QUANDO LA POLITICA DIVENTA MORALE di Vittorio Zucconi

QUANDO LA POLITICA DIVENTA MORALE QUANDO LA POLITICA DIVENTA MORALE Carter fa sul serio (Dal nostro corrispondente) Washington, 16 marzo. Dopo otto anni di « diplomazia segreta » repubblicana, la politica estera americana sembra improvvisamente giocata a carte scoperte. Sono passati due mesi dall'insediamento, e Carter si fa sempre più esplicito: prima i dissidenti sovietici, poi le critiche al regime brasiliano, la rivelazione di una nuova politica medioorientale, le polemiche con la Germania per le vendite di reattori nucleari, la proposta ai russi di smilitarizzare l'Oceano Indiano, l'annuncio del prossimo ritiro delle forze di terra dalla Corea del Sud. I diplomatici, i giornali, la Pravda, cominciano ad accettare il fatto che Carter non bluffa e reale è la trasformazione della Cancelleria segreta di Nixon e Kissinger in una casa di vetro. La « stagione dei cento fiori » è in pieno rigoglio a Washington e comincia anche a non piacere. Partendo da episodi periferici — troppo audaci dichiarazioni dell'ambasciatore all'Onu Young, la gaffe delle « scuse » al Cile — le critiche si sono andate stringendo e hanno raggiunto per la prima volta la sostanza della politica e la persona di chi la guida. Editoriali e commenti severi sono apparsi su ormai tutti i maggiori giornali americani. Time e Newsweek parlano, usando la stessa frase, di « diplomazia del fatelo-da-voi », alludendo alla apparente confusione e mancanza di direttive; Sulzberger sul New York Times nota una « certa spensieratezza e confusa approssimazione della diplomazia carteriana » e il più aspro di tutti, il Washington Post, afferma che « quel che sembrava a prima vista pazzia è invece a ben vedere proprio la politica estera di Carter ». Il vecchio senatore Mansfield rompe il silenzio del pensionamento per augurarsi che « dietro tutte queste parole ci sia almeno un disegno politico, uno qualunque ». Così, la luna di miele fra la stampa e Carter è finita con la prima baruffa e accuse che vanno dal dilettantismo alla follia. E proprio Time, Newsweek, il New York Times e il Washington Post, che più si indignavano per la segretezza nixoniana, oggi si scandalizzano per la trasparenza carteriana. Sotto accusa sono gli errori, naturalmente, non la forma; ma i più onesti ammettono di volere il ritorno a « un po' di discrezione » negli affari diplomatici. Si ha quasi l'impressione che, privati della pesante ma rassicurante coperta di Kissinger, si sentano tutti un po' nudi e insicuri. Come deve divertirsi in questi giorni Henry Kissinger. Lo « choc » e la successiva reazione allergica al metodo « aperto » di Carter nascono probabilmente da un fatto estraneo a considerazioni di politica estera: pochissimi avevano preso sul serio Carter e le sue promesse elettorali. Oggi che le vedono tradotte in pratica presidenziale, molti se ne offendono, quasi rimproverando al presidente di non rispettare la regola del gioco. Non s'era mai visto un presidente tener fede ai suoi comizi. Aveva promesso « moralità » ed eccolo, da quell'insegnante di dottrina quale egli realmente è, a dar sulle dita a russi, cecoslovacchi, brasiliani, cubani, sudcoreani e cileni, con lezioni sui diritti civili. Aveva promesso un'offensiva contro la proliferazione nucleare in un discorso all'Onu che pochi ascoltarono, ed eccolo a chiedere ai tedeschi di non vendere più reattori al Brasile, minacciando gli interessi del « Konzern » atomico. Aveva promesso di por mano subito al nodo medio-orientale ed ha già proposto un piano di ritiri e concessioni che ha scontentato tutti e ha quindi l'aria di esser buono. Aveva promesso di mettere il pubblico americano a parte delle sue iniziative diplomatiche e lo ha fatto, sovente addirittura anticipando attraverso la stampa progetti ancora segreti. Questo ha davvero colmato la misura. L'uomo, sospetta il Washington Post, deve essere matto. Il Parlamento e i giornali che credevano di poter gridare al « moralismo » senza correre rischi, ora si spaventano di essere stati presi in parola e reagiscono attaccando. Il Senato ha cominciato a sospettare che persino la promessa di « cancellare dalla faccia