Arafat dice: ho fiducia nel presidente Carter di Igor Man

Arafat dice: ho fiducia nel presidente Carter Discorso al Consiglio palestinese Arafat dice: ho fiducia nel presidente Carter (Dal nostro inviato speciale) Il Cairo. 18 marzo. «Ho fiducia nel presidente Carter e mi impegno ad aiutarlo a realizzare una pace giusta e duratura nel Medio Oriente». Cosi, inopinatamente, ha dichiarato a mezzanotte scorsa Yassir Arafat, capo dell'Olp. La dichiarazione è stata resa ai microfoni della Cbs. La mezzanotte era esattamente passata da tre minuti, Arafat, stanco e sudato, aveva appena finito il suo lungo intervento (quattro ore) davanti al Consiglio nazionale palestinese. Commentando le dichiarazioni di Carter a Clinton, Massachusetts, sulla «necessità» di dare «una patria» ai palestinesi, Arafat le ha definite «un passo in avanti verso il riconoscimento dei diritti legittimi del popolo palestinese. Sono dichiarazioni che non esito a definire positive; come tali saranno attentamente studiate da noi». Ora, ha concluso Arafat, «noi domandiamo al presidente Carter di precisare cosa intende con la parola "homeland" e dove questa "patria" dovrà esser stabilita». Stamani il palazzo della Lega araba, dove si svolgono i lavori del Consiglio nazionale (parlamento) palestinese, era inverosimilmente affollato di giornalisti e di osservatori. Quando, alle 11, Arafat si è affacciato nella sala stampa, è stato letteralmente preso d'assalto dai corrispondenti. 11 leader palestinese appariva visibilmente compiaciuto di essere, ancora una volta, al centro dell'attenzione generale. Ma ha lasciato cadere nel vuoto le nostre domande, schermendosi con la consueta abilità: «Se sapete già tutto perché mi fate tante domande? Eh... quante cose sapete voi giornalisti: la seduta di ieri era a porte chiuse...». Infine ci ha liquidati dicendoci di rivolgere le domande al portavoce della conferenza, Mahmoud Labadie, e si è allontanato sforzando le sue gambette al passo lungo. Sulla soglia della sala delle riunioni si è incontrato con Nayef Hawatmeh. Un abbraccio tra i due, una stretta di mano e Arafat è schizzato via lasciando Nayef ai cronisti. Il capo del fronte democratico però si è trincerato dietro un «no commenti). Chi, invece, non si è fatto pregare è stato Abu Daud, che fa parte del Comitato ese¬ cutivo di Al Fatah, l'organizzazione presieduta da Arafat. «Le dichiarazioni di Carter lasciano il tempo che trovano. Che senso ha parlare di "patria" per i "rifugiati palestinesi"? Noi non siamo dei rifugiati, siamo un popolo», ha detto «l'uomo di Monaco». «Non mi pare che le dichiarazioni di Carter stiano ad indicare un mutamento della politica americana nei nostri riguardi. Con le sue ambigue parole il presidente americano cerca di imbrogliare le carte per confondere l'opinione pubblica araba. Non sono d'accordo coi giornali egiziani, con quanti in generale o in particolare considerano positive le dichiarazioni di Carter». Quindi lei non è d'accordo neanche con Arafat? «Arafat parla come un capo di Stato davanti a un libero parlamento dove ognuno è padrone di esprimere le proprie idee, consenso o dissenso. Come che sia posso garantirvi che da questa assemblea la "carta" nazionale, i dieci punti di azione non usciranno modificati. Al contrario è possibile che certi punti siano riaffermati con un linguaggio più duro, con maggiore determinazione». Violenta la reazione del «Fronte del rifiuto». Taysir Kobba. il numero due del Fronte popolare di George Habash, dice con veemenza: «Il nostro principale nemico rimane Vimperialismo. Quindi Carter è nostro nemico. Combatteremo contro l'imperialismo, contro di lui fino in fondo ». Ma se Arafat proponesse al consiglio nazionale di adottare una linea più moderata nei riguardi degli Stati Uniti, voi cosa fareste? «Ci opporremo con tutte le nostre forze. Ma siamo sicuri che i nostri leaders non baratteranno con poche vuote parole i principi della rivoluzione». Più sfumato il portavoce, Labadie, che riusciamo a bloccare nel tardo pomeriggio. «Non posso confermarvi parola per parola la dichiarazione di Arafat. Certo noi non possiamo non accogliere con soddisfazione determinati "segnali". Si tratta di vedere ora se alle parole seguiranno i fatti. Noi lo speriamo, ma non ci facciamo troppe illusioni. Esiste sempre un grande gap tra l'amministrazione americana e la resistenza. Per colmarlo bisognerà che anche Washington sì decida a rico¬ noscere l'Olp come l'unico legittimo rappresentante del popolo palestinese, che si decida insomma a trattare con l'Olp». Sarà vero che Arafat, come dice Abu Daud, ha parlato come un capo di Stato e che tocca al parlamento decidere. Ed è scontato che dal congresso non uscirà nessun documento finale «aperto». Rimane il fatto però che Arafat ha reso una dichiarazione-di estrema importanza politica, che traduce gli umori dell'ampia corrente moderata dell'Olp. Arafat è troppo avveduto per parlare a titolo personale. Un «animale politico» come lui è abituato a pesare le parole, sa valutarne l'effetto. La sua clamorosa dichiarazione — come ci ha detto un capo palestinese che ovviamente vuol mantenere l'incognito — «va considerata come un gesto di buona volontà nei riguardi degli Stati Uniti e dei paesi arabi moderati. Un giorno se ne vedranno gli effetti». Quel giorno forse è ancora lontano ma è sicuro che le parole di Arafat hanno messo in moto un meccanismo che non sarà facile arrestare. Igor Man

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