con una formidabile raccolta in tre volumi, che supera di 178 lettere inedite, scoperte con cura meticolosa in tutti gli angoli della terra, quella classica del Kalischer, ma che ha il difetto di presentare le lettere di Beethoven in inglese. Ce l'abbiamo pure noi, in una splendida pubblicazione dell'Ilte (1968), ma ritradotte dall'inglese. ★ ★ Un caso particolarissimo della filologia beethoveniana è quello costituito dai Konversationshefte, le quattro centinaia di quaderni di conversazione in cui i visitatori del grande sordo scrivevano le loro comunicazioni durante gli ultimi suoi dieci anni di vita. Lo sciagurato Schindler ne distrusse gran parte, per scrupoli moralistici o forse per gelosia e invidie personali, salvandone meno della metà. La pubblicazione, con criteri scientificamente diplomatici, è in corso nella Germania orientale, a cura di Karl-Heinz Kohler e Grita Herre. In tre volumi, che portano i numeri 4-6, sono stati pubblicati i quaderni 38-76, che vanno dall'agosto 1823 all'ottobre 1824, cioè il tempo della Nona Sinfonia, e si vengono ripubblicando quelli già usciti prima della guerra, a cura di Georg Schiinemann, in edizione non ritenuta soddisfacente. E' uscito il primo volume (quaderni 1-10, febbraio 1818-aprile 1820). Almeno per questa parte già precedentemente nota, cioè i primi 37 quaderni, in Italia siamo abbastanza fortunati, perché ne possediamo un'ottima traduzione a cura di Guglielmo Barblan, nella citata pubblicazione dell'Ilte; e in un libro di Luigi Magnani, edito prima da Ricciardi e poi da Einaudi, abbiamo una preziosa assimilazione culturale di questi stranissimi e difficili documenti, giustamente paragonati da qualcuno a una conversazione telefonica ascoltata da una parte sola, e all'altro capo del filo c'era Beethoven! Altro capitolo tipico dell'ermeneutica beethoveniana è quello costituito dagli innumerevoli schizzi e abbozzi musicali in cui l'artista veniva laboriosamente e faticosamente sgrossando rozze idee iniziali, fino a cavarne quei temi folgoranti che oggi ci sembrano usciti di colpo dalla sua fantasia come Minerva dalla testa di Giove. Credevamo almeno qui di essere a posto coi due volumi di Beethoveniana di Gustav Nottebohm, usciti nel 1872 e 1887. Ohimè! c'informa lo Schmidt-Gorg che essi sono ormai molto difettosi sia per il materiale saltato fuori in seguito, sia perché il buon Nottebohm « ha soltanto decifrato quello che in qualche modo era facile da leggere » nella tempestosa scrittura beethoveniana. (In verità più indiavolata nelle lettere che nella notazione musicale). Quindi anche qui ulteriori compiti mai finiti per la « Beethoven-Forschung », la ricerca beethoveniana. Viene in mente la imprecazione di Mime intento a forgiare sull'incudine la spada di Sigfrido all'inizio della seconda giornata: « Penosa briga Che fin non ha! ». Ma come ha da essere condotta questa « Beethoven-Forschung »? « Dovrà sempre attenersi ai fatti », ammonisce con severità il guardiano della Beethovenhaus, Joseph Schmidt-Gorg. « Ci vuole la fatica d'un lavoro minuzioso ad esplorare le fonti per la vita e l'opera di Beethoven, il suo ambiente, i suoi precursori e continuatori. Scoprire ciò ch'era sconosciuto; il già conosciuto meglio esporre attraverso nuovi punti di vista; questa e quella pietruzza sempre meglio ordinare in un quadro: questo è propriamente il compito della vera ricerca. Essa parte dall'oggetto, dai dati di fatto. Per ulteriori passi, per la spiegazione, l'importante è la misura in cui lo scrittore si attiene ai dati di fatto oppure oscura o distorce più o meno la vera immagine con ornamentazioni letterarie oppure con un'inter¬ pretazione troppo soggettiva... Qualunque via egli voglia scegliere, le scoperte oggettive restano sicuro fondamento. La ricerca deve scoprire ciò che finora non si sapeva ancora ». Nel modo con cui l'illustre studioso esprime una sacrosanta esigenza, non v'è dubbio che si manifesti quel terrorismo erudito che va coprendo di sua grigia nuvola le fatiche della musicologia. E' vero ch'egli pone sempre attenzione a specificare che bisogna attenersi ai dati di fatto per quanto riguarda « Leben und Werk » di Beethoven, cioè la vita e l'opera. Ma quel « Werk », in realtà, ci è tirato dentro per il rotto delta cuffia. E non è che qui si voglia fare un processo alle intenzioni. Come concluse Schmidt-Gòrg il suo per tanti versi memorabile e fondamentale discorso viennese del 1970? Con una professione neanche tanto larvata di agnosticismo mistico nei confronti dell'opera d'arte. Ecco qua: « Ogni scienza deve approfondire soltanto ciò che è accessibile alla ragione ricercatrice. Altrimenti, se si potesse penetrare negli ultimi segreti di un'opera d'arte, allora la musica sarebbe in ultima analisi soltanto una faccenda di comprensione (Verstandessache) ». Testuale! E appellandosi a Adolf Sandberger, l'antico e benemerito editore dei « Beethoven-Jahrbucher »: « L'ultima essenza nell'arte e nell'umanità di un Beethoven è e deve restare ineffabile, indecifrabile al dotto e allo scrittore coi mezzi della parola; soltanto il pieno slancio artistico può comunicarla ». E il Nostro ad approvare: « Qui sono fissati i limiti della "Beethoven-Forschung", i limiti d'ogni ricerca artistica. Dove deve tacere la scienza, tanto più distintamente parla l'immortale opera del Maestro ». Di fronte a simili Verboten opposti alla critica stilistica, certo, si rende sempre più profondo il solco che non dovrebbe esistere tra musicologia e storia della musica. E conviene ricordare allora a questi apostoli della « ricerca », che in definitiva importa molto di più sapere com'è costruito l'ultimo tempo della Nona Sinfonia, che non sapere se l'«amata immortale» fosse quella madrenobile di Theresa von Brunsvick, oppure la sua biricchina e sventurata sorella Pepi, quella contessa von Deym a cui Beethoven indirizzò tredici lettere inequivocabili, scoperte soltanto nel 1963, e che probabilmente gli diede una figlia, la misteriosa Mimona. Ma anche questa penultima scoperta, la « Beethoven-Forschung », che come la rivoluzione francese divora i suoi figli, ora la sta già mettendo in dubbio. A che prò? Massimo Mila

Luoghi citati: Bonn, Germania, Italia, Vienna