"Il corriere del tritolo,, ritocca, ritratta e sfuma

"Il corriere del tritolo,, ritocca, ritratta e sfuma Interrogato Borromeo al processo Mar "Il corriere del tritolo,, ritocca, ritratta e sfuma (Dal nostro inviato speciale) Brescia, 21 marzo. Lo hanno definito «il corriere del tritolo», perché trasportava su un'auto un carico di esplosivo quando fu bloccato dai carabinieri lungo la strada della Valcamonica. E' Kim Borromeo, 23 anni e già molto fascismo sulle spalle: apre la sfilata degli imputati, per gli interrogatori, al processo per i piani eversivi neri del «Movimento di azione rivoluzionaria». Uscito faticosamente dalla selva delle eccezioni preliminari, questo dibattito va avanti un po' più speditamente. Si entra nei meandri del «Mar», si ricostruisce la trama che doveva condurre all'instaurazione d'una «repubblica presidenziale». Kim Borromeo venne arrestato il 9 marzo del '74 insieme con il camerata Giorgio Spedini. Durante l'istruttoria, parlò con dovizia di particolari, consentendo di aprire larghi squarci nell'organizzazione fascista. Adesso, di fronte ai giudici della corte d'assise, Borromeo ritocca, ritratta, a volte ha vuoti di memoria e dà risposte sfumate. Eppure, sulle carte del processo, i racconti sono precisi, circostanziati. Il presidente Uleri si sofferma sull'opera svolta da Ezio Tartaglia, ingegnere bresciano, una delle figure più in vista nella schiera degli imputati. E domanda quali fossero le idee politiche di questo personaggio. «Era anticomunista», risponde Kim Borromeo: ma, evidentemente, non c'era bisogno di precisarlo. Alla corte interessano, in particolare, i rapporti che intercorrono fra Tartaglia e certi elementi del fascismo bresciano. Borromeo — Eravamo cinque o sei ragazzi: ogni tanto andavamo a trovarlo nella sua villa. Presidente — Ma qui, nei fascicoli, si parla di un'organizzazione. — Quale organizzazione? 10 non so che roba sia. — C'è scritto anche che Ezio Tartaglia faceva grandi discorsi sul fascismo. — Ma no. Lui ci insegnava soltanto un po' di storia. Ci raccontava persino della Resistenza. — Ascolti bene, Borromeo. Dai verbali dei suoi interrogatori in istruttoria, risulta che quel signore andava dicendo che occorreva fare una repubblica presidenziale, mettere ordine, "spazzar via carabinieri e polizia e dar tutto in mano all'esercito". Ripeteva che bisognava prepararsi allo scontro armato, che disponeva di migliaia di uomini in- quadrati in centurie, e così via. — Mah, io non ricordo. Può anche averle dette queste cose, ma a livello ipotetico. Le carte del processo, su cui sono fissate le dichiarazioni di Kim Borromeo dopo la cattura, riportano altri deliranti discorsi attribuiti ad Ezio Tartaglia. L'ingegnere, legge il presidente, confidava che a Brescia erano ai suoi ordini «tre centurie»; aveva mimetizzato l'organizzazione fascista facendola apparire come una pacifica associazione di campeggiatori, particolarmente sensibili ai richiami ecologici. Invece delle camini nate, nella cerchia di questi campeggiatori si facevano esercitazioni a fuoco. E gli aderenti al «club» portavano tutti la divisa: pantaloni blu, giaccone color kaki di tipo coloniale e cinturone nero con distintivo consistente nella riproduzione d'una testa di leone. Le armi, avvertiva Tartaglia secondo quanto è scritto nell'istruttoria, servivano soltanto per esercitarsi: al momento dello scontro sarebbero state «fornite dallo stesso esercito». Ma l'ingegnere bresciano non faceva i nomi degli ufficiali con i quali erano in contatto. Assicurava ai suoi discepoli, in ogni modo, di avere «già nascosto un carro armato». Anche Kim Borromeo ha sparato, durante uno dei quei «campeggi»: una volta qualche colpo contro delle sago¬ me sotto un ponte, un'altra un centinaio di pallottole in riva al lago di Garda. E Tartaglia continuava nei suoi discorsi, parlava di attentati. «Roba come far saltare un traliccio — dice oggi il "corriere del tritolo" — oppure mettere una bombetta. La tattica doveva essere questa: fare in modo che le responsabilità fossero attribuite ai rossi». Kim Borromeo, condannato per l'ordigno collocato nella sede della federazione bresciana del psi, uscì dal carcere nel settembre del '73. E riprese contatto con i camerati: temeva di tornare in prigione, perché il processo a suo carico pendeva in Cassazione. Un amico gli disse che a Milano c'era una persona disposta ad ospitarlo. Ed ecco il contatto tra Borromeo e l'uomo il cui nome di battaglia era «Jordan». Presidente — Insomma, Carlo Fumagalli. Borromeo — Sì, proprio lui. — E che cosa le disse? — Che mi avrebbe assunto come procacciatore d'affari. — Ma qui. nell'istruttoria, risulta che le propose di entrare nella sua organizzazione. — Non era propriamente un'organizzazione; si parlava di aiuti, lui aveva affari qui e là. Dopo incertezze e divagazioni sulla figura di Fumagalli, a Kim Borromeo non resta che raccontare della notte in cui, insieme con Giorgio Spedini, incappò nella pattuglia dei carabinieri con quel carico di tritolo, dando praticamente avvio all'inchiesta sul «Mar». Giuliano Marchesini Kim Borromeo

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