Venezia sotto la maschera

Venezia sotto la maschera Una singolare mostra fotografica in piazza San Marco Venezia sotto la maschera Il pittore Guido Sartorelli presenta una rassegna documentata dei "segni urbani" che nascondono il vero volto della città: dai manifesti alle cabine telefoniche, dalle bancarelle alle immondizie sulle strade e nei canali, dai pontili alle scritte murali (Dal nostro corrispondente) Venezia, 14 marzo. «Analizzare il "segno urbano" significa capire noi stessi. Un "segno urbano" mal programmato è indice di una società caotica». Con queste parole, Guido Sartorelli, «operatore estetico» veneziano, illustra i concetti fondamentali della sua esposizione realizzata nella galleria «Bevilacqua La Masa» in piazza S. Marco e dedicata, appunto, al «segno urbano»: un'inequivocabile testimonianza fotografica di quanto, a volte, sappia essere brutta anche la bellissima Venezia. Ma che cos'è il «segno urbano»? «Si tratta — spiega Sartorelli — di un insieme di attrezzature progettate per sviluppare la vita di relazione della città (segnali stradali, insegne, lampioni: il cosiddetto "arredo urbano") e di "tracce di vita", come le scritte murali, i manifesti pubblicitari e i cumuli di rifiuti. Tutte queste realtà si sovrappongono all'architettura prodotta dalla cultura ufficiale di una città — nel caso particolare del centro storico di Venezia — e, quando non so¬ no ben pianificate, la deturpano sino ad occultarla». «Il "segno urbano" — prosegue l'autore della mostra — è nato con la città, ma la moltiplicazione degli elementi che oggi lo costituiscono si manifesta soprattutto nella sua storia recente, contemporaneamente allo sviluppo della vita di relazione che nell'ambiente urbano moderno ha la sua sede principale». Guido Sartorelli è nato a Venezia nel 1936; ha studiato all'Accademia di Belle Arti ed ha cominciato la sua attività come pittore. Ora («Ma non creda che abbia abbandonato i pennelli», precisa) lavora anche con fotografie, films e videotapes. Le immagini di questa mostra (alcune centinaia) sono state eseguite in massima parte dal fotografo Mark Smith. «iVon ho voluto farle io — dice Sartorelli — per non influire con le mie concezioni estetiche sulla scelta delle inquadrature: dovevano rappresentare le cose come vengono viste da un qualsiasi passante. L'occhio del pittore avrebbe potuto deformarle». Tornando al significato dell'esposizione, Sartorelli affer¬ ma di aver voluto produrre un'informazione destinata tanto ai cittadini, quale contributo all'esercizio delle loro facoltà critiche, quanto agli amministratori, che devono rendersi conto della necessità di riprogettare e riorganizzare il complesso dei «segni». «Leggere gli elementi della scena cittadina — osserva Sartorelli — costituisce senza dubbio un modo per allargare la conoscenza della nostra società e, quindi, per migliorarla». Lungi dal sostenere che le strutture di servizio vadano eliminate, Sartorelli è convinto dell'urgenza di pianificarle in modo diverso, come è avvenuto in numerose città straniere (la mostra offre documenti illuminanti in proposito). In alcune fotografie, scattate nei luoghi turisticamente più famosi di Venezia, Sartorelli ha fatto stampare in giallo le immagini dei monumenti storici, per evidenziare — nel contrasto con il bianconero della parte rimanente — quanto essi siano brutalmente nascosti da vere e proprie «barriere di ferro». A parte gli escrementi dei cani, che tanta parte hanno nel decorare il selciato veneziano («Me ne sono proprio dimenticato — dice Sartorelli — sebbene costituiscano una "traccia di vita" non trascurabile nella nostra città»), i «segni urbani», nelle sale della galleria, sono tutti rappresentati: dalle cabine telefoniche ai pontili dei vaporetti; dalle scritte murali («In questo caso — dice Sartorelli — la città viene intesa come tramite della comunicazione extra-istituzionale, realizzata anch'essa fuori dalle norme previste dai regolamenti municipali»), alle bancarelle stagionali per la vendita di prodotti turistici («la cui attività effimera si riflette nella volgare precarietà formale dei segni»); dai manifesti che «incartano» la città, insinuandosi tra capolavori d'architettura, alle immondizie galleggianti sull'acqua dei canali. «Il complesso dei "segni urbani" del centro storico di Venezia — ricorda Sartorelli — è anomalo rispetto a quello delle altre città, parziale conseguenza della sua anormalità urbanistica. Accanto a talune forme storiche peculiari, come le vere da pozzo (un "arredo" unico al mondo), esiste un "segno" caratteristico riferito alle attività svolte nei canali e, contemporaneamente, è escluso ogni "segno" riferito al traffico automobilistico». Un'intera sezione della mostra è dedicata, infine, alla Biennale. «Questo ente — rileva l'autore dell'esposizióne — ha impostato il programma del 1976 sul tema dell'ambiente, ma, nell'effettuare la propaganda delle proprie manifestazioni, non ha tenuto in alcun conto quello della città dove risiede, affiggendo migliaia di manifesti murali su spazi non autorizzati e contribuendo così molto spesso, al degrado formale di zone monumentali, come la stessa piazza S. Marco». «Al contrario di quanto ha fatto in questi ultimi anni — conclude Sartorelli — la Biennale potrebbe assumere tra i propri impegni culturali e civili quello di riprogettare tutto l'arredamento urbano di Venezia». Gigi Bevilacqua Venezia. Un cartellone pubblicitario nasconde la basilica della Madonna della Salute

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