"Cenerentola" nuovissima per Bortoluzzi alla Scala

"Cenerentola" nuovissima per Bortoluzzi alla Scala "Cenerentola" nuovissima per Bortoluzzi alla Scala (Dal nostro inviato speciale) Milano, 17 marzo. Ai parrucconi del balletto, che sono anche più misoneisti di quelli del melodramma, non è andata molto a genio la nuovissima edizione di Cenerentola di Prokofiev presentata alla Scala dal bravo e coraggioso Paolo Bortoluzzi. Buon segno, vuol dire che Bortoluzzi, che si cimentava per la prima volta come coreografo con un balletto in tre atti, e Germinai Casado, autore delle scene e dei costumi, hanno fatto qualcosa di nuovo e di diverso da uno spettacolone lussuoso, magari ben confezionato ma di grana un po' grossa, come quello, per citare il più recente, allestito tre anni fa da Loris Gai e Menegatti per la Fracci e lo stesso Bortoluzzi. Entrambi di scuola bejartiana (Casado è stato tra i migliori ballerini del coreografo marsigliese per il quale ha già lavorato come scenografo e costumista), ma senza supine acquiescenze, non hanno preteso d'altra parte di fare subito la rivoluzione. Se mai ima riforma, della quale si sa, con la scarsezza di nuovi coreografi che lamenta il balletto in tutto il mondo, quanto bisogno ci sia. Ed ecco Bortoluzzi conservare al celebre racconto di Perrault, e al libretto che Volkov ne trasse nel 1945 per Prokofiev, il suo carattere fiabesco, anzi accentuarlo, ma con una grazia e una leggerezza che non escludono un sottile humour e trasformano la favola nel sogno di una favola. Cinderella (Bortoluzzi ha preferito, forse per sottolineare il distacco dalla tradizione, usare il titolo inglese) è incorniciato dal breve episodio di una bimba che si addormenta alla lettura della fiaba, e questa si finge racchiusa in un gigantesco libro, collocato in mezzo al palcoscenico, dal quale, sfogliandolo, escono via via tutte le scene del balletto con rapidi cambiamenti a vista. La scenografia, in bianco e oro e con sobri elementi fantastici, è appena accennata o suggerita. E la stessa stilizzazione, su una linea vagamente orientale, hanno subito i costumi in tinte chiare e delicate. L'invenzione scenografica principale, non nuova ma efficace e realizzata con molto buon gusto, si sposa benissimo con l'originalità dei costumi e con le trovate registiche, o anche squisitamente coreografiche, di Bortoluzzi. Talune sono di troppo marcata o facile comicità, come le caricature delle sorellastre e della matrigna affidate a tre danzatori (e ottimamente sostenute da Luigi Sironi, Francesco Aldrovandi e Bruno Telloli) seguendo la soluzione adottata al Sadler's Wells nel solco della tradine della pantomima inglese e ripresa anche da Gai e Menegatti. Ma altre sono di un romanticismo non sdolcinato o di una lieve ironia che s'accordano con la musica di Prokofiev più amara e più aspra, oltre che sardonica, di quanto non sembri: una Cinderella che, a piedi nudi, contende alle sorelle proprio le scarpette per danzare sulle punte (e la lezione di ballo è una vera e propria esercitazione alla sbarra); il travestimento della mendicante con quell'immenso velo che improvvisamente vola via e scopre la fata buona (Vera Karpenko) in tutto il suo fulgore; il cocchio tirato da uno struzzo che conduce Cinderella alla festa o i tre cavalli-ballerini con i quali il principe viaggia in Andalusia e in Oriente alla ricerca di un minuscolo piedino. La coreografia interpreta e racconta con chiarezza le varie situazioni. Forse non ha una gran varietà di passi e, nel complesso, dà la sensazione di un lavoro rimasto un po' a mezzo, che non sfrutta sino in fondo le eccellenti premesse da cui parte o trascura talvolta i legamenti tra l'uno e l'altro episodio. Ma sono difetti non irreparabili, dovuti probabilmente alla fretta o alla scarsità delle prove: certamente saranno limati a mano a mano che la coreografia prenderà il suo assetto definitivo. Ma già alcuni balletti d'insieme, il passo a tre del principe e di Cinderella con la fata, e in genere i passi a due dei protagonisti confermano che Bortoluzzi ha sto/fa e che è lecito attendersi da lui grandi cose. Come ballerino, poi Bortoluzzi è indiscutibile. Sfoggia un'eleganza e una sicurezza da sbalordire. Al più si può osservare che i suoi assoli sono più tradizionali, e quindi di più immediato effetto spettacolare, di quelli studiati per la sua partner, una Luciana Savignano in splendida forma che, alle prese con maggiori difficoltà, le sbaraglia ad una ad una creando una Cinderella originale ma non stravagante, raffinata e tuttavia fresca e spontanea. Anche gli altri interpreti, che il pubblico ha alla fine accomunati con il preciso maestro Massimo Pradella in interminabili ovazioni, meritano molti elogi, dal corpo di ballo, che certamente risulterà più affiatato nelle repliche, ad Anna Razzi, Paolo Podini, Bruno Vescovo e Giancarlo Morganti, che fanno spicco tra i numerosi solisti. Alberto Blandi

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