della terra le armi atomiche » fatta al discorso inaugurale possa essere seria: ha tirato le briglie quando ha visto scegliere da Carter, per guidare i negoziati militari con l'Urss, Paul Warncke, un uomo sospettato di coltivare idee di « disarmo unilaterale » e certamente una « colomba ». Warncke è passato con una ridottissima maggioranza, assai meno di quei due terzi necessari per la futura ratifica di ogni trattato strategico con l'Urss, in un chiaro messaggio di diffida alla Casa Bianca. Qualche senatore, come Jackson, che tuonava con Mosca quando sapeva che Kissinger non gli avrebbe dato ascolto, fa sapere oggi di essere preoccupato per l'atteggiamento di Carter verso i Sacharov e i Bukovski. Una caricatura sui giornali lo mostra con l'ufficio invaso da profughi ebrei russi mentre dice loro: « Ma non avevate capito che scherzavo? ». Anche coloro che avevano intuito serietà dietro le promesse elettorali di Carter sono meravigliati dalla sua determinazione nel marciare avanti sulla strada degli adempimenti. Si era pensato ad uno sfogo iniziale, dimostrativo e forse solo astuto, ma la « diplomazia aperta » si è aperta ancora di più. Prima o poi dovrà fermarsi, si sente dire a Washington, o tutte le parole gli si rivolteranno contro. Gli Usa, scrive un settimanale pur moderato come U. S. News and World Repòrt, non possono divenire « il gendarme morale del mondo », senza prima o poi chiudersi in un « isolazionismo moralista » (come teme Sulzberger) se il mondo continuerà a girarsi indifferente nella sua secolare « immoralità ». Non è neppure provato che, come dice la Cia, i russi abbiano poi tanto bisogno di grano e di tecnologia da essere pronti a rinunciare a prassi politiche interne probabilmente necessarie al sistema. E sono davvero in condizione, gli Usa, di lanciare « tutte le pietre contro tutte le nazioni»? I più « realisti » prevedono che i « cento fiori » carteriani appassiranno presto, non appena i leaders mediorientali avranno spiegato al presidente che la schiettezza può trasformarsi rapidamente in carri armati sulle alture del Golan o nel deserto del Sinai, e i tedeschi gli avranno chiesto che farsene della loro industria nucleare se non possono più vendere reattori. Potranno sfiorire già il 28 marzo prossimo quando il segretario di Stato Vance vedrà per la prima volta negli occhi il « persecutore » dei dissidenti, Leonid Breznev, e i due parleranno in termini di testate nucleari e di contratti industriali, non più di ospedali psichiatrici. La « moralità » e la politica della diplomazia aperta non sarebbero state, se il fenomeno si esaurirà in qualche settimana, nient'altro che il corrispondente incruento e postvietnamita della « Baia dei Porci » kennediana: un prezzo, cioè, inevitabile ma transitorio che un presidente democratico deve pagare al suo elettorato, alle istanze confuse che provengono dagli intellettuali, dai colletti blu, dai ghetti, dai predicatori, dai nostalgici wilsoniani che formano la base del partito. A costoro va fatto toccar con mano che certe cose semplicemente non si possono fare, neanche dalla Casa Bianca. E nemmeno un presidente può riformare il mondo. Quando Carter avrà fatto esperienza — dicono i realisti — e quando avrà raggiunto una sufficiente massa critica di alleati indispettiti, di nemici furiosi e di neutrali perplessi, la sua politica si decanterà lasciando come deposito una sostanza più tradizionale. Insomma, sarebbe ancora presto per giudicare il vero Carter, concludono benevoli anche i critici più aspri. E qui, curiosamente, gli attacchi alla « spensierata diplomazia » del nuovo presidente ritornano esattamente da dove sono partiti: ancora una volta, come accadde nel gennaio '76 quando entrò sconosciuto sulla scena elettorale del Paese, nessuno vuol credere alla « realtà » visibile di Carter; tutti aspettano la rivelazione di «quel che c'è dietro». Come se quel che abbiamo visto finora fosse solo la maschera e nascosto, ancora invisibile, si stesse formando il vero volto del futuro presidente. Ma questi, mentre gli danno del matto, ha scoperto dai sondaggi di avere con sé l'approvazione del 71 per cento degli americani. Vittorio Zucconi i 4ft , .Me***.-.-